AL DR. CARLO PACE NAPOLEONE IL XIII PREMIO “GIORGIO CAVALLO” 2018

Si è tenuto il 3 dicembre scorso a Torino, al nuovo Teatro Juvarra, il Premio “Prof. Giorgio Cavallo”, XIII edizione, organizzato dalla Famiglia Abruzzese e Molisana in Piemonte e Valle d’Aosta (FAMPV) per insignire personalità abruzzesi o molisane che con la loro vita e le loro opere rendono onore alla loro terra d’origine. Aperta dal presidente della FAMPV, Carlo Di Giambattista, la serata ha visto numerose presenze e ha toccato picchi di emozione pura. Dopo il saluto delle istituzioni e autorità, in primis dell’Assessore alla Sanità della Regione Piemonte Antonio Saitta e quindi del prof. Piergiorgio Strata, presidente dell’Istituto italiano di Neuroscienze, e la lettura dei messaggi del Presidente della Regione Sergio Chiamparino e del Sen. Mauro Laus, la serata ha avuto il suo significativo svolgimento, concludendosi con la toccante storia della piccola Emma, alla cerimonia del Premio presente infine a sorpresa il suo papà Guillermo Paschetto. Dopo un intermezzo musicale, Carlo Di Giambattista ha presentato con una serie di slide e videoregistrazioni il profilo biografico del vincitore dell’edizione 2018 del Premio, conferito quest’anno al dr. Carlo Pace Napoleone, primario di Chirurgia pediatrica dell’Ospedale Regina Margherita di Torino, abruzzese di Pescara. Lasciamo alle parole del presidente Carlo Di Giambattista il racconto della serata.

 

Carlo Pace Napoleone nasce a Pescara e spende l’infanzia a Colle Pineta, dove vive ancora il resto della sua famiglia. A 18 anni lascia l’Abruzzo per studiare a Roma prima e a Bologna poi. “Purtroppo – dice in una videointervista il dr. Pace Napoleone – ho lasciato la mia terra presto, troppo presto per capire quanto è pesante allontanarsi dalle proprie radici. E così ora me le porto dentro, vivendole nella mia quotidianità. Torniamo abbastanza spesso a Pescara, in auto da Torino, 6 ore casello-casello senza sosta all’Autogrill, per guadagnare anche solo qualche minuto da trascorrere a casa. Il viaggio viene spesso rallegrato dalle canzoni di N’Duccio, cantate a squarciagola da tutta la famiglia. E quando vedi il cartello che ti informa che sei entrato in Abruzzo, finalmente un sospiro. La cena a base di pesce cucinata magistralmente da mio padre; i giorni che scorrono veloci tra visite, incontri, abbracci con tutti i parenti ed amici; pranzi e cene, chili e chili che si accumuleranno sulla bilancia. Imprescindibile è l’affannosa ricerca delle specialità abruzzesi da riportare a Torino, con i figli stretti e sacrificati in macchina per far posto ad olio, pane, vino, arrosticini, verdure fresche, peperoni piccanti, insaccati vari e quanto di buono riusciamo a stipare nel bagagliaio dell’auto, che ovviamente non basta mai!”.

 

A 17 anni l’episodio che forse ha cambiato per sempre la sua vita. “Agosto 1984, il mio primo incidente in moto – il primo di una lunga e gloriosa carriera -. Rientravamo dal mare della pineta con alcuni amici, ma ad uno di loro si rompe la Vespa. Lo carico sulla mia moto per riportarlo a casa, abbandonando la sua Vespa a bordo strada. Non so cosa successe, ricordo solo di essermi svegliato in ospedale 3 giorni dopo, reparto di Neurochirurgia, il 4 Agosto 1984. Abbandonati sull’asfalto di un incrocio, infradito e costume, da un incauto automobilista che non ha avuto la cortesia di fermarsi a controllare che cosa aveva combinato, io ed il mio amico veniamo trasportati esanimi in ospedale. Li ho potuto toccare con mano quanto sia importante un medico “umano” che ti sappia curare il corpo e la mente, che sappia farti capire che lui c’è, che non è detto che ce la farà a guarirti ma che quanto meno ce la metterà tutta. Volevo fare l’ingegnere, avevo già la domanda di iscrizione, neanche a farlo apposta al Politecnico di Torino, la città che mi avrebbe accolto 30 anni dopo. Invece su quel letto della neurochirurgia ho cambiato idea: frutto del trauma, dei farmaci, della volontà della mia famiglia che mi voleva a continuare la strada dei miei progenitori, o frutto di quella brutta esperienza, non lo so, ma la strada era decisa. Sono stato sempre appassionato di costruzioni. Da piccolo avevo una quantità incredibile di Lego, costruivo di tutto con il Meccano, ed ora mi appassiono a ricostruire i cuori malati dei miei piccoli pazienti. Ognuno rappresenta una sfida, che si vince grazie al lavoro di tutti, dell’intera equipe. La Cardiochirurgia Pediatrica è una sinfonia composta da tanti strumenti, il mio compito è quello di dirigerli al meglio, ma da solo, senza la mia orchestra, produrrei davvero poca musica.”

 

A proposito di musica, il dr. Pace Napoleone è un grande fan di Vasco Rossi. Con sua moglie ha assistito ad almeno 8 dei suoi concerti. “Ho vissuto a Bologna dal 1991 al 2012, per cui abbiamo anche amici in comune. Tramite loro, in occasione dei concerti torinesi del Giugno 2013, lo invitai a visitare l’ospedale Regina Margherita. Lo ricordo seduto sul letto accanto a una bambina che giocava con il ciondolo a forma di triangolo della sua collana. Lui la guardava come se fosse sua nipote. Poi, uscendo, mi disse che gli era piaciuto essere trattato, per una volta, normalmente, senza che si tenesse conto del suo personaggio. Venne fuori tutto il suo lato umano. «Sally» è la sua canzone che mi accompagna da sempre. «La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia» è una frase che sintetizza benissimo il mio lavoro: qui in ospedale ci rendiamo conto ogni giorno di quanto ciò sia vero.”

 

Sulla sua strada tanti abruzzesi: primo fra tutti il Prof. Angelo Pierangeli, anche lui abruzzese purosangue, che lo ha formato a Bologna insieme con il Prof. Di Bartolomeo, pescarese DOC. Poi nel 2012 l’avventura di Torino, arriva l’incarico di dirigere la Cardiochirurgia Pediatrica del Regina Margherita, per sostituire, neanche a farlo apposta, il Prof. Abruzzese! Quando si dice in nomen omen….

 

Questo il profilo biografico del dr. Carlo Pace Napoleone: Laurea in Medicina e Chirurgia, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, nel 1990, con lode; Specializzazione in Cardiochirurgia, Università degli Studi di Bologna, nel 1995, con lode; Dottorato in Scienze Mediche Specialistiche, Università degli Studi di Bologna, nel 2014. Tra le sue esperienze professionali citiamo: Dirigente Medico in Cardiochirurgia, ASL Massa Carrara, 1997-98; Dirigente Medico in Cardiochirurgia Pediatrica al Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, 1998-2013, con incarico professionale di alta specializzazione in trapianto di cuore. Attualmente è Direttore SC di Cardiochirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, Ospedale Infantile Regina Margherita.

 

Il dr. Pace Napoleone ha avuto modo di collaborare all’estero, dapprima in Olanda presso il Dipartimento di Chirurgia Cardiaca, al St.Antonius Ziekenuis Hospital di Nijmegen, poi in Australia presso il Dipartimento di Chirurgia Cardiaca Infantile, al Royal Children’s Hospital, di Melbourne. E’ stato inoltre docente a contratto presso l’Università di Bologna e attualmente all’Università di Torino, a Master e Scuole di Specializzazione. Ha partecipato a 125 congressi/corsi nazionali ed internazionali come relatore/docente o uditore. E’ autore o coautore di 150 pubblicazioni scientifiche. Ha scritto con Gabriella Agnoletti il volume “L’adulto con cardiopatia congenita”. E’ membro della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca, della quale è stato Segretario Organizzativo dal 2008 al 2012; della Società Italiana di Cardiologia Pediatrica, della quale è membro del Consiglio Direttivo dal 2015; della European Association of Thoracic and Cardiovascular Surgeon e del Cardio-Thoracic Surgery Network.Dal 2000 ad oggi ha realizzato circa 3500 interventi chirurgici per la cura di cardiopatie congenite. Alcuni di questi interventi sono stati eseguiti in occasione di numerose missioni svolte in paesi in via di sviluppo, grazie alla collaborazione con ONG come Mission Bambini ed Emergency.

 

Il Premio “Giorgio Cavallo” edizione 2018 viene quindi conferito al Dr. Carlo PACE NAPOLEONE! – scandisce con giusta enfasi il presidente Carlo Di Giambattista. Al vincitore viene quindi consegnato l’artistico piatto murale in ceramica di Castelli, simbolo del Premio. Commosso e toccante il ringraziamento del dr. Pace Napoleone. Ma più di tutto ha emozionato la storia della piccola Emma, che per l’occasione è stata raccontata con slide e filmati da Antonio, esponente della FAMPV.

 

“Nel 2013, una storia in cui fu coinvolto il dr. Carlo Pace Napoleone ha avuto molta eco sulla stampa nazionale e toccato al cuore l’Italia intera. Un anno e 4 mesi prima, esattamente dal dicembre 2011, una bimba di soli 2 anni, di nome Emma, era stata ricoverata nel reparto di Cardiochirurgia infantile dell’Ospedale Regina Margherita. Emma aveva una malformazione incurabile al suo piccolo cuore. A 3 anni e mezzo però la bimba era ancora lì, dopo ben 16 lunghi mesi, e non poteva uscire oltre il corridoio del suo reparto. Il suo cuore troppo malato era attaccato a una macchina artificiale, un’apparecchiatura azzurra, grande come un condizionatore dell’aria. Emma non poteva muoversi se non che per pochi passi. La bimba era al limite del tempo concesso da quel cuore artificiale chiamato «Berlin heart»: «Le permanenze più lunghe con questo ausilio -spiegò il responsabile del reparto di Cardiochirurgia pediatrica, Carlo Pace Napoleone- è di 420 giorni. Emma è al limite di tale periodo». E Lei, pur essendo in cima alla lista europea dei trapianti, purtroppo non aveva ancora ricevuto alcuna donazione di cuore idoneo al trapianto.

 

Emma aveva però un grande sogno. Quello di incontrare il suo caro amico di giochi, il suo amato cane Black. Non si trattava però di un cagnolino da salotto, bensì di un cane spinone di 24 chilogrammi! «Mamma, vorrei rivedere Black», aveva chiesto un giorno Emma. Magari qualcuno ha osato pensare che poteva anche essere anche un ultimo desiderio, anche se non voleva ammetterlo. E così la stampa nazionale si appassionò a seguire il caso della piccola: “Emma vuol incontrare il suo cane Black” titolarono i giornali. Il primario Carlo Pace Napoleone e tutto lo staff decisero quindi far nascere un progetto di “Pet-Therapy”: la possibilità cioè per gli ammalati di poter essere visitati dai loro amici a quattro zampe. Così a Torino nacque non solo un esempio di “Pet-Therapy”, ma si colse anche l’occasione grazie alla eco su stampa e televisioni per un appello per sensibilizzare alla donazione degli organi post-mortem, e far avere finalmente un cuore nuovo ad Emma.

 

«La verità – raccontò Maria, la madre di Emma – è che pensavo fosse impossibile realizzare il sogno di mia figlia. Quando mi ha chiesto di riabbracciare Black, sapevo benissimo che difficilmente sarebbe potuto entrare in ospedale. L’ho buttata lì alla caposala, pensando fosse un desiderio irrealizzabile. Ma in pochi giorni hanno dato il permesso». E così, pochi giorni dopo, il 1° marzo 2013 Black varcò –con grande sorpresa per la piccola- la porta della stanza «blindata» del reparto di Emma. In uno spazio debitamente attrezzato, si realizzò il sogno di Emma di poter accarezzare e giocare con il suo piccolo grande amico. E lei ha sorriso, sorriso felice come mai negli ultimi mesi. Un momento tutto loro, emozionante, profondissimo, per Emma e Black soltanto. Pochi giorni dopo l’incontro con Black, avvenne anche il miracolo che tutti aspettavano. Quando le speranze sembravano ormai affievolirsi, da un ospedale della Liguria è arrivata la telefonata che ha restituito a Emma la speranza di una vita normale: i genitori di un bambino di 4 anni, morto per un’encefalite fulminante hanno detto sì alla donazione degli organi, e il cuore di quel bimbo è stato destinato a Emma. Dura legge dell’eterna ricerca di un significato di una morte crudele e di una nuova speranza di vita.

 

Il Papà e la Mamma di Emma – entrambi infermieri all’ospedale di Pinerolo – seppero del cuore in arrivo all’improvviso: «Signora, oggi Emma sta a digiuno. C’è il cuore per sua figlia, fra poco la portiamo in sala operatoria, stacchiamo per sempre questa macchina». Papa Guillermo e mamma Maria sono rimasti muti, hanno soltanto guardato Emma, prigioniera ancora per poco di una macchina più grande di lei. Un ultimo saluto, pieno di paura e colmo di speranza, poi la bimba viene addormentata. Emma venne quindi operata l’8 marzo 2013. Un intervento di ben undici ore e mezzo in sala operatoria. Metà delle quali passate a staccare il cuore artificiale che teneva in vita la piccola. Ad Emma le viene dato un organo sano, che batte dentro e non più fuori dal suo corpo, senza più motore, né batterie, né ingombranti tubi di plastica. Senza più costringerla all’isolamento, senza più catene.

 

«Prognosi ultra-riservata», dice il primario della Cardiochirurgia, Carlo Pace Napoleone dopo l’intervento. Ma la situazione migliora ora dopo ora. «Siamo felici -disse papà Guillermo, frastornato dopo tante ora davanti alla sala operatoria, ma speranzoso-: sarà tutto diverso, potrà finalmente uscire, senza quella macchina». Ma il suo pensiero andò anche ai genitori del bimbo che ha donato gli organi: «Vorremmo dire a quel papà e a quella mamma il nostro immenso grazie. Porteranno un dolore enorme, e noi una gratitudine eterna».

La situazione non era, però, per nulla tranquilla. Il cuore del donatore non era del tutto compatibile.

 

Emma dovette essere sottoposta a una forte terapia antirigetto. Aspettare e pregare. Pregare e aspettare.

La differenza tra la vita e la morte a volte può essere in un dettaglio o solo nel destino. A volte un mero calcolo delle probabilità di salvezza. Ed in questo consiste la perizia e l’intelligenza di un medico: nell’individuare la scelta migliore, nel perseguire quella flebile fiammella di luce e di speranza in fondo al buio e che porta alla salvezza. Passano i giorni, Emma migliora ed ormai sembra aver superato il problema del rigetto. Il 3 maggio 2013, dopo ben 475 giorni di ospedale, Emma a quasi 2 mesi dall’intervento tornò a casa, e poté raggiungere il suo amico a quattro zampe. La storia di Emma ha commosso molti. Ha commosso il suo desiderio di poter giocare con Black, lo spinone nero da 24 chili che a casa era stato l’inseparabile compagno di giochi, prima della malattia e del ricovero. Chi più di un abruzzese poteva essere un grande esempio per Emma: forte nel dolore e nella malattia, e ma anche gentile e fiducioso. Oggi, a quasi 6 anni dall’intervento, siamo riusciti a rintracciare Emma. Emma sta bene. E siamo quindi felici di accogliere il papà di Emma, Guillermo Paschetto, che è qui con noi stasera!”.

 

Finale con sorpresa, entra in sala Guillermo Paschetto, il papà di Emma, e va diritto a salutare il dr. Pace Napoleone. Un incontro commovente. Dice infine Guillermo: “Emma non è potuta venire perché a quest’ora è già a dormire. Domattina dovrà andare a scuola. Ha comunque voluto mandare un saluto”. La XIII edizione del Premio “Giorgio Cavallo” si chiude così, con il filmato di Emma che saluta e sorride alla vita.

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