CELANO. LA STORIA DEL FUCINO, DAI ROMANI ALLE LOTTE CONTADINE, LA RICERCA STORICA DI TRE GIOVANI CELANESI

La storia del fucino, il prosciugamento, progettato già dai romani,  la guerra, le lotte contadine, sono stati oggetto di studio e ricerca storica di tre giovani celanesi: Luigi Pietrantoni Andrea Caruso Andrea Berardicurti. Una ricostruzione certosina, fondata su documenti storici, che li ha portati fino all’eccidio di Celano del 1950, proprio su quell’atto criminale, dove hanno trovato la  morte di due lavoratori, hanno deciso di approfondire e cercare di arrivare a svelare i tanti troppi punti oscuri di quella vicenda.

 Il prosciugamento del Lago Fucino venne progettato per la prima volta da Giulio Cesare, ci riuscirono in parte gli imperatori Claudio e Adriano ma successivamente venne abbandonato tutto a causa delle invasioni barbariche. Nel 1800 ci furono vari tentativi che fallirono fino a quando nel 1875 il principe Alessandro Torlonia prosciugò il lago definitivamente. Torlonia divenne l’unico proprietario e cominciò lo sfruttamento dei poveri braccianti. Lo scrittore marsicano Ignazio Silone, nel suo celebre romanzo “Fontamara”, scriveva: “ In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E poi si può dire ch’è finito.” Questa breve citazione descrive in poche righe come vivevano i braccianti del Fucino .

La rivoluzione bolscevica diede modo di dimostrare in Italia e quindi anche nella Piana del Fucino come il socialismo non fosse un’utopia. Qui, infatti, già dai primissimi del ‘900 abbiamo testimonianze di movimenti di lotte contadine che s’intensificarono arrivando all’apice nel “biennio rosso”, per poi dissolversi con l’avvento del fascismo. Le lotte nel Fucino nascono soprattutto per i criteri irrazionali con i quali si assegnavano i terreni ai contadini, dati da Torlonia a famiglie nobili che spezzettavano ai contadini, i quali subaffittavano a loro volta ai braccianti. Inoltre, dopo la Grande Guerra e dopo il terremoto del 13 gennaio 1915, nacquero nuove esigenze, per gli ex combattenti che avevano perso i terreni, per coloro che non avevano particelle prima della guerra e per chi aveva perso anche la misera abitazione. Molto importante  fu la figura dell’avvocato Filippo Carusi, il quale con il motto “Terra ai contadini, fuori Torlonia”, cominciò ad organizzare le prime manifestazioni contro i Torlonia e i gabellotti che sfruttavano i contadini. Così Mario Trozzi, il principale leader socialista abruzzese, definisce due linee di azioni possibili per i contadini del Fucino: l’esproprio delle terre con la conseguente gestione collettiva e l’eliminazione delle grandi affittanze, in modo da generare affittanze collettive. Si riscossero dei notevoli successi come il Decreto Visocchi che sancì dei contratti d’affitto meno onerosi e l’assegnazione ad ex combattenti, con il conseguente successo delle liste socialiste. Tutti questi avvenimenti furono colpi duri alla borghesia locale che non solo perdeva i propri privilegi economici ma anche le posizioni istituzionali, perciò dovevano trovare dei modi per poterle riconquistare. La soluzione fu il fascismo che era già presente come movimento ma minoritario, con pochi consensi. Fu proprio grazie alla borghesia, ad emarginati sociali della guerra (i quali vedevano la possibilità  di riscattarsi) che crebbe ed ebbe consensi, con l’obiettivo di distruggere i movimenti contadini e operai

che, avendo raggiunto la coscienza di massa, potevano essere fermati solo con la violenza. In questo modo si manifestò l’avvento del fascismo anche nella Marsica. La modalità di azione fu tramite lo squadrismo agrario, che, nel 1921, coinvolse tutto il territorio abruzzese e si consolidò. Le squadracce si mobilitarono,sotto la guida dei fasci aquilani di Adelchi Serena, ad annientare e reprimere le organizzazioni operaie e contadine, a devastare le sedi socialiste e sindacali, pestando gli esponenti di sinistra. Tra aprile e maggio 1921 si formarono i primi fasci di combattimento marsicani. Non mancano gesti di risposta come gli “Arditi del popolo” ma vengono immediatamente perseguitati.

Il fascismo era al servizio dei Torlonia e a confermarlo fu l’emanazione del Lodo Bottai nel 1929.

Il lodo prevedeva un aumento del canone d’affitto del 20%, il pagamento degli affitti in bietole (le eccedenze dovevano essere portate allo zuccherificio SAZA di proprietà dei Torlonia), una regolamentazione della transitabilità e molti divieti che ovviamente gravavano sulle spalle dei braccianti.

L’introduzione del Lodo Bottai peggiorò notevolmente le già precarie condizioni dei contadini in quanto stringeva ancora di più la “morsa a tre ganasce” (la terra, la Banca del Fucino e lo zuccherificio) di casa Torlonia.

Fu così che il fascismo concesse al proprietario terriero ampi privilegi diventando complice del peggioramento delle condizioni di vita dei contadini che durò fino al termine del secondo conflitto mondiale.

Tra il 1940 e il 1944 le famiglie contadine vennero private della forza lavoro degli uomini a causa della chiamata alle armi. A coltivare la piana del Fucino rimasero donne, anziani e bambini che, oltre a soffrire per la fame e per la perdita dei cari, dovevano anche subire le rapine e i soprusi dei fascisti e dei nazisti. La famiglia Torlonia, per mettere la ciliegina sulla torta, trascurò la manutenzione dei fossi di scolo e delle strade. Proprio in questo drammatico scenario, dopo l’arrivo delle truppe alleate nel giugno del 1944, ripresero le lotte dei contadini per la cacciata definitiva dei Torlonia dal Fucino.

I contadini del Fucino cominciarono ad opporsi alla famiglia Torlonia e , guidati dai rappresentanti della sinistra, iniziarono lo sciopero a rovescio, che consisteva nell’eseguire i lavori di manutenzione di cui i Torlonia non si erano preoccupati. Lo sciopero funzionò e la famiglia Torlonia venne costretta a pagare 350000 giornate lavorative ai braccianti.

Il 30 Aprile 1950, a Celano, si riunì presso l’edificio comunale la Commissione di Avviamento al Lavoro per definire le liste dei braccianti che avrebbero cominciato a lavorare a partire dal 2 maggio. La commissione non riuscì a preparare la lista. La sera i braccianti erano riuniti nella piazza antistante al municipio e stavano aspettando la lista dei 320 nomi che il 2 maggio sarebbero dovuti andare al lavoro ma la situazione era apparentemente tranquilla. L’assessore Angelo Tropea, preoccupato per l’incolumità della commissione, chiamò i carabinieri, i quali appena giunsero in piazza vennero accolti da una presunta sassaiola. I carabinieri spararono dei colpi di moschetto in aria dal lato della piazza ma successivamente cominciarono a sparare verso i braccianti e insieme ai carabinieri spararono anche altre persone che si erano appostate in punti strategici. Caddero colpiti a morte due poveri contadini: Antonio Berardicurti, comunista di 35 anni che lasciava una bambina di due anni e una moglie incinta e Agostino Paris, socialista di 45 anni che lasciava quattro figli; inoltre ci furono ben dodici feriti: Giovanni Baliva, Antonio Baruffa, Costanzo Ramunno,Settimio Cavasinni, Franco Tirabassi, Antonio Iacutone, Orazio Rossi, Tobia Paris, Gasparre Fegatilli, Esterina Palumbo, Maria Stefanucci e Loreta Pestilli.

L’accaduto colpì non solo il territorio marsicano ma colpì l’Italia intera. Il quotidiano L’Unità uscì in edizione speciale il 2 maggio 1950 dedicando la prima pagina all’eccidio di Celano. Il 3 maggio, giorno dei funerali, si radunarono a Celano migliaia  di lavoratori provenienti da tutta l’Italia, i deputati Bruno Corbi e Aldo Natoli e il segretario della CGIL Giuseppe di Vittorio.

Successivamente i colpevoli vennero identificati dai testimoni oculari ma vennero prosciolti in istruttoria per mancanza di indizi.

I gravi fatti luttuosi di Celano non fermarono le lotte dei contadini contro i Torlonia, le quali continuarono fino al definitivo esproprio del latifondo avvenuto nell’anno seguente.

Studiando questi fatti, a distanza di 70 anni, ci sono venuti molti dubbi e abbiamo intenzione di approfondire e capire come sono andate le cose dopo l’eccidio.

Ci fu o non ci fu la sassaiola? Se sì, chi fu a scatenarla? Come mai c’erano persone armate pronte a fare fuoco dopo i carabinieri? Il PCI come aiutò concretamente le famiglie delle vittime? Come mai i presunti colpevoli sono stati assolti e non è mai stato punito nessuno? Chi insabbiò le indagini ?

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