L’Aquila, il giorno della memoria dopo otto anni persi

Otto anni fa vite distrutte, vite stravolte, vite spezzate, vite in pezzi. 309 aquilani e non hanno abbandonato questo mondo per via del devastante terremoto del 6 aprile 2009. Sono passati otto anni e come allora ogni 5 aprile che si sussegue, nell’animo degli aquilani e degli abruzzesi torna una cappa di angoscia, di freddo, di polvere e di morte, che nella notte del 6 aprile ha portato tanto dolore. La notte scorsa si sono ricordate le 309 vittime con una fiaccolata che ha visto la partecipazione di migliaia di persone. Il trauma e la paura di quei momenti sono ancora dentro di noi.

La testa del corteo con il comitato dei parenti delle vittime del terremoto.
La testa del corteo con il comitato dei parenti delle vittime del terremoto.

Oggi, a otto anni dal terremoto, L’Aquila è ancora alle prese con la ricostruzione fisica, morale e sociale della città. C’è chi ha perso tutto, c’è chi fortunatamente non ha perso nulla, chi ha perso “solo” la casa o “solo” il lavoro, ma andare avanti nel capoluogo d’Abruzzo è dura. La cosa triste è che un evento del genere avrebbe dovuto rinsaldare la comunità in un amore fraterno e di sostegno reciproco. Invece gli scandali sulla ricostruzione hanno rivelato l’aspetto più squallido di una città che ha invece bisogno di chi le voglia realmente bene.

C’è chi ha raccolto i cocci della propria vita caduta in pezzi in mezzo ai calcinacci del 6 aprile 2009. A queste persone che hanno avuto il coraggio o l’incoscienza di restare a L’Aquila va detto il più caloroso grazie. Scegliere di andare via da una terra, ahinoi inospitale, è legittimo, ma chi non l’ha fatto ha seguito una via probabilmente folle, ma come tutte le grandi opere di cui ci si ricorda, solo con un pizzico di follia si può ricostruire una città migliore di prima. La prima scelta folle da compiere, rispetto agli usi e costumi italiani, sarebbe quella di rispettare la legalità, il prossimo, le leggi sulla ricostruzione e le assegnazioni dei progetti C.A.S.E. e di pagare utenze e canoni, soprattutto per i soggetti benestanti. Così come sarebbe folle per un Comune venire incontro ai cittadini senza affossarli, senza rovinarne la vita con inutile burocrazia.

Purtroppo la follia rigeneratrice è un sogno, un’utopia. L’Aquila guarirà piano piano con tutte le contraddizioni che i suoi cittadini racchiudono: soggetti realmente sofferenti, che spesso, nel tentativo di migliorare una qualità della vita oggi divenuta pessima, per mille altri motivi e non solo per il terremoto, vivono all’insegna del “Mors Tua, Vita Mea”.

La scorsa notte però gli aquilani sono tornati fratelli e sarebbe bello se questa fratellanza potesse durare nel tempo senza esaurirsi alle prime luci dell’alba. Ci sono due detti che indicano, l’uno, “l’unione fa la forza”, quanto sia importante l’unione d’intenti,, l’altro, divide et impera, la deriva da evitare che favorirebbe chi vuole il male dell’Aquila. Se avessimo rispetto della saggezza popolare, avremmo il coraggio di cambiare atteggiamento e fare in modo che nell’Aquila del futuro non ci sia un nuovo 6 aprile.

Speranza forse vana ma, nel frattempo, libero la mia follia.

Vincenzo Chiarizia

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