OGGI SI FESTEGGIA SAN ANTONIO ABATE, TRA FALO’ E BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI

Detto anche sant’Antonio il Grandesant’Antonio d’Egittosant’Antonio del Fuocosant’Antonio del Desertosant’Antonio l’Anacoreta

San Antonio è stato un abate ed eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.

A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio, ma la Chiesa ortodossa copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde, nel loro calendario, al 22 del mese di Tobi.

In Italia esiste una vera e propria venerazione per Sant’Antonio Abate, basta passare in rassegna le feste e gli eventi organizzati in suo onore il 17 gennaio, data della sua morte. Eppure leggendo qualche cenno della sua biografia si scopre che il santo non ha alcun legame con il nostro Paese: Antonio fu un eremita egiziano, vissuto nel IV secolo dopo Cristo, cui si deve l’inizio del cosiddetto “monachesimo cristiano”, ovvero della scelta di passare la vita in solitudine per ricercare una comunione più intensa con Dio. Evidentemente bastò questo “primato” per diffondere il culto in tutta Europa, cui si aggiunsero, nel tempo, molti tratti popolari.
Fin da epoca medievale, Sant’Antonio viene infatti invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; questo, forse, perché dal maiale gli antoniani (i seguaci di Antonio) ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe. Antonio, dice la tradizione, era anche un taumaturgo capace di guarire le malattie più tremende. E poi, c’è la credenza popolare che vuole che il Santo aiuti a trovare le cose perdute. Al nord si dice “Sant’Antoni dala barba bianca fam trua quel ca ma manca” e al sud – dove viene spesso chiamato Sant’Antuono, per distinguerlo da Antonio da Padova – “Sant’Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”.

In Abruzzo, a Fara Filiorum Petri (Ch), nel pomeriggio del 16 gennaio, dalle contrade partono in processione le farchie, imponenti fasci cilindrici di canne legate con rami di salice rosso, alti 7-9 metri e del diametro di circa un metro. Vengono portati nella piazza davanti alla chiesetta di Sant’Antonio Abate, eretti a forza di braccia e incendiate, tra canti rituali e incitazioni. A questo punto si accende anche la disputa per giudicare la farchia migliore: quella più dritta, col giusto allineamento dei nodi, la corretta sistemazione delle canne per evitare rigonfiamenti o torsioni, le dimensioni metriche.

Le fiamme avvolgono le alte colonne di canne e raggiungono la sommità facendo esplodere i mortaretti nascosti in cima che contribuiscono ad alimentare le grandi torce e il tripudio popolare. La tradizione nasce dalla leggenda che Sant’Antonio nel 1799 abbia fermato i Francesi, che volevano occupare Fara, incendiando il bosco che avrebbero dovuto attraversare.

„Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra e dissi gemendo: – Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: – l’umiltà.“

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