Carni Rosse, De Maio (Fare Verde): “consumare meno e meglio”

Che l’eccessivo consumo di carne faccia male alla salute non è una novità. Allo stesso modo, non è una novità che i cibi lavorati industrialmente contengano additivi alimentari che, in dosi massicce, possono comportare rischi per la salute.

Dopo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui probabili effetti cancerogeni della carne rossa e degli insaccati sugli esseri umani, abbiamo intervistato Massimo De Maio, ex presidente nazionale ed attuale referente Abruzzo di Fare Verde.

<<L’International Agency for Research on Cancer (IARC) dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), indicando come potenzialmente cancerogene le carni rosse lavorate, non ci sta dicendo di diventare vegetariani, ci sta solo ricordando, ancora una volta, di porre attenzione a quantità e qualità>> esordisce De Maio, per poi illustrarci il suo pensiero dettagliato:

<<Nella piramide alimentare della dieta mediterranea la carne e i salumi occupano, da sempre, il posto più in alto, con le porzioni consigliate più ridotte: in una settimana, bisognerebbe consumare meno di una porzione di salumi e meno di 2 porzioni di carne. Nel mondo contadino, fino a qualche decennio fa, la carne veniva consumata solo nei giorni di festa, per gli altri giorni c’erano legumi, cereali, verdure, riso, uova, formaggi. Oggi, chi vive la vita frenetica delle città e mangia spesso un panino al bar rischia di mangiare salumi e carne anche due volte al giorno. Poi bisogna considerare cosa si mangia- aggiunge l’ambientalista, richiamando quindi al giusto equilibrio quali-quantivativo – Tra le carni più “pericolose”, l’IARC indica quelle trasformate “attraverso processi di salatura, polimerizzazione, fermentazione, affumicatura, o sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione”. Si sta parlando di “hot dog”, “sausages”, ham”, carni in scatola, preparazioni e salse a base di carne: prodotti molto diffusi nei paesi anglosassoni e del Nord Europa. In questi paesi le “sausages” sono carni molto lavorate industrialmente, essendo affumicate, insaccate e pre-cotte prima di essere messe in vendita. In Italia, le “salsicce” nostrane non sono altro che un mix di carne magra e grassa, in proporzioni differenti a seconda delle tradizioni locali, inserito in un budello naturale insieme a sale e spezie. Allo stesso modo, è sbagliato tradurre “ham” con “prosciutto”, indicando con lo stesso termine anche il prosciutto crudo. Negli USA con “ham” si indica un prosciutto cotto, spesso affumicato e aromatizzato, ben diverso da un prosciutto crudo di montagna che subisce pochissimi trattamenti e nessuno di tipo industriale>>.

Da non sottovalutare sono anche i dati sull’impatto dei consumi mondiali di alimenti di origine animale sugli ecosistemi e sulla produzione di gas serra, oltre che all’innegabile sovrautilizzo delle acque rispetto alla produzione di prodotti vegetali.

 

<<“Meno e meglio” dovrebbe essere l’indicazione per rivedere e rendere sostenibile ogni attività umana di produzione e consumo, non solo il consumo di carne. Se il buonsenso ci suggerisce che “il troppo storpia”, la cultura ecologista ci insegna che “a tutto c’è un limite”, anche al consumo di carne. Nella seconda metà del Novecento il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando da 45 milioni di tonnellate all’anno nel 1950 a 233 milioni di tonnellate all’anno nel 2000. La FAO ha stimato che entro il 2050 si arriverà a 465 milioni di tonnellate. Questa crescita esplosiva del consumo di carne è insostenibile poiché non tiene conto dei limiti degli ecosistemi. Gli allevamenti hanno un impatto pesantissimo nell’uso di risorse alimentari e idriche, inquinamento delle acque, uso delle terre, deforestazione, degradazione del suolo ed emissioni di gas serra. “Meno e meglio” nel consumo di carne significa, quindi, sicuramente mangiarne di biologica e possibilmente locale ma significa anche ridurne le quantità prodotte e consumate. Il maggior costo di un prodotto di qualità dovrebbe essere compensato da una minore frequenza di acquisto>>.

Dulcis in fundo uno sguardo al panorama internazionale, dove le “multinazionali della carne” produttrici del cibo spazzatura sono tanto scansate a parole dalle istituzioni, quanto favorite nei fatti, come con il trattato internazionale TTIP che potrebbe comportare la presenza di prodotti americani sulle nostre tavole senza le giuste e dovute garanzie e che sarebbe peraltro dannoso anche per la nostra economia.

<<In una nazione come l’Italia, le indicazioni dell’IARC possono essere una opportunità e non un problema se ci diamo l’obiettivo di conservare identità, qualità, tradizione, artigianato, bellezza, saper fare. Se sappiamo essere noi stessi, il problema più che per le produzioni italiane, è per le multinazionali dello “junk food”. Infine, la querelle sulle carni rosse lavorate, indicate come potenzialmente cancerogene dall’IARC, ci offre uno spunto di riflessione su quello che sta accadendo in questo momento a Bruxelles con il TTIP>>.

<<Il TTIP è il Trattato Transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership) in corso di definizione tra Stati Uniti e Unione Europea. Anche se è in gran parte segreto, sappiamo che aprirebbe le porte a prodotti alimentari che, se dovessimo tutelare la salute delle persone, in Italia e in Europa non potrebbero essere venduti, a causa di ingredienti o lavorazioni vietate nei nostri paesi. Un esempio è quello dei polli statunitensi alimentati con antibiotici e lavati con la candeggina prima di essere messi in commercio. È altissimo il rischio di essere invasi da cibo industriale di bassa qualità e basso prezzo. Tra questi prodotti alimentari ci sono anche le carni rosse eccessivamente lavorate indicate come potenzialmente cancerogene dall’IARC>>.

D.D.N.

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