Bullismo, la testimonianza di Tommaso: “Vi racconto la mia storia”

Il suono assordante delle risate che piano a piano si moltiplicano, gli schiamazzi, gli innumerevoli indici puntati addosso, giorno dopo giorno. La paura e il rigetto di tornare a scuola. La consapevolezza di essere giudicati. Picchiati.

La paura, che diventa certezza, di non essere all’altezza. Il rigetto a uscire e a frequentare luoghi affollati. Rintanarsi in un angolo di mondo. Creare il proprio angolo di mondo, forse a casa propria, forse nella fantasia. Incapacità a socializzare. Solitudine.
Queste sono solo alcune delle sensazioni che provano ogni giorno, per anni, le vittime del bullismo. Quello del bullismo, oggi, è un problema fortemente radicato nella nostra civiltà. Il bullo è quell’individuo che assume un atteggiamento arrogante e sfrontato nei confronti di un altro individuo.
L’aspetto disarmante, però, di questo “fenomeno”, che spesso viene sottovalutato, è che il bullo inizia la propria carneficina fin da bambino. È tra i banchi di scuola, infatti, che il boia-bullo affila la sua ascia.
Le vittime del bullismo sono gli indifesi. Il bullo non è altro che un vigliacco che attacca chiunque venga additato come “diverso”. Il bullo non è altro che un vigliacco che attacca il più debole.

Ai microfoni di ilfaro24.it, Tommaso, nome di fantasia, ci racconta in esclusiva la sua
esperienza con il bullismo offrendoci la possibilità di guardare il problema da un’altra prospettiva.

 

Tommaso, perché hai deciso di raccontarci la tua esperienza?

Ho deciso di raccontare la mia storia perché ogni problema, per essere risolto, ha bisogno di dialogo. Le testimonianze non sono altro che i primi tasselli per comporre il mosaico. Ho usato questa similitudine proprio perché, a mio avviso, per risolvere un problema bisogna avere un’immagine ben definita.
Se visualizziamo ciò che ci spaventa in un’immagine riusciamo a trasformarlo in qualcosa di concreto. Tutto questo ci aiuta, a sua volta, a far scomparire la paura. Avere qualcosa contro cui lottare è sicuramente meglio che lottare contro l’ignoto. Ecco, spero che la mia testimonianza serva a questo: a dare, in qualche modo, forma all’informe.

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Tommaso, tu non sei mai stato vittima di bullismo. Sei stato, invece, se possiamo definirlo così, anche se in toni più soft, un bullo. Puoi provare, se riesci, a farci entrare, in un qualche, modo in questo meccanismo?

Si, hai detto bene tu. Io ho vissuto il problema da una prospettiva diversa. La mia è stata una situazione particolare di bullismo. Io lo definirei una sorta di bullismo ad hoc, una forma di macro-violenza nei confronti di un solo individuo. Bisogna tornare indietro di parecchi anni, siamo ai tempi delle elementari. Vedi a quell’età i bambini possono essere davvero crudeli. Io, nella mia immagine mentale, li paragono a tanti piccoli boia pronti ad essere innescati. Ricordo che nella nostra classe si era creato un vero e proprio branco nei confronti di un nostro compagno. Avevamo vari modi di “metterlo a disagio”. Immagina una classe di 15/16 elementi, bambini e bambine, ognuno con una diversa personalità, pronti a esercitare la propria supremazia sull’anello debole. C’era chi rideva di lui per il proprio abbigliamento, chi commentava il suo alito, chi gli rubava i soldi, chi invece la merenda lasciandolo senza mangiare; c’era poi chi, durante la lezione, gli spostava la sedia con i piedi facendo rumore aspettando che l’insegnante lo riprendesse; chi, invece, otteneva lo stesso risultato spuntando le matite sul suo collo; c’era poi ancora chi, non potendo fare nulla di tutto questo, “semplicemente” lo picchiava. E, alla fine, ci sono io, che insieme a a qualche altro compagno, sono riuscito persino a fare di peggio: sono rimasto in silenzio. Osservavo senza dire una sola parola. All’epoca credevo di comportarmi bene. Oggi mi sento un vigliacco. In questi casi il silenzio è molto più che complicità, è una condanna.

 

Quelli che hai raccontato sono episodi davvero forti. Secondo te, quanto può una situazione del genere incidere sulla crescita di un bambino? Quali effetti può avere?

Beh, come si può immaginare, effetti devastanti. Ciò che sicuramente viene distrutta, ancor prima di aver ragione in essere, è l’autostima del bambino. Un bambino vittima di episodi del genere vede il proprio futuro come un telo nero. Ogni cosa, nella sua vita, avrà un peso specifico sicuramente diverso da quello che ha per le persone “normali”. Ma oltre al fatto di crescere con il mito del “non ce la posso fare”, immaginiamolo alle prese con qualcosa di più concreto e naturale: i rapporti umani. Vivendo in un piccolo paese io ho potuto osservare e comprendere, con il senno di poi, tutti quei messaggi che in un primo momento sembravano delle semplici “stranezze”. Intendo la difficoltà nel parlare con le persone. Difficoltà che che cresceva proporzionalmente all’argomento trattato. Più si entrava nella sfera emotiva e più il rigetto al dialogo era forte. Chi non si sente accettato ha difficoltà anche a esportare il suo punto di vista al di fuori del proprio angolo di mondo. L’errore viene visto come una condanna da evitare e i sentimenti come qualcosa che generano sofferenza. La paura di sbagliare ti fa evitare di provare. Questo era esattamente il suo modus vivendi.

 

C’è, secondo te, una via di uscita? Un modo affinché, tutto questo, possa rappresentare un punto di forza?

Bella domanda. Oggi posso dire sicuramente si.
Credo di essere stato molto fortunato nella vita. Come dicevo all’inizio dell’intervista l’elemento per superare un problema, o quanto meno provarci, è il dialogo. Beh oggi posso dire che il dialogo, in questa storia che stiamo raccontando, ha salvato tutti. Con il passare del tempo la consapevolezza, mia e dei miei amici, è cresciuta. Abbiamo iniziato a vedere le cose per ciò che erano. Dopo qualche anno di silenzio siamo riusciti a capire quello che stavamo facendo, o meglio non facendo, e, finalmente, ci siamo schierati dalla parte giusta. Abbiamo iniziato a difenderlo. Proprio stando al suo fianco abbiamo compreso quanto possano essere devastanti gli effetti del bullismo. Siamo intervenuti in tempo. A intervalli ciclici ne parlavamo, ci scusavamo e ribadivamo il nostro pieno sostegno. Ci siamo scusati ciclicamente per anni a intervalli dettati unicamente dalla nostra coscienza. Alla fine, con la nostra presenza, siamo riusciti a dare il nostro contributo. Alla fine è così semplice: basta ascoltare. In qualche modo, io e gli altri 2/3 che eravamo restati a guardare quella vigliacca violenza, vigliacchi anche noi, non abbiamo fatto altro che interessarci al suo punto di vista. Il nostro interesse verso di lui, al suo pensiero e alla sua vita, lo ha fatto sentire accettato. Lo ha fatto sentire parte di qualcosa. La nostra attenzione gli ha conferito un ruolo e un posto al di fuori del suo angolo di mondo e dei videogame. Sentirsi accettato gli ha, automaticamente, ridato un posto nella vita normale. Questo, sicuramente, non cancella tutto quello che ha subito, ne la nostra vigliaccheria. Sicuramente nella sua personalità ci sono e, forse, ci saranno sempre dei segni di quegli abusi fisici e psicologici ma, in qualche modo, oggi, lui sa di avere un ruolo in questo mondo. Oggi sa che il modo migliore di vivere è quello di portare avanti le proprie idee a qualunque costo perché, qualsiasi cosa accada, c’è sempre il modo e il tempo di rimediare ai propri errori.

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Alla luce di tutto questo e di questa bella storia che ci hai raccontato, ti senti di lanciare un messaggio ai nostri lettori?

Si. La mia storia insegna che “bullismo” non è un termine specifico. Ci sono tante microforme di bullismo. La sfaccettatura più grave, per chi ha davvero compreso ciò che abbiamo detto, è il silenzio. Sia quello omertoso di chi assiste senza agire e senza condannare; sia quello di chi dovrebbe avere e darci un’immagine di ciò che bisogna affrontare. È qui che gli insegnanti hanno un compito ben preciso. Nonostante insoddisfatto, ridimensionato e “tagliato” da questa politica che crocifigge l’istruzione, l’insegnante deve trovare il coraggio. Il coraggio di affrontare il problema da ogni punto di vista possibile. Non bisogna far voce solo alle vittime, così staranno sempre in minoranza. Bisogna interrogare gli studenti chiedendo loro se, e in che modo, si sono comportati da bulli. Solo in questo modo i bambini/ragazzi capiranno che ognuno di noi può essere bullo e vittima al tempo stesso.
Il compito più importante degli insegnanti moderni, dunque, non è quello di forgiare robot immagazzinando in loro più memoria possibile. Il compito degli insegnanti, oggi, è quello di formare individui capaci di contare su se stessi. Formare individui in grado di conoscere e sfruttare il proprio potenziale abbandonando il “non ci riuscirò mai”. Il compito dell’insegnante moderno è quello di formare individui capaci di amare se stessi; individui consapevoli che “nulla è impossibile”!

 

Tommaso, credo di interpretare perfettamente il pensiero comune di tutti noi, redazione e lettori, nel pronunciare un sentito e profondo grazie!

Grazie a voi per avermi dato voce e al tempo stesso la possibilità di dare il mio contributo, attraverso il racconto della mia esperienza, alla lotta al bullismo.

 

#SIALDIALOGONOALBULLISMO
Alex Amiconi

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