BULLISMO. ANDY E TUTTI QUEI SOGNI ANCORA DA VIVERE

La foto del dodicenne Andrew Michael Leach che giace inerme nella bara, è ferma da qualche ora davanti ai miei occhi. L’impatto che ha avuto questa immagine su di me è stato devastante. “Ecco fin dove può spingersi il bullismo“, si legge nella didascalia. Il messaggio di dolore della mamma arriva dritto al cuore, straziante, pungente, con tutta la sua disperazione.

Andrew è l’ennesima vittima di un mostro chiamato bullismo. Un ragazzino educato, buono e con il cuore grande – dicono di lui –  ma ancora troppo piccolo per potersi difendere dall’ignoranza e dalla cattiveria. Si è impiccato nel garage di casa, a Southaven, nel Mississippi. A trovarlo è stato il fratello maggiore di quindici anni.

Grasso, brutto, inutile” gli ripetevano i suoi coetanei. Già,  grasso, brutto, inutile, come quel dolore che non vorremmo mai provare e neppure vedere, ma che Cheryl Hudson, la mamma, ha scelto di rendere pubblico per renderci consapevoli di questo raccapricciante fenomeno, per farlo arrivare ai nostri occhi e, forse, alle nostre coscienze. Ha scelto di mostrare il suo dolore per farci capire fin dove può spingersi la malvagità umana.

Ha lanciato l’hashtag #andysvoice, affinché la morte del piccolo possa servire a sensibilizzare l’opinione pubblica su una tragedia che ogni giorno assume proporzioni sempre più vaste e che può colpire chiunque. Ascoltiamo quotidianamente storie di bullismo finite male, ma dubito che qualcuno di noi, estraneo a tale problema, possa capire quanta sofferenza si celi dietro quel “finite male.”

Che cos’è il bullismo?

E’ una forma di violenza psicologica innanzitutto, molto più dannosa di quella fisica poiché annienta cattiveria dopo cattiveria la personalità della vittima, intacca la sua identità, interferisce con la sua vita, la disintegra fino a condurre il soggetto alla malattia e nel peggiore dei casi alla morte. Una delle tante facce più subdole della violenza che sopravvive ogni giorno a scuola, al lavoro, per strada. Ed oggi si sposta tristemente sui social, diventa l’arma crudele degli haters o semplicemente di persone maleducate che non sanno che le parole sbagliate, le offese, le critiche, la mancanza di rispetto, la svalutazione spesso in forma ironica, distruggono l’autostima delle persone più fragili, soprattutto di quelle più giovani e ancora impreparate a sopportare una pressione tanto violenta ed invadente come sta accadendo in quest’epoca.

Perchè accade?

Dietro al bullismo c’è sempre un disagio. Dietro al bullo c’è sempre una persona insicura, piena di complessi ma che all’esterno mostra un’alta opinione di sé ed usa l’aggressività per emergere nel gruppo, nella comunità di appartenenza, sui social network in particolare poiché la tecnologia ha amplificato il fenomeno, permettendo all’aguzzino di disgregare intere esistenze rimanendo nell’anonimato.

Accade ovunque, accade tra adolescenti perché i ragazzi non sanno gestire le emozioni ed incanalare la rabbia in modo costruttivo e pertanto tendono a sopraffare e a distruggere chi è più debole. C’è addirittura chi è costretto a cambiare scuola per sfuggire a tentativi di estorsione tra i banchi di scuola: la scuola stile criminalità organizzata. Pace e tranquillità, in cambio di un euro o della merenda. Accade inoltre sul luogo di lavoro, tra colleghi competitivi che generano quello che in gergo viene chiamato out-group  –  esclusione dal gruppo – e che scatenano il cosiddetto mobbing lavorativo; accade nelle piccole comunità tra conoscenti invidiosi o familiari che serbano rancore e sfogano le loro frustrazioni personali con gossip, tradimento della fiducia, denigrazione pubblica. Perché il bullo, minando le certezze degli altri, colpendo le dimensioni profonde dell’identità altrui, rafforza la propria e nasconde le proprie debolezze.

La vittima non chiede aiuto. Farlo richiamerebbe inevitabilmente l’attenzione sulla propria sessualità, sulle proprie insicurezze. E molti, pur di non affrontare le proprie ansie e le proprie paure, scelgono di andarsene per sempre.

Keaton Jones è un bambino americano vittima di bullismo che, stanco di sopportare angherie e vessazioni, decide di darsi fuoco ma fortunatamente senza riuscirci. Il video in basso, in cui racconta la sua sofferenza, sta commuovendo il mondo.

Lo scorso anno, Salvatore Cotugno denunciava il pestaggio del figlio Fabio e postava la foto con il volto tumefatto su Facebook. “Vi mostro che cosa sta diventando il mondo – scriveva  – e ve lo mostro nel modo più vero e crudo, attraverso quello che si chiama bullismo”.

Arturo, lo scorso dicembre, è stato avvicinato da una baby gang e colpito gravemente con un coltello. Si è salvato per  puro miracolo. La madre, Maria Luisa Iavarone, è diventata il simbolo di un impegno civico contro il bullismo e il disagio minorile. Ho ancora in mente l’agghiacciante vicenda del quindicenne Vincenzo, seviziato con il compressore perché troppo grasso.  Proprio in queste ore, il messaggio di Marco Baruffaldi, ragazzo con Sindrome di Down vittima di bullismo, sta spopolando su Facebook. “Non arrendetevi mai, non fate il loro gioco”, ripete Marco guardando la web cam. E il video diventa virale.

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Qual è una possibile soluzione?

“Intervenire per tempo è spesso l’unica soluzione per salvare vittime e bulli dalle conseguenze delle loro azioni” consigliano gli psicoterapeuti. In realtà manca il ruolo educativo di insegnanti e genitori, l’interazione e la cooperazione tra loro che può fare la differenza.

Il punto di partenza per sconfiggere il bullismo e ogni forma di violenza è l’educazione al rispetto, all’empatia e  alla compassione.

Quello che è successo a Andrew e a tutti gli Andrew del mondo, è il fallimento eclatante della moderna società dell’apparire che ha cancellato i valori fondamentali dell’uomo.  E’ il  fallimento del ruolo genitoriale, degli educatori, di chi l’ha condotto ad un gesto così tragico.

Davanti al fallimento di un progetto di vita, bisognerebbe rieducare prima di tutto i genitori.

Alina Di Mattia

 

 

Raccolta fondi per il Memorial dedicato ad  Andy: https://www.gofundme.com/58jh12o
Articolo precedentemente trattato qui:

Bullismo: Martina decide di morire

 

About Alina Di Mattia

Scrittrice, conduttrice e responsabile produzione di grandi eventi istituzionali con esperienza trentennale nei Media e nella Comunicazione. All'attività artistica e manageriale ha affiancato quella di giornalista freelance. Si è occupata spesso di tematiche sociali ed ha all'attivo alcune pubblicazioni letterarie. Ha ricevuto due prestigiosi premi giornalistici nazionali e diversi riconoscimenti pubblici per le attività svolte.