Il Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo per la Unità dei Cristiani dalla Mangiatoia al Cenacolo

 Il Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo per la Unità dei Cristiani dalla Mangiatoia al Cenacolo. “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Luca 2,10-11). Il 25 Dicembre del calendario giuliano coincide con il 7 Gennaio del calendario gregoriano ed è in questo giorno che la Chiesa Ortodossa Russa festeggia il Santo Natale. Siamo in una nuova fase delle relazioni tra il Patriarcato Ortodosso di Mosca e la Santa Sede. Il Natale ortodosso della Russia inonda di luce la Cristianità europea e mediterranea. Le parole del Patriarca Sua Santità Kirill di Mosca e di tutte le Russie, del Presidente Vladimir Putin e di Papa Francesco descrivono le coordinate celesti dell’Unità che solo Cristo Signore può donare al Popolo di Dio fin d’ora nella Sua mangiatoia, in attesa del suo Cenacolo, l’obiettivo dei Cristiani di Oriente e Occidente. Kirill: “Che dono possiamo portare noi al Maestro divino? Quel dono che Egli stesso ci chiede: “Dammi il tuo cuore, figlio mio, e i tuoi occhi custodiscano le mie vie” (Pr 23,26). L’amore umano, i valori familiari esistono nonostante i tremendi tentativi di distruggerli definitivamente, profanarli e pervertirli. Che quest’anno sia per il nostro popolo, per i popoli della Rus’ storica e tutti i popoli della Terra un anno di pace e prosperità. Che il Bambino divino, nato a Betlemme, ci aiuti a trovare la speranza che vince la paura e a sentire con la fede la forza dell’amore di Dio che trasfigura la vita umana”. Dichiara nel suo messaggio natalizio AD 2018 il Presidente Putin: “Questa luminosa festività del Natale dà a milioni di credenti gioia e speranza, li avvicina alle loro origini spirituali ed alle tradizioni degli avi, li unisce attorno ad eterni valori cristiani, retaggio storico e culturale secolare del nostro popolo”. Papa Francesco nella Notte Santa del Natale insegna: “Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente. Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. E questa stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità”. Nel suo tradizionale “address” televisivo su Rossiya-1, Sua Santità Kirill indica nell’Amore l’obiettivo principale della Creazione di Dio e, a differenza di Papa Francesco, riconosce pubblicamente e universalmente l’utilità dell’Operazione delle Forze Aerospaziali della Russia in Siria anche nel soccorso alle minoranze cristiane perseguitate dall’Isis. L’Anno Domini 2017 segna una svolta storica per il futuro dell’Umanità grazie alla Santa Russia per gli Stati Uniti di Europa. La Chiesa Ortodossa Russa conta oggi più di 36mila chiese e 900 monasteri in oltre 70 nazioni. Le varie liturgie si svolgono di giorno e di notte ovunque nel mondo. Il 7 Gennaio è Natale per i Cristiani ortodossi di Serbia, Gerusalemme, Georgia e per la comunità monastica del Monte Athos in Grecia, una delle più antiche. Il 7 Gennaio è festività nazionale religiosa e  civile in Russia, Bielorussia, Egitto, Etiopia, Georgia, Kazakhstan, Macedonia, Moldova, Montenegro e Serbia. L’Epifania è il Natale universale di Nostro Signore Gesù Cristo, non una festa pagana. La befana romana è dei pagani. L’Epifania tutte le feste del Natale esalta nella Ortodossia cristiana dei nostri fratelli e sorelle Cristiani di tradizione ortodossa. L’Akathistos è l’inno greco più bello alla Madre di Dio, del Secolo V, da sempre cantato e celebrato nelle Chiese Bizantine d’Oriente e ora accolto e indulgenziato anche nella Chiesa Cattolica d’Occidente. Il 12 Febbraio 2018 segna a Vienna il secondo anniversario dell’incontro di Papa Francesco con il Patriarca Kirill a Cuba. L’evento è dedicato all’aiuto che cattolici e ortodossi possono offrire ai Cristiani d’Oriente, tema centrale proprio della storica Dichiarazione firmata a Cuba nell’Anno Domini 2016. Principale cattedrale ortodossa, la chiesa di Cristo Redentore fu costruita a Mosca per commemorare la vittoria della Russia nella Guerra Patriottica del 1812. È dedicata alla santa nascita biblica di Gesù, poiché fu in quel preciso giorno dell’anno, il 25 Dicembre dell’antico calendario giuliano, che l’ultimo soldato dell’armata di Napoleone lasciò la Russia. Per il primo Natale furono aperte le Porte Sante a simboleggiare l’annuncio universale della Parola di Dio. Chissà, forse verranno aperte di nuovo quando potremo celebrare la storica visita a Mosca del primo Vescovo di Roma. Buon Natale! С Рождеством Христовым! Καλή Χριστούγεννα ! Crāciun fericit! Merry Christmas! Сречан Божич! З Рiздвом Христовим! Христос рождается! Славите! ქრისტე იშვება, ვადიდებდეთ მას! Il Patriarca Kirill assicura che la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica continueranno a fornire assistenza umanitaria a tutti i Siriani.

(di Nicola Facciolini)

“Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Luca 2,10-11). “Questa luminosa festività del Natale dà a milioni di credenti gioia e speranza, li avvicina alle loro origini spirituali ed alle tradizioni degli avi, li unisce attorno ad eterni valori cristiani, retaggio storico e culturale secolare del nostro popolo” (Vladimir Putin). “La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente. Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte. E questa stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità.” (Papa Francesco). “Che dono possiamo portare noi al Maestro divino? Quel dono che Egli stesso ci chiede: “Dammi il tuo cuore, figlio mio, e i tuoi occhi custodiscano le mie vie” (Pr 23,26). L’amore umano, i valori familiari esistono nonostante i tremendi tentativi di distruggerli definitivamente, profanarli e pervertirli” (Patriarca Kirill). Il Santo Natale ortodosso della Russia inonda di luce la Cristianità europea e mediterranea. Le parole del Patriarca Sua Santità Kirill di Mosca e di tutte le Russie, del Presidente Vladimir Putin e di Papa Francesco descrivono le coordinate celesti di quella Unità che solo Cristo Signore può donare al Popolo di Dio fin d’ora nella Sua mangiatoia, in attesa del suo Cenacolo, l’obiettivo dei Cristiani di Oriente e Occidente. La Chiesa Ortodossa Russa conta oggi più di 36mila chiese e 900 monasteri in oltre 70 nazioni. Le varie liturgie si svolgono di giorno e di notte ovunque nel mondo. Il 7 Gennaio è Natale per i Cristiani ortodossi di Serbia, Gerusalemme, Georgia e per la comunità monastica del Monte Athos in Grecia, una delle più antiche. Il 7 Gennaio è festività nazionale religiosa e civile in Russia, Bielorussia, Egitto, Etiopia, Georgia, Kazakhstan, Macedonia, Moldova, Montenegro e Serbia. L’Epifania è il Natale universale di nostro Signore Gesù Cristo, non una festa pagana. La befana romana è dei pagani. L’Epifania tutte le feste del Natale esalta nella Ortodossia cristiana dei nostri fratelli e sorelle Cristiani di tradizione ortodossa. Da Kazan a Kaliningrad. Tutta la Russia festeggia il Natale Ortodosso il 7 Gennaio 2018. I Russi celebrano la santa festa del Natale nella notte tra il 6 e il 7 Gennaio. Il 7 Gennaio è tradizionalmente ritenuto giorno festivo. In Occidente, Sabato 6 Gennaio, solennità della Epifania del Signore, la Chiesa Cattolica proclama la Parola tratta dal Vangelo di Matteo (Mt 2,1-12): “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Nel suo messaggio natalizio, Sua Santità Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, dichiara: ““Eminenze e Eccellenze Reverendissime, reverendi presbiteri e diaconi, venerabili monaci e monache, cari fratelli e sorelle, porgo a tutti voi i miei più cordiali auguri in occasione della solennità del Natale di Cristo. Questa grande festa commemora la nascita secondo la carne del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo dalla purissima Vergine Maria. Oggi esortiamo tutti a lodare, insieme alla Chiesa, il Creatore e Artefice di ogni cosa dicendo: “tutta la terra canti al Signore” (heirmos della prima ode del canone del Natale di Cristo). Il Dio di bontà che ama la Sua creazione manda il suo Figlio unigenito, il Messia atteso da secoli, a compiere l’opera della nostra salvezza. Il Figlio di Dio, che è nel seno del Padre (Gv 1,18) diventa Figlio dell’uomo e viene al mondo per salvarci dal peccato col Suo sangue e affinché il pungiglione della morte non possa più spaventare l’uomo. Tutti sappiamo che i magi che adorarono Cristo gli portarono dei doni. Che dono possiamo portare noi al Maestro divino? Quel dono che Egli stesso ci chiede: “Dammi il tuo cuore, figlio mio, e i tuoi occhi custodiscano le mie vie” (Pr 23, 26). Ma cosa significa dare il cuore? Il cuore è il simbolo della vita. Se smette di battere, la persona muore. Dare il cuore a Dio significa consacrarGli la propria vita. Questa consacrazione non comporta che noi rinunciamo a tutto ciò che abbiamo. Siamo solo invitati ad eliminare dal cuore tutto ciò che impedisce la presenza di Dio. Quando tutti i nostri pensieri sono rivolti al nostro “io”, quando nel cuore non c’è posto per il prossimo, allora neanche il Signore può trovarvi posto. La presenza del prossimo nel nostro cuore dipende prima di tutto dalla nostra capacità di condividere la sofferenza degli altri, di rispondere ad essa con concrete opere di carità. Il Signore ci chiede di custodire le Sue vie. Ciò significa saper vedere la presenza di Dio nella propria vita e nella storia umana, vedere le manifestazioni dell’amore di Dio ma anche della Sua giusta ira. L’anno appena trascorso per la vita del nostro popolo – ricorda Sua Santità Kirill – è stato pieno di ricordi dei tragici avvenimenti del XX Secolo e delle persecuzioni per la fede. Abbiamo ricordato lo zelo spirituale dei neomartiri e confessori che hanno testimoniato con coraggio la propria dedizione a Cristo. Ma anche in quel tempo terribile per il nostro Paese il Signore non ha mancato di manifestarci la Sua misericordia: dopo due secoli di forzata interruzione nella nostra Chiesa è stato ristabilito l’istituto del Patriarcato, e in quel momento di dura prova il Signore ci ha donato nella persona del Santo patriarca Tichon un saggio e coraggioso pastore, per le cui ferventi preghiere presso il trono dell’Altissimo la nostra Chiesa e il nostro popolo hanno potuto affrontare il crogiolo della prova. Anche oggi attraversiamo un periodo particolare: la sofferenza non ha abbandonato il mondo e ogni giorno sentiamo parlare di guerre e di rumori di guerre (Mt 24, 6). Ma quanto amore di Dio si riversa sul genere umano! La pace esiste nonostante le forze del male. L’amore umano, i valori familiari esistono nonostante i tremendi tentativi di distruggerli definitivamente, profanarli e pervertirli. La fede in Dio è viva nei cuori della maggior parte della gente. E la nostra Chiesa, nonostante i decenni di persecuzione nel recente passato e gli sforzi di comprometterne la credibilità che hanno luogo nel presente, era, resta e sarà sempre luogo di incontro con Cristo. Confidiamo che, attraversando le prove del presente, i popoli della Rus’ storica manterranno e rinnoveranno la propria unità spirituale e conosceranno benessere e prosperità. La nascita di Cristo è l’avvenimento centrale della storia umana. In ogni epoca della storia l’uomo ha sempre cercato Dio, ma nella Sua pienezza il Creatore, Dio Uno e Trino, si è manifestato al genere umano solo con l’incarnazione del Figlio Unigenito. Egli viene in questa nostra Terra di peccato per rendere l’umanità degna dell’amore del Padre celeste e porre la base di una pace duratura con la Sua promessa: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Che quest’anno sia per il nostro popolo, per i popoli della Rus’ storica e tutti i popoli della Terra un anno di pace e prosperità. Che il Bambino divino, nato a Betlemme, ci aiuti a trovare la speranza che vince la paura e a sentire con la fede la forza dell’amore di Dio che trasfigura la vita umana. Amen”. Il 25 Dicembre del calendario giuliano coincide con il 7 Gennaio del calendario gregoriano ed è in questo giorno che la chiesa ortodossa russa festeggia il Santo Natale. Nonostante il fatto che per 70 anni di fatto non sia stata celebrata, oggi è una festa piuttosto sentita, lontana dalle luci e dal consumismo che i Russi associano al Capodanno. La preparazione alla festa comincia il 20 Dicembre (2 Gennaio) e in chiesa fino al 23 Dicembre (5 Gennaio) si canta il seguente tropario (Breve inno della festa o del santo del giorno): “Preparati Betlemme: si è aperto per tutti l’Eden. Preparati Efrata, perché dalla Vergine è fiorito l’albero della vita nella grotta. Davvero il suo grembo è divenuto spirituale paradiso in cui si trova la pianta divina: mangiando di questa vivremo, non moriremo come Adamo. Nasce Cristo, per ripristinare l’immagine un tempo caduta”. Il “kontakion”, l’inno della festa più specifico, che viene cantato nel periodo di preparazione al Natale è il seguente: “Oggi la Vergine viene nella grotta per partorire ineffabilmente il Verbo che è prima dei secoli. Danza terra tutta, che sei stata resa capace di udire questo; glorifica con gli angeli e i pastori il Dio che è prima dei secoli, che ha voluto mostrarsi come bimbo appena nato”. Il 24 Dicembre (6 Gennaio), vigilia di Natale, è un giorno di grande digiuno nelle chiese di Oriente, a meno che non cada di Sabato o Domenica: è infatti l’ultimo giorno della Quaresima d’Avvento iniziata il 15 (28) Novembre. In questo giorno il kontakion che viene cantato è lo stesso dei giorni precedenti, mentre il tropario è il seguente: “Si faceva registrare un tempo Maria a Betlemme, insieme all’anziano Giuseppe, in quanto della stirpe di Davide, mentre era incinta per una concezione senza seme. Sopraggiunse il tempo del parto e non vi era posto nell’albergo: ma quale piacevole palazzo, si mostrava la grotta della Regina. Nasce Cristo per ripristinare l’immagine un tempo caduta”. Al Vespro di Natale, la sera della vigilia, si sente finalmente per la prima volta il tropario della festa: “La tua nascita, o Cristo Dio nostro, ha fatto sorgere per il mondo la luce della conoscenza: con essa gli adoratori degli astri sono stati ammaestrati da una stella ad adorare Te, sole di giustizia e a conoscere Te, Oriente dall’alto. Signore, gloria a Te”. E al Mattutino si ode il seguente kontakion: “La Vergine oggi partorisce colui che è sovrasostanziale, e la terra offre all’inaccessibile la grotta. Gli angeli cantano gloria insieme ai pastori e i magi fanno il loro viaggio con la stella: perché per noi è nato un piccolo bimbo, il Dio che è prima dei secoli”. Segue la liturgia di festa e un grande pranzo con ogni prelibatezza. Le festività natalizie orientali sono accompagnate anche da canzoni di Natale non liturgiche, chiamate “koljadki”, “vinograd’e” o “ovseni” a seconda delle regioni. Spesso sono canzoni che i bambini cantano andando di porta in porta la notte di Natale. L’Anno Domini 2017 segna una svolta storica per il futuro dell’Umanità grazie alla Santa Russia per gli Stati Uniti di Europa. Traccia un bilancio dell’anno appena trascorso, guardando in particolare alle belle pagine scritte nei rapporti tra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede, padre Hyacinthe Destivelle, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. “Senza dubbio – rivela padre Destivelle – quest’anno è stato ricco di eventi importanti che hanno fatto seguito all’incontro a Cuba nel 2016 tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill: siamo entrati in una nuova fase delle nostre relazioni”. E il primo degli eventi importanti per la Chiesa Russa che padre Destivelle ricorda, è la venerazione delle reliquie di San Nicola di Mira che da Bari hanno raggiunto Mosca e poi San Pietroburgo. “È stato un evento storico e la Chiesa Russa festeggia questo Natale con la gioia di aver potuto venerare questa figura di Santo tanto amata nella propria terra”. Anche la cultura è un luogo privilegiato di ecumenismo, afferma padre Destivelle ricordando due mostre che hanno portato in Russia il patrimonio della Santa Sede con grande successo. “Abbiamo la stessa fede in Cristo e la stessa concezione della Chiesa anche se poi le culture trovano espressioni diverse. Queste iniziative permettono una migliore conoscenza e appaiono come passi del cammino comune verso l’unità”. Dopo Natale, già il 2018 si profila un anno denso di appuntamenti: il primo importante, annuncia padre Destivelle, è il 12 Febbraio a Vienna nel secondo anniversario dell’incontro di Papa Francesco con il Patriarca Kirill a Cuba. “L’evento è organizzato in presenza del cardinale Kurt Koch e del metropolita Hilarion di Volokolamsk ed è dedicato all’aiuto che noi cattolici e ortodossi possiamo offrire ai cristiani d’Oriente, tema centrale proprio della dichiarazione firmata a Cuba nel 2016”. Mosca ogni anno prepara la Cattedrale di Cristo Redentore per la grande Messa di mezzanotte. Gli stessi preparativi a Gerusalemme, in Serbia, Bulgaria, Ucraina e persino in Etiopia. I Cristiani confessano i propri peccati prima di poter celebrare la Santa Eucarestia, la Comunione con Cristo, come ogni Domenica. Il Patriarca Kirill (www.youtube.com/watch?v=ZNDFJq9zCXc&feature=share) celebra la Liturgia del Natale nella Cattedrale di Cristo Redentore. Già nel suo tradizionale messaggio televisivo su Rossiya-1, Sua Santità Kirill (www.youtube.com/watch?v=RXZFFYvuWUs&feature=share) indica nell’Amore l’obiettivo principale della Creazione di Dio: “Love is the key principle of the Creation and therefore its denial leads to an inevitable self-destruction. Unfortunately, today the strength of the invisible bounds of love weakened and the self-sacrificing love of not to God only, but to each other, turns into a rarity. By ignoring the God’s commandment, people are trying to come up with their own system of values, which unfortunately has no place for the real love, as well as no place for self-sacrifice and faith. Such system leads to destruction of families, the society and the government”. Il Patriarca Kirill, a differenza di Papa Francesco, riconosce pubblicamente e universalmente l’utilità dell’Operazione delle Forze Aerospaziali della Russia in Siria anche nel soccorso alle minoranze cristiane perseguitate dall’Isis: “Besides solving some issues…linked to stabilizing the situation, preventing military threats and preventing the takeover of power by terrorists…there was a very important idea in Russia’s participation – to protect the Christian minority. Thanks to Russia’s participation, the genocide of Christians was thwarted – dichiara il Patriarca Kirill – during Hussein’s regime, I visited Iraq and its northern areas, and I was in Mosul. I visited ancient Christian monasteries. I saw this pietism of people and was glad that Christian churches calmly exist in the Muslim environment. Now almost nothing has been left. The monasteries have been destroyed and the churches have been blown up. The 85% of Christians have been either eliminated or expelled from Iraq’s territory and this could have happened in Syria”. Il Patriarca Kirill assicura che la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica continueranno a fornire assistenza umanitaria a tutti i Siriani: “We also have bilateral agreements with the Catholic Church to provide humanitarian assistance together. There are different areas in which we are acting. I hope they will make their contribution to providing real assistance to those who are still suffering in Syria”. Se il Primo Ministro russo Dmitry Medvedev partecipa alle sacre funzioni natalizie con la sua famiglia nella Cattedrale di Cristo Redentore, il Presidente Vladimir Putin celebra il Natale nella chiesa dei Santi Simeone e Anna di San Pietroburgo. Principale cattedrale ortodossa, la chiesa di Cristo Redentore fu costruita per commemorare la vittoria della Russia nella Guerra Patriottica del 1812. È dedicata alla santa Nascita biblica di Gesù, poiché fu in quel preciso giorno dell’anno, il 25 Dicembre dell’antico calendario giuliano, che l’ultimo soldato dell’armata di Napoleone lasciò la Russia. Per il primo Natale furono aperte le Porte Sante a simboleggiare l’annuncio universale della Parola di Dio. Chissà, forse verranno aperte di nuovo quando potremo celebrare la storica visita a Mosca del primo Vescovo di Roma. Dopo la Liturgia natalizia, il Presidente Putin venera due sacre icone della metà del XIX Secolo raffiguranti La Nascita di San Theotokos e la Resurrezione di Cristo, così come quelle dei Santi Elia il Profeta e Anna la Profetessa, Simeone, San Michele Arcangelo e altri santi presenti nella chiesa di San Pietroburgo edificata nel 1734 su ordine della zarina Anna Ioannovna. Dichiara nel suo messaggio natalizio AD 2018 il Presidente Putin: “I sincerely wish you a happy Christmas. This happy holiday brings joy and hope to millions of believers as they feel closer to their spiritual roots and national traditions, united through eternal Christian values and our nation’s centuries-long historic and cultural legacy. With great satisfaction, I would like to acknowledge the fruitful and truly selfless efforts of the Russian Orthodox Church and other Christian denominations that support civil society and accord in our country, and the development of the inter-faith and inter-ethnic dialogue. Another important contribution they make is to strengthening lofty moral values and ideals in society, educating the younger generation and resolving current social issues. I wish all Orthodox Christians and everybody who is celebrating Christmas good health, success and happiness”. Nella Santa Messa della Notte, per la Solennità del Natale del Signore in Basilica Vaticana, Domenica 24 Dicembre 2017, Papa Francesco insegna: “Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Con questa espressione semplice ma chiara, Luca ci conduce al cuore di quella notte santa: Maria diede alla luce, Maria ci ha dato la Luce. Un racconto semplice per immergerci nell’avvenimento che cambia per sempre la nostra storia. Tutto, in quella notte, diventava fonte di speranza. Andiamo indietro di alcuni versetti. Per decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa. E poi si trovarono ad affrontare la cosa forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto. E proprio lì, in quella realtà che era una sfida, Maria ci ha regalato l’Emmanuele. Il Figlio di Dio dovette nascere in una stalla perché i suoi non avevano spazio per Lui. «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). E lì…in mezzo all’oscurità di una città che non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa. Nei passi di Giuseppe e Maria si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non hanno alcun problema a versare sangue innocente. Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità del più debole. In quella notte, Colui che non aveva un posto per nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e nelle vie della città. I pastori sono i primi destinatari di questa Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’Angelo dice: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Ecco la gioia che in questa notte siamo invitati a condividere, a celebrare e ad annunciare. La gioia con cui Dio, nella sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e stranieri, e ci spinge a fare lo stesso. La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente. Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte. E questa stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Ce lo ricordava San Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo» (Omelia nella Messa d’inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978). Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato (Mt 25,35-36). «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo». In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità. Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme, ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente”. Ai Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e del Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso, in Basilica Vaticana, Domenica 31 Dicembre 2017, Papa Francesco insegna: “«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio» (Gal 4,4). Questa celebrazione vespertina respira l’atmosfera della pienezza del tempo. Non perché siamo all’ultima sera dell’anno solare, tutt’altro, ma perché la fede ci fa contemplare e sentire che Gesù Cristo, Verbo fatto carne, ha dato pienezza al tempo del mondo e alla storia umana. «Nato da donna» (v. 4). La prima a sperimentare questo senso della pienezza donata dalla presenza di Gesù è stata proprio la «donna» da cui Egli è «nato». La Madre del Figlio incarnato, Madre di Dio. Attraverso di lei, per così dire, è sgorgata la pienezza del tempo: attraverso il suo cuore umile e pieno di fede, attraverso la sua carne tutta impregnata di Spirito Santo. Da lei la Chiesa ha ereditato e continuamente eredita questa percezione interiore della pienezza, che alimenta un senso di gratitudine, come unica risposta umana degna del dono immenso di Dio. Una gratitudine struggente, che, partendo dalla contemplazione di quel Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, si estende a tutto e a tutti, al mondo intero. E’ un “grazie” che riflette la Grazia; non viene da noi, ma da Lui; non viene dall’io, ma da Dio, e coinvolge l’io e il noi. In questa atmosfera creata dallo Spirito Santo, noi eleviamo a Dio il rendimento di grazie per l’anno che volge al termine, riconoscendo che tutto il bene è dono suo. Anche questo tempo dell’anno 2017, che Dio ci aveva donato integro e sano, noi umani l’abbiamo in tanti modi sciupato e ferito con opere di morte, con menzogne e ingiustizie. Le guerre sono il segno flagrante di questo orgoglio recidivo e assurdo. Ma lo sono anche tutte le piccole e grandi offese alla vita, alla verità, alla fraternità, che causano molteplici forme di degrado umano, sociale e ambientale. Di tutto vogliamo e dobbiamo assumerci, davanti a Dio, ai fratelli e al creato, la nostra responsabilità. Ma questa sera prevale la grazia di Gesù e il suo riflesso in Maria. E prevale perciò la gratitudine, che, come Vescovo di Roma, sento nell’animo pensando alla gente che vive con cuore aperto in questa città. Provo un senso di simpatia e di gratitudine per tutte quelle persone che ogni giorno contribuiscono con piccoli ma preziosi gesti concreti al bene di Roma: cercano di compiere al meglio il loro dovere, si muovono nel traffico con criterio e prudenza, rispettano i luoghi pubblici e segnalano le cose che non vanno, stanno attenti alle persone anziane o in difficoltà, e così via. Questi e mille altri comportamenti esprimono concretamente l’amore per la città. Senza discorsi, senza pubblicità, ma con uno stile di educazione civica praticata nel quotidiano. E così cooperano silenziosamente al bene comune. Ugualmente sento in me una grande stima per i genitori, gli insegnanti e tutti gli educatori che, con questo medesimo stile, cercano di formare i bambini e i ragazzi al senso civico, a un’etica della responsabilità, educandoli a sentirsi parte, a prendersi cura, a interessarsi della realtà che li circonda. Queste persone, anche se non fanno notizia, sono la maggior parte della gente che vive a Roma. E tra di loro non poche si trovano in condizioni di strettezze economiche; eppure non si piangono addosso, né covano risentimenti e rancori, ma si sforzano di fare ogni giorno la loro parte per migliorare un po’ le cose. Oggi, nel rendimento di grazie a Dio, vi invito ad esprimere anche la riconoscenza per tutti questi artigiani del bene comune, che amano la loro città non a parole ma con i fatti”. Nell’omelia della Santa Messa per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e la Giornata Mondiale della Pace, nella Basilica Vaticana, Lunedì 1° Gennaio 2018, Papa Francesco insegna: “L’anno si apre nel nome della Madre di Dio. Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna. Ma una domanda potrebbe sorgere: perché diciamo Madre di Dio e non Madre di Gesù? Alcuni, in passato, chiesero di limitarsi a questo, ma la Chiesa ha affermato: Maria è Madre di Dio. Dobbiamo essere grati perché in queste parole è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso. Non c’è più Dio senza uomo: la carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre. Dire Madre di Dioci ricorda questo: Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo. La parola madre (mater), rimanda anche alla parola materia. Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi. Ecco il miracolo, ecco la novità: l’uomo non è più solo; mai più orfano, è per sempre figlio. L’anno si apre con questa novità. E noi la proclamiamo così, dicendo: Madre di Dio! È la gioia di sapere che la nostra solitudine è vinta. È la bellezza di saperci figli amati, di sapere che questa nostra infanzia non ci potrà mai essere tolta. È specchiarci nel Dio fragile e bambino in braccio alla Madre e vedere che l’umanità è cara e sacra al Signore. Perciò, servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, va accolta, amata e aiutata. Lasciamoci ora guidare dal Vangelo di oggi. Della Madre di Dio si dice una sola frase: «Custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Custodiva. Semplicemente custodiva. Maria non parla: il Vangelo non riporta neanche una sua parola in tutto il racconto del Natale. Anche in questo la Madre è unita al Figlio: Gesù è infante, cioè “senza parola”. Lui, il Verbo, la Parola di Dio che «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato» (Eb 1,1), ora, nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), è muto. Il Dio davanti a cui si tace è un bimbo che non parla. La sua maestà è senza parole, il suo mistero di amore si svela nella piccolezza. Questa piccolezza silenziosa è il linguaggio della sua regalità. La Madre si associa al Figlio e custodisce nel silenzio. E il silenzio ci dice che anche noi, se vogliamo custodirci, abbiamo bisogno di silenzio. Abbiamo bisogno di rimanere in silenzio guardando il presepe. Perché davanti al presepe ci riscopriamo amati, assaporiamo il senso genuino della vita. E guardando in silenzio, lasciamo che Gesù parli al nostro cuore: che la sua piccolezza smonti la nostra superbia, che la sua povertà disturbi le nostre fastosità, che la sua tenerezza smuova il nostro cuore insensibile. Ritagliare ogni giorno un momento di silenzio con Dio è custodire la nostra anima; è custodire la nostra libertà dalle banalità corrosive del consumo e dagli stordimenti della pubblicità, dal dilagare di parole vuote e dalle onde travolgenti delle chiacchiere e del clamore. Maria custodiva, prosegue il Vangelo, tutte queste cose, meditandole. Quali erano queste cose? Erano gioie e dolori: da una parte la nascita di Gesù, l’amore di Giuseppe, la visita dei pastori, quella notte di luce. Ma dall’altra: un futuro incerto, la mancanza di una casa, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7); la desolazione del rifiuto; la delusione di aver dovuto far nascere Gesù in una stalla. Speranze e angosce, luce e tenebra: tutte queste cose popolavano il cuore di Maria. E lei, che cosa ha fatto? Le ha meditate, cioè le ha passate in rassegna con Dio nel suo cuore. Niente ha tenuto per sé, niente ha rinchiuso nella solitudine o affogato nell’amarezza, tutto ha portato a Dio. Così ha custodito. Affidando si custodisce: non lasciando la vita in preda alla paura, allo sconforto o alla superstizione, non chiudendosi o cercando di dimenticare, ma facendo di tutto un dialogo con Dio. E Dio che ci ha a cuore, viene ad abitare le nostre vite. Ecco i segreti della Madre di Dio: custodire nel silenzio e portare a Dio. Ciò avveniva, conclude il Vangelo, nel suo cuore. Il cuore invita a guardare al centro della persona, degli affetti, della vita. Anche noi, cristiani in cammino, all’inizio dell’anno sentiamo il bisogno di ripartire dal centro, di lasciare alle spalle i fardelli del passato e di ricominciare da ciò che conta. Ecco oggi davanti a noi il punto di partenza: la Madre di Dio. Perché Maria è come Dio ci vuole, come vuole la sua Chiesa: Madre tenera, umile, povera di cose e ricca di amore, libera dal peccato, unita a Gesù, che custodisce Dio nel cuore e il prossimo nella vita. Per ripartire, guardiamo alla Madre. Nel suo cuore batte il cuore della Chiesa. Per andare avanti, ci dice la festa di oggi, occorre tornare indietro: ricominciare dal presepe, dalla Madre che tiene in braccio Dio. La devozione a Maria non è galateo spirituale, è un’esigenza della vita cristiana. Guardando alla Madre siamo incoraggiati a lasciare tante zavorre inutili e a ritrovare ciò che conta. Il dono della Madre, il dono di ogni madre e di ogni donna è tanto prezioso per la Chiesa, che è madre e donna. E mentre l’uomo spesso astrae, afferma e impone idee, la donna, la madre, sa custodire, collegare nel cuore, vivificare. Perché la fede non si riduca solo a idea o a dottrina, abbiamo bisogno, tutti, di un cuore di madre, che sappia custodire la tenerezza di Dio e ascoltare i palpiti dell’uomo. La Madre, firma d’autore di Dio sull’umanità, custodisca quest’anno e porti la pace di suo Figlio nei cuori, nei nostri cuori, e nel mondo. E come figli, semplicemente, vi invito a salutarla oggi con il saluto dei cristiani di Efeso, davanti ai loro vescovi: “Santa Madre di Dio!”. Diciamo, tre volte, dal cuore, tutti insieme, guardandola [rivolto alla statua esposta accanto all’altare]: “Santa Madre di Dio!”. Nell’omelia della Messa celebrata nella Basilica di San Pietro, in occasione della Solennità dell’Epifania del Signore, il 6 Gennaio 2018, Papa Francesco mette a fuoco i gesti dei Magi che videro la stella, camminarono e offrirono doni: “Tre gesti dei Magi orientano il nostro percorso incontro al Signore, che oggi si manifesta come luce e salvezza per tutte le genti. I Magi vedono la stella, camminano e offrono doni. Vedere la stella. È il punto di partenza. Ma perché, potremmo chiederci, solo i Magi hanno visto la stella? Forse perché in pochi avevano alzato lo sguardo al cielo. Spesso, infatti, nella vita ci si accontenta di guardare per terra: bastano la salute, qualche soldo e un po’ di divertimento. E mi domando: noi, sappiamo ancora alzare lo sguardo al cielo? Sappiamo sognare, desiderare Dio, attendere la sua novità, o ci lasciamo trasportare dalla vita come un ramo secco dal vento? I Magi non si sono accontentati di vivacchiare, di galleggiare. Hanno intuito che, per vivere davvero, serve una meta alta e perciò bisogna tenere alto lo sguardo. Ma, potremmo chiederci ancora, perché, tra quanti alzavano lo sguardo al cielo, tanti altri non hanno seguito quella stella, «la sua stella» (Mt 2,2)? Forse perché non era una stella appariscente, che splendeva più di altre. Era una stella – dice il Vangelo – che i Magi videro appena «spuntare» (vv. 2.9). La stella di Gesù non acceca, non stordisce, ma invita gentilmente. Possiamo chiederci quale stella scegliamo nella vita. Ci sono stelle abbaglianti, che suscitano emozioni forti, ma che non orientano il cammino. Così è per il successo, il denaro, la carriera, gli onori, i piaceri ricercati come scopo dell’esistenza. Sono meteore: brillano per un po’, ma si schiantano presto e il loro bagliore svanisce. Sono stelle cadenti, che depistano anziché orientare. La stella del Signore, invece, non è sempre folgorante, ma sempre presente; è mite; ti prende per mano nella vita, ti accompagna. Non promette ricompense materiali, ma garantisce la pace e dona, come ai Magi, «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Chiede, però, di camminare. Camminare, la seconda azione dei Magi, è essenziale per trovare Gesù. La sua stella, infatti, domanda la decisione del cammino, la fatica quotidiana della marcia; chiede di liberarsi da pesi inutili e da fastosità ingombranti, che intralciano, e di accettare gli imprevisti che non compaiono sulla mappa del quieto vivere. Gesù si lascia trovare da chi lo cerca, ma per cercarlo bisogna muoversi, uscire. Non aspettare; rischiare. Non stare fermi; avanzare. È esigente Gesù: a chi lo cerca propone di lasciare le poltrone delle comodità mondane e i tepori rassicuranti dei propri caminetti. Seguire Gesù non è un educato protocollo da rispettare, ma un esodo da vivere. Dio, che liberò il suo popolo attraverso il tragitto dell’esodo e chiamò nuovi popoli a seguire la sua stella, dona la libertà e distribuisce la gioia sempre e solo in cammino. In altre parole, per trovare Gesù bisogna lasciare la paura di mettersi in gioco, l’appagamento di sentirsi arrivati, la pigrizia di non chiedere più nulla alla vita. Occorre rischiare, semplicemente per incontrare un Bambino. Ma ne vale immensamente la pena, perché trovando quel Bambino, scoprendo la sua tenerezza e il suo amore, ritroviamo noi stessi. Mettersi in cammino non è facile. Il Vangelo ce lo mostra attraverso i vari personaggi. C’è Erode, turbato dal timore che la nascita di un re minacci il suo potere. Perciò organizza riunioni e manda altri a raccogliere informazioni; ma lui non si muove, sta chiuso nel suo palazzo. Anche «tutta Gerusalemme» (v. 3) ha paura: paura delle novità di Dio. Preferisce che tutto resti come prima – “si è sempre fatto così” – e nessuno ha il coraggio di andare. Più sottile è la tentazione dei sacerdoti e degli scribi. Essi conoscono il luogo esatto e lo segnalano a Erode, citando anche la profezia antica. Sanno, ma non fanno un passo verso Betlemme. Può essere la tentazione di chi è credente da tempo: si disquisisce di fede, come di qualcosa che si sa già, ma non ci si mette in gioco personalmente per il Signore. Si parla, ma non si prega; ci si lamenta, ma non si fa il bene. I Magi, invece, parlano poco e camminano molto. Pur ignari delle verità di fede, sono desiderosi e in cammino, come evidenziano i verbi del Vangelo: «venuti ad adorarlo» (v. 2), «partirono; entrati, si prostrarono; fecero ritorno» (vv. 9.11.12): sempre in movimento. Offrire. Arrivati da Gesù, dopo il lungo viaggio, i Magi fanno come Lui: donano. Gesù è lì per offrire la vita, essi offrono i loro beni preziosi: oro, incenso e mirra. Il Vangelo si realizza quando il cammino della vita giunge al dono. Donare gratuitamente, per il Signore, senza aspettarsi qualcosa in cambio: questo è segno certo di aver trovato Gesù, che dice: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Fare il bene senza calcoli, anche se nessuno ce lo chiede, anche se non ci fa guadagnare nulla, anche se non ci fa piacere. Dio questo desidera. Egli, fattosi piccolo per noi, ci chiede di offrire qualcosa per i suoi fratelli più piccoli. Chi sono? Sono proprio quelli che non hanno da ricambiare, come il bisognoso, l’affamato, il forestiero, il carcerato, il povero (Mt 25,31-46). Offrire un dono gradito a Gesù è accudire un malato, dedicare tempo a una persona difficile, aiutare qualcuno che non ci suscita interesse, offrire il perdono a chi ci ha offeso. Sono doni gratuiti, non possono mancare nella vita cristiana. Altrimenti, ci ricorda Gesù, se amiamo quelli che ci amano, facciamo come i pagani (Mt 5,46-47). Guardiamo le nostre mani, spesso vuote di amore, e proviamo oggi a pensare a un dono gratuito, senza contraccambio, che possiamo offrire. Sarà gradito al Signore. E chiediamo a Lui: “Signore, fammi riscoprire la gioia di donare”. Cari fratelli e sorelle, facciamo come i Magi: guardare in alto, camminare, e offrire doni gratuiti”. Nella festa del Battesimo del Signore, all’omelia della Messa, con il battesimo di 34 bambini nella Cappella Sistina, Domenica 7 Gennaio 2018, Papa Francesco insegna: “Cari genitori, voi portate al Battesimo i vostri figli, e questo è il primo passo per quel compito che voi avete, il compito della trasmissione della fede. Ma noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo per trasmettere la fede, da soli non possiamo. Poter trasmettere la fede è una grazia dello Spirito Santo, la possibilità di trasmetterla; ed è per questo che voi portate qui i vostri figli, perché ricevano lo Spirito Santo, ricevano la Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – che abiterà nei loro cuori. Vorrei dirvi una cosa soltanto, che riguarda voi: la trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con spiegazioni…Ma non dimenticatevi questo: si fa “in dialetto”, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare. Non dimenticatevi. Il vostro compito è trasmettere la fede ma farlo col dialetto dell’amore della vostra casa, della famiglia. Anche loro (i bambini) hanno il proprio “dialetto”, che ci fa bene sentire! Adesso tutti stanno zitti, ma è sufficiente che uno dia il tono e poi l’orchestra segue! Il dialetto dei bambini! E Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro. Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, che parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù. E nelle vostre preghiere siate semplici come loro, dite a Gesù quello che viene nel vostro cuore come lo dicono loro. Oggi lo diranno col pianto, sì, come fanno i bambini. Il dialetto dei genitori che è l’amore per trasmettere la fede, e il dialetto dei bambini che va accolto dai genitori per crescere nella fede. Continueremo adesso la cerimonia; e se loro incominciano a fare il concerto è perché non sono comodi, o hanno troppo caldo, o non si sentono a loro agio, o hanno fame…Se hanno fame, allattateli, senza paura, date loro da mangiare, perché anche questo è un linguaggio di amore”. L’Akathistos (www.youtube.com/watch?v=VaByq4FG52o) è l’inno greco più bello alla Madre di Dio del Secolo V, da sempre cantato e celebrato nelle Chiese Bizantine d’Oriente e ora accolto e indulgenziato anche nella Chiesa Cattolica d’Occidente. Buon Natale! С Рождеством Христовым! Καλή Χριστούγεννα ! Crāciun fericit! Merry Christmas! Сречан Божич! З Рiздвом Христовим! Христос рождается! Славите! ქრისტე იშვება, ვადიდებდეთ მას!

                                                                                © Nicola Facciolini

 

 

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