LA CHIESA DI ASSERGI: UN GIOIELLO DELL’ARTE SACRA ABRUZZESE

di Giuseppe Lalli

I lavori di riparazione della parrocchiale chiesa di Assergi, iniziati nel novembre dello scorso anno 2020, si sono da poco conclusi. Oltre alle necessarie opere di riparazione e messa in sicurezza, si è provveduto alla ripulitura della facciata e al rinzaffo delle pietre, ciò che ha conferito all’edificio, soprattutto nella sua parte posteriore, una luce e un colore che sanno di antico e di bello.

Alla vigilia del 5 giugno, giorno in cui da tempo immemorabile si festeggia San Franco, il santo patrono di Assergi di cui ricorrono gli ottocento anni dalla morte, la chiesa si presenta dunque col vestito della festa. Il felice evento offre l’occasione per richiamare, per sommi capi, l’evoluzione architettonica nonché la ricchezza artistica che caratterizza un edificio sacro tra i più affascinanti del territorio aquilano.

La chiesa parrocchiale di Assergi, intitolata a Santa Maria Assunta, sorge sullo sfondo di una leggiadra piazza. Assergi, come è noto, fu uno dei castelli, e tra i più fiorenti, che fondarono la città dell’Aquila. L’atto di battesimo dell’anteriore chiesa parrocchiale è del 1150 (come risulta da un documento ritrovato in seguito alla demolizione dell’altare di Sant’Egidio, antico protettore del villaggio prima di San Franco[1]), a sua volta costruita (o ricostruita) sicuramente su di una precedente pieve, con tutta probabilità di tipo monasteriale camaldolese intitolata a S. Maria in Silice (con riferimento al Silex-Gran Sasso più che alla natura rocciosa del terreno su cui sorge), o ad silicem, da cui Assilico, Asserice

fino ad arrivare ad Assergi (etimologia che possiamo riscontrare anche in nomi come Monselice)[2]. Di questa primitiva chiesa era sicuramente parte l’attuale vetusta cripta.

Il tempio del 1150 fu sostituito da quello attuale, in forma basilicale, con le sue larghe navate laterali, con tutta probabilità già a partire dalla metà del secolo successivo, poco dopo la morte di Franco, il santo eremita diventato il principale protettore del borgo. Si trattò di dare ai resti mortali del santo una degna dimora, e si volle incrementare un pellegrinaggio che sicuramente era già iniziato. È da credere poi che le due asimmetriche cappelle presenti nelle navate laterali, riaperte con i restauri degli anni ‘70 del secolo scorso, furono realizzate tra il XV e il XVI secolo, allorché ebbe termine la fase costruttiva medievale[3]. Giova ricordare altresì che tra il XIV e il XV secolo dovette essere edificata entro le mura della città dell’Aquila, nel quarto di Santa Maria, la chiesa di riferimento del castello di Assergi, che attualmente è intitolata a Santa Maria del Carmine.

In quanto chiesa-santuario e che registrava, inoltre, la presenza dei monaci, essa ebbe uno statuto particolare, giacché, a differenza delle chiese degli altri castelli, non fu soggetta alla chiesa aquilana (quella intra moenia) ma, al contrario, esercitò su di essa il suo governo[4]. Inoltre, subito dopo la partenza dei monaci, divenne chiesa capitolare, vale a dire retta da un preposto e da quattro canonici. La nomina del preposto, come ci ricorda Nicola Tomei (1718-1792) in quello che è da considerare il primo scritto organico sulla storia di Assergi e sul culto di San Franco, doveva essere ratificata dal papa [5].

Dal punto di vista artistico, la chiesa mostra una felice convivenza di stili, ravvisabile sia all’esterno che all’interno. Un architetto e storico dell’arte, Ignazio Carlo Gavini (1867-1936), che la visitò nel 1899 e molto l’apprezzò, scrisse, tra l’altro, che essa parlava molte lingue: quella rinascimentale sulla facciata, la barocca all’interno, e sotto, riferendosi alla cripta, «l’oscuro linguaggio del Medioevo»[6].

Oggi, dopo i decisivi – e discussi – restauri del secolo scorso, la sola traccia dello stile barocco, all’interno, si rinviene nelle due colonnine di una piccola edicola lignea che incornicia un grazioso dipinto di Madonna con Bambino vicino all’altare maggiore, a destra di chi guarda; mentre all’esterno lo stesso stile figura nella facciata tardo-secentesca della cosiddetta ‘congrega’, un edificio attaccato al corpo della chiesa realizzato nella seconda metà del XIX secolo ad opera di una confraternita (la facciata, ivi rimontata verso la prima metà degli anni ‘30, era superstite della demolizione della chiesetta conventuale di Santa Maria in Valle).

Nel periodo rinascimentale l’interno della chiesa non subì modifiche sostanziali. Nella facciata, invece, realizzata tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV (ciò che solo giustifica il richiamo alla «lingua rinascimentale» cui accennava il summenzionato esperto) un elegante portale tardo-romanico (in tutto simile a quello di Santa Maria del Guasto, ora non più esistente e a quello della chiesa aquilana di Sant’Agnese, non più visibile in quanto inglobata dall’ospedale San Salvatore), convive con un leggiadro rosone tipicamente gotico, perfetta replica di quello che si ammira sopra il portale di sinistra della basilica di Collemaggio all’Aquila.

In omaggio a quella interessante commistione tra sacro e profano che spesso si ravvisa nelle nostre chiese antiche, nel ricco architrave è scolpita la vite, simbolo liturgico per eccellenza presente anche nell’Antico Testamento, nonché pianta evocatrice di vita e di convivialità. Nel rosone, sempre per rimanere sullo stesso tema, figurano dodici raggi: dodici come gli apostoli, come le tribù di Israele, come i mesi dell’anno, ad indicare la pienezza del tempo.

Ma ci sono anche all’interno esempi di questa felice combinazione di stili. Il primo è quello messo in evidenza dal quel restauro dei primi anni ‘70 del secolo scorso, che, dovendo riparare ai guasti prodotti in età tardo-barocca (tra il 1746 e il 1784) e poi nel 1871, allorché era stata innalzata la volta, richiuse cappelle e finestre, riquadrate le colonne e seppellito gli affreschi con disinvolte manate di stucco, ha riscoperto, oltre a tutto il resto, un manto pittorico davvero delicato, anche se a tratti frammentario, con affreschi che vanno dal XIV secolo (qualcuno anche più antico) al XVI, alcuni dei quali autorevolmente attribuiti a Saturnino Gatti e a Francesco da Montereale, due grandi protagonisti del Rinascimento aquilano.

I caratteri del primo gotico, ravvisabili nelle luci (in particolare nella monofora sopra l’abside) e nell’involucro murario, nella chiesa assergese, a differenza di altri edifici sacri cirstercensi del territorio forconese come Santa Maria ad Criptas a Fossa o Santo Spirito ad Ocre, a cui essa si può legittimamente rapportare, mentre impreziosiscono l’ambiente, non compromettono l’originaria struttura romanica, che resiste sia nella forma delle colonne, pesanti e a tutto sesto, che nell’abside, semicircolare e di piccola dimensione[7].

Il secondo esempio lo troviamo nel tabernacolo a sinistra dell’altare per chi guarda, pezzo davvero unico, dove l’eleganza rinascimentale dei due pilastrini si sposa con il raffinato gotico dell’archetto cuspidato. Il tutto poi ad incorniciare una suggestiva pietà, opera di Francesco da Montereale, che è realistica ed intuitiva rappresentazione del mistero eucaristico.

C’è, infine, la stupenda cripta, antichissima, dove questa combinazione si presenta sotto altra forma ma in maniera non meno affascinante: una scarna architettura romanica, che un restauro del 1966 ha riscoperto nella sua nuda e mistica bellezza (altro che «oscuro linguaggio del Medioevo»!) fa da cornice ad una pregevole gotica espressione scultorea lignea. Dolcemente adagiata su un cassone di noce che funge da reliquiario, si ammira una misteriosa donna coronata sulla quale è fiorito attraverso i secoli un affascinante racconto popolare (regina del Cielo o regina della Terra?), diretta erede, quanto a stile, della cosiddetta scuola ‘Ile de France’, e che potrebbe da sola giustificare un’intera sala museale.

Bastino questi brevi cenni a dare l’idea che ci troviamo di fronte ad una tra le più belle chiese del territorio aquilano, in uno tra i più suggestivi angoli di questo nostro Abruzzo magico e misterioso.


[1]. N. Tomei, Dissertazione sopra gli atti e culto di S. Franco, Coda, Napoli 1791, p. 29.

[2]. Cfr. O. Antonini, Chiese ‘extra moenia’ del Comune dell’Aquila prima e dopo il sisma, Verdone Editore, Castelli (Te), 2012, p. 134.

[3]. O. Antonini, ibidem, cit, p. 139

[4]. N. Tomei, ibidem, cit., p. 44.

[5]. Cfr. N. Tomei, ibidem, cit., p. 16.

[6]. Cfr. I.C. Gavini, Santa Maria Assunta in Assergi, cit., p. 6.

[7]. Cfr. O. Antonini, ibidem cit., 139.

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