CARSOLI XVII SECOLO – LE GESTA DI GIOVANNI FESTA

Alla storia carseolana appartiene un leggendario personaggio: Giovan Festa. Leggendario poiché la sua figura è dimensionata dalla leggenda e dalla voce popolare tramandata di generazione in generazione. Questo articolo si propone di chiarire la posizione del personaggio, le sue origini e le azioni che gli procurarono la fama di tiranno, epoca in cui nelle contrade italiane erano già tramontate le forme più assolutistiche del potere feudale. Il dispotismo di Giovan Festa fu una eccezionale sopravvivenza, pur non avendo carattere e portata storica di interesse nazionale. Contrariamente a quanto si ritiene; e ciò lascerà perplessi quanti appresero, sempre in forma, generica, notizie sul Giovan Festa, attribuendogli l’appartenenza al casato dei conti De Leoni, e in effetti Giovan Festa non era un De Leoni.

I De Leoni, antichissima famiglia nobile romana, la cui genealogia è canosciuta fin dall’anno 890 d. C., investita nel 1469 dal re Ferdinando di Aragona, della signoria di Luppa e di Val dé Varri, che in quel tempo comprendeva larga parte dei territori di Carsoli e di Tagliacozzo; nel XVII secolo era giunta a possedere un vasto feudo che dal Cicolano si estendeva fino a Subiaco. Intorno al 1550 i componenti della famiglia erano suddivisi nelle principali località del territorio feudale. In Carsoli era presente il conte Giovanni Battista De Leoni che, conosciuto per le sue capacità di condottiero, aveva, assunto in quell’epoca il comando delle milizie dei principi Colonna, alle quali aveva affiancate le proprie nella lotta contro gli Orsini.

Fu in tal epoca che al casato dei Festa, cognome di origine spagnola e non nome come erroneamente ritenuto, si inserì nella storia carseolana. Lelio Festa, soldato di ventura di origine, spagnola, postosi al soldo del conte Giovanni Battista De Leoni; ne divenne uno dei principali aiutanti nel comando delle truppe mercenarie. Giovanni Batista De Leoni non era coniugato. Per assicurare nel futuro la conduzione del feudo a persone che agissero unilateralmente con gli altri componenti del proprio casato, fece sposare al detto Lelio Festa la propria sorella Sulpizia e con atto testamentario del 1588 impose al medesimo di aggiungere al proprio cognome quello di De Leoni.

Con tale atto si creava il ramo dei FestaDe Leoni; al quale restavano affidati i territori del Carseolano, a condizione però che estinguendosi tale ramo, la conduzione del feudo sarebbe ricaduta al ramo principale dei De Leoni. Trattavasi praticamente della costituzione di un vassallaggio. Da Lelio Festa e Sulpizia De Leoni nacque Andrea FestaDe Leoni che fu il padre del famoso Giovan Festa. Questi sposò Maria Nitoglia di Oricola e non ebbe figli. Maria Nitoglia apparteneva a cospicua e nota famiglia e portò una consistente dote nuziale di cui tuttavia, il Giovan Festa non poté integralmente beneficiare dovendo sottoporsi a talune norme testamentarie, che riteneva inaccettabili e ciò lo pose in forte contrasto con i parenti acquisiti. Venuto a morte il padre di Maria Nitolgia, Giovan Festa incontrò un forte ed irremovibile ostacolo alle proprie mire sul territorio oricolano, nel cognato Benedetto Curzio Nitoglia. Nel giugno del 1685, Benedetto Curzio Nitoglia percorreva la strada verso Pereto, accompagnato da un proprio uomo di fiducia, conosciuto con il nomignolo di Cecano.

Lo attendeva in Pereto un notaio di chiara fama, appartenente alla famiglia dei Maccafani. Ma il Nitoglia non raggiunse Pereto. Scomparso l’uomo che lo scortava, un gruppo di armati lo circondò. Il cavallo riprese il cammino portando sull’arcione il cadavere del Nitoglia crivellato di colpi. Con l’assassinio di Benendetto Curzio Nitoglia, Giovan Festa poté entrare; senza altri impedimenti, in possesso delle varie proprietà dotali assegnate alla consorte. Di tale assassinio fu informato il conte Giovan Gregorio De Leoni, presente in Roma. Questi, sul quale, essendo il Giovan Festa senza figli, sarebbe ricaduta la proprietà dei feudi del Carseolano, dopo tale episodio fece controllare a mezzo di suoi informatori, le azioni del Giovan Festa. Giovan Gregorio De Leoni era in ottimi rapporti di amicizia con i Nitoglia di Oricola i quali, fra l’altro, avversavano la Casa Orsini per pretesi fiscali che questa avanzava sulla loro proprietà di Oricola. L’anno 1686 vide la prima sollevazione carseolana contro il dispotismo di Giovan Festa. Capo della sommossa era un Malatesta, discendente da un ramo cadetto dei Malatesta di Rimini che si era rifugiato in Carsoli per sfuggire alle persecuzioni dei propri avversari. In Carsoli i Malatesta godettero della protezione dei conti De Leoni che concessero loro di abitare un proprio palazzetto cinquecentesco, tutt’oggi ammirato per la sua squisita fattura. La sommossa condotta dal Malatesta ebbe inizio con un assalto improvviso diretto contro il palazzo del Giovan Festa.

Vi parteciparono circa 50 persone. Ma l’imprevista accanita resistenza del corpo di guardia arrestò gli assalitori. I colpi di archibugio fecero accorrere sul posto l’intera truppa mercenaria che catturó, dopo aspra lotta, tutti i rivoltosi. Le antiche mura di cinta delle quali resta ancora oggi, qualche rudero, mostrarono per tre interi giorni i corpi vivi dei ribelli appesi a lunghe corde. Trascorsi i tre giorni, completamente esposti alle intemperie e senza vitto nè acqua, i sopravvissuti furono condotti oltre i territori del feudo e si ritiene che venissero tutti trucidati. All’eccidio, accortamente fatto commettere dal Giovan Festa fuori dei propri territori, scampò Malatesta il quale, raggiunta Roma, informò dell’accaduto il conte Giovan Gregorio De Leoni che lo ospitò. Misure contro il Giovan Festa non furono prese, essendo in quel tempo il territorio Carseolano fuori da ogni superiore giurisdizione. Il Reame di Napoli attraversava, infatti, in quel periodo una fase transitoria e il dispotismo di Giovan Festa ebbe modo di essere per tale contingenza che gli consentiva di agire impunemente. Dopo la sommossa, il prepotere del Giovan Festa raggiunse il culmine e la sua tirannia esplose, fatalmente, in una serie di episodi di cui avversari palesi o ritenuti tali vennero uccisi in improvvise imboscate.

Nel periodo 1686-1689, si delineo più palesemente l’azione del Giovan Festa intesa ad impossessarsi di Oricola aiutato in questo, sembra, dalla segreta connivenza che si era stabilita fra lui e la casa Orsini. Di questa connivenza ebbero sentore i Colonna e il conte Giovan Gregorio De Leoni. I due casati, in quel tempo agivano di comune accordo, per contrastare l’ingerenza degli Orsini in quei territori. È l’anno 1690 che vede l’epilogo della tirannia di Giovan Festa e la scomparsa dalla storia carseolana, del ramo FestaDe Leoni. Mercenari degli Orsini (si, ritiene anche fossero elementi sbandati non più al soldo di quel Casato), penetrarono in quell’anno nell’altopiano del Cavaliere, dandosi a scorribande nei paesi limitrofi. Non molestarono tuttavia Carsoli. Giovan Festa non pose il paese a difesa e non informò della situazione il conte Giovan Gregorio De Leoni, il quale ne ebbe notizia attraverso i suoi informatori.

Il conte radunò i propri mercenari, rinforzati da altri uomini al soldo dei Colonna e raggiunta la zona predispose, nella vallata sottostante l’attuale chiesetta della Madonna di San Vincenzo, una imboscata alle bande orsine, delle quali si era venuta a conoscere l’intenzione di raggiungere Tagliacozzo. Le bande orsine transitarono per Carsoli, senza molestare n’è essere molestate, e giunte nella località della Madonna di San Vincenzo caddero nell’imboscata dove furono disperse e massacrate. Al termine dello scontro il conte Giovan Gregorio De Leoni entrò in Carsoli, dove fu accolto dal Giovan Festa, con ogni riguardo. Al momento del commiato il Giovan Festa espresse elogi per l’esito dello scontro che aveva disperso le bande orsine, ma il conte Giovan Gregorio De Leoni, accusandolo improvvisamente di connivenza con gli Orsini, mise mano alla spada e lo uccise. Era presente al fatto anche il Malatesta che aveva capeggiato la prima sommossa carseolana contro il Giovan Festa. L’episodio ebbe luogo sotto l’arco detto di Sbarrino che chiudeva la cinta del borgo medioevale e che è tutt’ora esistente.

 

( Cicchetti Ivan )

 

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