I MOSCHETTIERI DEL MES

Passata la moda dello Spread, ora è il MES il nuovo argomento che va per la maggiore negli happy hour e nei bar sport. Sicuramente è un tema che spopola sui social soprattutto come vessillo sventolato dalle varie tifoserie in lizza. Sovranisti contro Europeisti per conquistare il santo Graal della ragione perduta.  

Tutto questo can can mediatico crea apprensione fra i risparmiatori, soprattutto per quelli affezionati ai titoli di Stato. Inoltre le preoccupazioni per una nuova stagione di instabilità finanziaria fa temere per la sicurezza dei propri investimenti. Per tale motivo una riflessione razionale sull’argomento credo sia utile per inquadrare nei giusti termini il problema.

L’articolo 136 del Trattato di Lisbona è la base giuridica del famigerato meccanismo europeo di stabilità.

Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) fu istituito dal Parlamento europeo e ratificato dal Consiglio europeo il 25 marzo 2011. La ratifica fu successiva alle modifiche al Trattato di Lisbona, approvate il 23 marzo 2011, sotto il governo Berlusconi, il cui consiglio dei ministri era composto fra gli altri da Calderoli, Bossi, Maroni e la Meloni.

Nel dicembre dello stesso anno però, con l’aggravarsi della crisi dei debiti pubblici, il consiglio europeo ne anticipò l’entrata in vigore. Nel frattempo, a novembre, era entrato in carica il governo Monti, quello dei tecnici. Ma solo nel settembre 2012 ci fu il via libera definitivo, dopo che la Corte Costituzionale Tedesca si fu espressa sulla sua legittimità, ottenendo alcune modifiche compatibili con la propria costituzione.

La riforma del MES, che la politica strumentalizza, confondendo i cittadini, è il tentativo di trovare un compromesso fra le varie esigenze dei paesi membri. L’Italia, per esempio ha chiesto che le linee di credito erogate dal MES vengano concesse, a chi ne ha bisogno, senza l’imposizione di riforme impopolari.

Tale modifica è stata accolta, ma, su richiesta dei paesi dai bilanci più virtuosi, è stata aggiunta un’altra condizione che di fatto la vanifica, in quanto, per ottenere una linea di credito, è vero che basterà solo una lettera di intenti, ma gli stati richiedenti dovranno rispettare i parametri di Maastricht, e l’Italia, insieme ad almeno un’altra decina di paesi, di certo non li rispetta.

Di contro, i paesi più indebitati hanno ottenuto che il Fondo di risoluzione unico, finanziato dalle banche europee, potrà avere una dotazione fino a 55 miliardi per sostenere le banche in difficoltà, e quindi i correntisti, saranno più garantiti.

Un’ulteriore modifica chiesta dai paesi del Nord Europa, vorrebbe rendere più facile ristrutturare il debito pubblico di un paese che chiede aiuto al MES. In pratica, i risparmiatori che hanno prestato soldi agli stati in crisi, potrebbero trovarsi nella stessa situazione che hanno vissuto i risparmiatori detentori delle obbligazioni bancarie, che videro sfumare i loro risparmi. Ma l’iter che porterebbe a ciò non ha il profilo catastrofista raccontato dalla strumentalizzazione politica.

Intanto, un investitore, quando investe i suoi soldi, saprà in anticipo se il titolo di Stato che sta acquistando è assoggettabile alla procedura di ristrutturazione oppure no. La procedura di ristrutturazione inoltre non è automatica, ma segue un iter ben preciso.

La premessa è che il MES è stato istituito per sostenere gli stati in difficoltà, e non per farli fallire. Quando una stato sovrano ha difficoltà ad onorare i propri debiti, per prima cosa, rinvia i termini del rimborso ai creditori. Diversi risparmiatori italiani vissero un’esperienza simile quando si ritrovarono incastrati con i titoli di Stato argentini, più noti come Tango Bond.

Chi aveva investito in titoli argentini, attratto da rendimenti a 2 cifre, fu costretto ad accettare una decurtazione del rimborso e l’allungamento delle scadenze oltre che un corposo taglio degli interessi percepiti.

Tutto questo dopo aver sopportato il crollo dei prezzi dei titoli sui mercati, l’adesione ad arbitrati internazionali e/o a dispendiose class action quasi sempre, senza alcun esito. La funzione del MES è di attenuare i contraccolpi delle crisi finanziarie, intervenendo a sostegno dei paesi in difficoltà, in maniera da evitare pericolosi effetti domino che trascinerebbero anche gli altri paesi UE nel baratro di una crisi sistemica irreversibile.

A tal fine i titoli di Stato saranno del tutto equivalenti alle più note obbligazioni subordinate emesse dalle banche, con clausole che consentiranno la decurtazione del rimborso, a fronte di un accordo sottoscritto da una maggioranza qualificata dei creditori, senza che sia necessaria l’unanimità.

L’introduzione di titoli con queste clausole, favorirebbe la ristrutturazione del debito e limiterebbe la speculazione al ribasso di chi gioca sulla probabilità di default dello Stato. Siccome per gli Stati non esiste una legge fallimentare che disciplina la possiblità di negoziare con i creditori nuove condizioni di rimborso, la riduzione degli interessi oppure l’allungamento delle scadenze, e di imporle, a determinate condizioni, anche ai creditori dissenzienti. Con il MES, si cerca di risolvere questa esigenza.

Aderendo al MES, lo Stato italiano ha introdotto le CACs (Clausole di Azione Collettiva) sui titoli del debito pubblico. In base a queste clausole, a partire dal 1°gennaio 2013 i titoli di Stato con durata superiore ai 12 mesi (BTp, BTpi, CcT, CTz e BTp Italia) sono già assoggettati al MES.

Le clausole, indicate nei prospetti informativi dei titoli, possono essere applicate fino al 45% delle emissioni annuali, e la politica, che a 7 anni dall’approvazione del MES, urla la propria indignazione a furor di popolo, o non sa, o fa finta di non sapere. Sicuramente non dice, che di fatto, oggi, sulle linee generali, il MES non può più essere EMENDATO.

Restiamo però sul tema. La domanda è – Come agire in caso di ristrutturazione di un debito pubblico, nell’ipotesi ci siano diverse serie di emissioni, coinvolte nella ristrutturazione del debito, visto che ciò avrà ricadute importanti sulle persone?

Dal momento che per avviare la procedura sarà necessario l’accordo con la maggioranza dei creditori di ciascuna serie, il piano di ristrutturazione potrebbe essere compromesso per il fatto che la maggioranza potrebbe esserci per certe serie e potrebbe mancare per altre.

La discussione in atto verte sull’opportunità di modificare le CACs in modo che il voto dei creditori possa essere acquisito in un’assemblea unica. L’approvazione a maggioranza, in una sola assemblea unitaria, consentirebbe di decidere per tutte le serie di un dato titolo, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa.

La riforma del MES farebbe scattare le modifiche a partire dal 1°gennaio 2022 e ciò preoccupa le banche italiane perché, temono che l’enorme mole di titoli di Stato detenuti, possa diventare motivo di ricatto da parte del governo di turno, specie se dovessero prevalere le politiche di stampo populista molto ostili verso le banche.

Quindi paradossalmente, il MES fa più gioco alla Meloni e a Salvini che potrebbero usarlo come deterrente per minacciare le banche, paventando tagli dei crediti vantati nei confronti dello Stato, qualora le stesse si opponessero ad eventuali riforme del sistema bancario, in chiave populista.

Questa è la vera ragione per la quale le banche preferirebbero un MES senza ristrutturazione del debito, ma questo aspetto di non poco conto, chissà se Salvini, la Meloni e Di Maio lo capiranno mai!

      Alfio Cataldo Di Battista

Team Manager – Private Banking

   Monte dei Paschi di Siena

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