ALTRI OCCHI PER GUARDARE LA REALTA’

Come l’apparente astrazione di due filosofie lette in sinergia può fornire una chiave per interpretare la nostra quotidianità

di Andrea Cilli

Non sono qui per darvi consigli, non me ne sento all’altezza. Anzi, sinceramente penso che dare consigli sia un atto meschino o incosciente, o entrambe le cose assieme. Perché col consiglio, penso si faccia leva su quello che in diritto civile è definito “intuitu personae” (letteralmente “avuto riguardo della persona”, ossia in sostanza essere spinti a compiere un’azione in virtù della fiducia che abbiamo verso una certa persona). In base a ciò noi consigliando, tranquillizziamo e pilotiamo qualcuno a fare qualcosa che produrrà effetti sulla sua vita; ma in base a quanto abbiamo appreso dalla nostra esperienza. E però, è in base alla nostra esperienza che fondiamo il nostro consiglio. E per quanto due episodi accaduti a due persone distinte possano assomigliarsi o addirittura essere uguali, ogni persona è stata forgiata dalla propria vita: quindi ecco perché credo che fornire a qualcuno, seppure con tutte le buone intenzioni possibili, una “verità” a costo zero al quale affidarsi, garantita da cosa rappresentiamo noi per la persona che consigliamo beh, la ritengo davvero un’azione avventata ed ontologicamente sconsiderata. Piuttosto quello che ritengo giusto è mettere a disposizione la nostra esperienza agli altri: raccontando cosa è accaduto a noi e lasciando gli altri decidere in base al proprio cuore ed alla propria mente. Se vorranno faranno uso di quanto noi gli abbiamo raccontato, altrimenti no.

Ad ogni modo, arrivo subito al nocciolo dell’articolo di oggi: voglio raccontarvi brevemente due filosofie. La “filosofia dello stupore” e la filosofia del “velo di maya”. E non solo: infatti come ultimo step voglio metterle in sinergia, tutto ciò finalizzato ad uno scopo. Il mio fine oggi è parlarvi di un altro paia di occhiali con cui leggere la nostra vita, tutti i giorni. Esistono penso centinaia se non migliaia di concettualizzazioni liberamente impiegabili per leggere la nostra vita: credo giusto il fatto che ciascuno possa sempre selezionare l’interpretazione del mondo che più gli piace; ma per poter scegliere è necessario avere un carnet nel quale operare la propria selezione. Ed io oggi spero di allargare il vostro cestino di occhiali.

La filosofia dello stupore

Nonostante al liceo ho avuto l’opportunità di studiare filosofia (ciò si rivelerà fondamentale per il secondo punto..), è solo grazie al caro Prof. Guido Saraceni che ho avuto l’opportunità di scoprire la filosofia dello stupore di Platone: e di poter iniziare a spenderla nella mia realtà. Infatti allora frequentavo il corso di Informatica Giuridica all’Università degli Studi di Teramo ed uno degli argomenti trattati era la Scienza delle Reti. Ora un bel giorno il Prof. Saraceni ci disse, all’interno di una argomentazione ben precisa, che secondo Platone “il filosofo è colui in grado di restare sempre turista pur trovandosi nello stesso posto”.

Senza dilungarmi troppo rischiando di divagare, il senso di quella affermazione era che spesso noi ci abituiamo alla realtà che ci circonda, spegnendo progressivamente la nostra attenzione: quando invece c’è sempre la possibilità di qualcosa di nuovo da scoprire o per cui vale la pena stupirsi, pur restando fermi nello stesso posto. Così veniva fatto un bellissimo esempio: ci veniva chiesto di immaginare il Colosseo, a Roma. Voglio dire, esso è un monumento bellissimo: un pezzo della nostra storia nonché della nostra civiltà. Eppure, ci veniva poi chiesto di immaginare una persona che abitasse proprio davanti al Colosseo: ebbene non sarebbe scorretto dire che con molta probabilità, dopo anni ed anni di routine sempre nello stesso posto, quando egli apre le finestre beh non stupirsi più della bellezza che ha davanti; come invece farebbe un turista che si trovasse per la prima volta a Roma. Eppure il Colosseo resta indubbiamente un monumento meraviglioso, eppure resta indubbiamente un pezzo della nostra storia: eppure può accadere di non stupirsi più nell’osservare il Colosseo.

Ed allora ecco la filosofia dello stupore: attraverso essa non si vuole perdere la consapevolezza della realtà che ci circonda, non si vuole cedere al non entusiasmarsi più nel vedere per la centesima volta la stessa cosa. Il filosofo è curioso, vuole scoprire ed arrivare all’essenza delle cose: perciò non può lasciare che il proprio entusiasmo e la propria curiosità si spengano, solo perché progressivamente si cede all’abitudine. Il filosofo che non perde lo stupore resta sempre turista nella sua vita: ogni cosa è come se fosse scoperta per la prima volta, ogni concetto, ogni luogo, ogni evento. Solo così non si mettono i bastoni nelle ruote alla ragione e soprattutto allo spirito critico: in questo modo il filosofo, non perdendo lo stupore, genererà sempre terreno fertile in cui le idee, il progresso e la ragione illuminata potranno sempre germogliare.

Corollario del primo strumento: provare costantemente a non smettere mai di stupirsi, a non abituarsi mai; che il nostro spirito critico sia sempre sbrigliato. Che la persona possa sempre prendere e riprendere anche i medesimi concetti, le medesime immagini, la stessa realtà e valutare se e cosa cambia col trascorrere del tempo. Ergo, potenzialmente, che la persona scelga costantemente di rimettere potenzialmente tutto in discussione: con buon senso, rispetto per la vita e ragionevolezza. Riscoprendo ogni giorno la propria vita ergo, degnandola sempre un’altissima considerazione.

 

Il Velo di Maya

Se sono venuto a conoscenza di questa seconda teoria e soprattutto, se sono riuscito ad interiorizzarla è solo grazie alla mia Professoressa di Storia e Filosofia del liceo: la docente Catia Di Girolamo. Fu decisamente una svolta studiare con la sua guida. Lei ha il dono del carisma e, contemporaneamente, tanto tanto lavoro sodo di studio ininterrotto alle spalle: processo di crescita culturale che credo non interromperà mai. Detto proprio sinceramente lei nel mio immaginario rappresenta propriamente la figura del filosofo.

Ebbene, nel periodo liceale sotto la docenza della Prof.ssa Di Girolamo giungemmo a studiare Schopenhauer ed io rimasi molto colpito dalla sua teoria filosofica del Velo di Maya, concetto centrale nella sua filosofia. Il filosofo tedesco sosteneva che la realtà sotto i nostri occhi sia come ricoperta da un velo. Un velo che lascia intuire le forme di ciò su cui si trova ma che necessariamente non ne permette una visione univoca. E’ sotto il velo che si troverebbe la vera realtà. L’essere umano tuttavia non può alzare il velo di Maya, pertanto la realtà risulterà necessariamente soggetta alla rappresentazione che ciascuno di noi elaborerà. Qualcuno vedrà una forma avvolta dal velo e penserà ci sia un qualcosa; qualcun altro farà la stessa cosa, ma gli parrà di scorgere qualcosa di diverso.

Ora, il mio obiettivo non è approfondire in questa sede la filosofia di Schopenhauer (che non si ferma alla visione della realtà attraverso il velo di Maya, ossia come volontà e rappresentazione, ma avanza e si sviluppa). Mi interessa invece la realtà coperta dal velo di Maya, poiché lo ritengo un ottimo esempio. Quello che vi chiedo è di provare ad immaginare la visione della realtà che vorrei prospettarvi: nulla è certo bensì tutto è soggetto ad interpretazione.

In automatico ci scattano dei meccanismi in testa, per cui siamo abituati a dare per assodato determinati fenomeni: a darli come certi. Ma se ci mettiamo a riflettere probabilmente giungeremo ad una conclusione essenziale: che sussiste differenza tra una cosa approvata dalla maggioranza ed il definire la medesima cosa come assolutamente giusta. E quello che vi chiedo di immaginare, è che se riflettete bene la nostra realtà è fatta solo di cose giuste poiché accettate dalla maggioranza (maggioranza, concetto che ha un mondo dietro…assolutamente relativo..ma ne parlerò in un altro articolo) ovvero di cose sbagliate poiché ritenute sbagliate dalla maggioranza.

Con molta probabilità se vi mettete a riflettere insomma moltissima della nostra realtà, anche se ci sembra scontata e granitica (come la concezione del tempo) è in realtà stata posta dall’uomo: esiste perché l’uomo ha voluto farla esistere in quel modo. Ma in realtà abbiamo solo scelto una delle tante interpretazioni di questa o quella realtà, sempre tuttavia avvolta dal velo di Maya.

Ma perché vi ho parlato del velo di Maya? L’ho fatto perché in realtà volevo parlarvi di incertezza. Per dirvi che forse nessuno di noi può dire cosa ci sia sotto il velo di Maya ma, ciascuno credo abbia il sacrosanto diritto di elaborare la propria idea di cosa il velo di Maya ricopra.

Per fare ciò e permettere che ciascuno sia libero di pensare è necessario avere tolleranza: una cosa condivisa da quattro miliardi di persone, o da questa o quella maggioranza non fa di essa la certezza assoluta: anche se così potrebbe apparire. Bensì fa di essa solo una cosa largamente condivisa.

Corollario del secondo strumento: non smettete mai di coltivare la vostra visione della realtà ma allo stesso tempo rispettate la visione della realtà altrui. Perché stando a quanto detto e chiesto di ipotizzare, non esiste il modello esatto con cui misurare la giustizia delle cose: esiste il modello umano di giusto, che salta fuori esclusivamente da ogni stato di diritto.

 

Conclusione e sinergia tra la filosofia dello stupore e la visione tratta dalla teoria del velo di Maya

Siamo arrivati alla fine dunque. Ora vi chiedo l’ultimo sforzo: fondete i due corollari di queste due filosofie e provate ad osservare attraverso questi occhiali. Come vedreste la realtà se ci applicassimo a non abituarci a nulla e tutto ci apparisse sempre come la prima volta che lo osserviamo? E, come sarebbe la realtà davanti ai nostri occhi se oltre a non far spegnere mai il nostro spirito critico, vivessimo sempre con l’idea che quella che abbiamo una nostra interpretazione della realtà e, non la realtà esatta?

Ogni giorno forse osserveremmo nuovi punti di luce, nuove strade, nuove forme delle stesse montagne. Godremmo sempre della bellezza di ciò che ci sembra bello e, specularmente inorridiremmo sempre davanti alle cose che appaiono abominevoli ed ingiuste alla nostra coscienza critica: di certo non ci faremmo l’abitudine. La nostra coscienza critica che sarebbe sempre consapevole di essere una delle tante coscienze critiche: consapevole di poter essere condivisa anche da tutti i consociati, ma che in maniera illuminata e filosoficamente corretta, non dimentica mai che potrebbe in ogni momento sopraggiungere un altro modo di vedere ciò che il velo di maya ricopre: ossia la vita.

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