SULMONA – ABBAZIA DI SANTO SPIRITO AL MORRONE

L’Abbazia, posta nella fascia pedemontana del Morrone, in un territorio fin dall’antico deputato alla sacralità, dialoga da sempre con l’eremo di S. Onofrio, rifugio prediletto di fra Pietro e con l’imponente Santuario di Ercole Curino. Il Cenobio nasce verso la metà del XIII secolo ad opera di fra Pietro di Angelerio, futuro Papa Celestino V. Nel settembre del 1293, ospita il Capitolo Generale dell’Ordine dei Celestini, durante il quale viene dichiarato sede dell’Abate Supremo. Il momento di maggiore gloria è certamente l’anno 1294 allorchè fra Pietro viene eletto Papa e la delegazione composta a Perugia, dove si era svolto il conclave, lo raggiunge nel suo eremo di S. Onofrio e gli consegna ufficialmente il Decreto di nomina. Il complesso conventuale verrà dotato di molti privilegi, in particolare Carlo II d’Angiò lo arricchirà di terre e castelli, facendolo divenire uno dei più ragguardevoli del Regno. Col tempo l’Abbazia migliorerà sempre di più le sue condizioni economiche. I due portali in pietra, detti i “portali del feudo”, ancora presenti davanti all’ingresso principale, permettevano l’accesso alle vaste tenute terriere. La buona situazione patrimoniale ha permesso in tutti i secoli il fiorire dell’arte e della cultura, la continua presenza di personaggi di rilievo e la fervida attività di maestranze di grande levatura artistica. Il monastero nel corso dei secoli si è ampliato e ha subito diverse modifiche, ma il modello di vita monastica praticato, ispirato alla regola benedettina dell’”ora et labora”, ha sempre guidato la concezione dell’impianto costruttivo. Sono stati realizzati così vasti ambienti da adibire ad oratorio, refettorio, Il cortile dei Platanibiblioteca, sala capitolare ma anche stanze di lavoro. I periodi successivi ai terremoti del 1456 e del 1706 rappresentano i momenti di maggiore trasformazione: in particolare abbiamo notevoli testimonianze dei lavori del 1706 e del 1730, data incisa anche sull’orologio della chiesa. Con la legge napoleonica del 1806, che disponeva la soppressione degli Ordini religiosi, viene abolita la Congregazione Celestina. Fino ad allora l’entrata del monastero superava i 6000 ducati annui e i monaci non erano meno di ottanta. Dopo il 1807 diventerà prima “Real Collegio dei tre Abruzzi”, poi nel 1818 Ospizio, nel 1840 “Real Casa dei Mendici dei tre Abruzzi” e infine nel 1868 verrà trasformata in Istituto di pena. Nel 1993 ne viene dismesso l’uso carcerario e nel 1998 l’edificio monumentale viene assegnato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Oggi l’Abbazia si presenta come un grandioso complesso monumentale di forma quadrangolare circondato da possenti mura. E’ strutturato su cinque cortili che lo suddividono in una serie di ampi percorsi rimasti quasi intatti nel tempo.

La chiesa settecentesca è caratterizzata dall’interessante facciata di gusto borrominiano che richiama il San Carlo alle QuattChiesa di Santo Spiritoro Fontane di Roma. L’interno, luminoso e semplice, è a croce greca con cupola all’incrocio dei bracci che imposta su colonne di ordine corinzio. Il fronte realizzato dalla felice combinazione della pietra calcarea di tipo compatto e di tipo breccioso viene attribuito al pescolano Donato Di Rocco. All’interno sono presenti due altari, sulla destra quello dedicato a San Benedetto e sulla sinistra quello dedicato a San Pietro Celestino, entrambi ornati da bellissimi marmi policromi. Nell’abside è posizionato l’imponente coro a due ordini di stalli, in noce e preziosamente intagliati. Tradizionalmente attribuito a Ferdinando Mosca, di recente è stato assegnato a Mastro Leonardo Marchione di Pacentro che nel 1722 stipula un contratto con l’Abate Generale dei Celestini. Al centro dell’abside vi è una bella tela secentescaInterno della chiesa, particolare dopo il restauro di scuola napoletana, di grandi dimensioni, raffigurante la Discesa dello Spirito Santo, di cui esiste in Abruzzo un bozzetto di proprietà privata. Nella controfacciata della chiesa è posizionata la monumentale cantoria d’organo sostenuta da quattro pilastri, intagliata e scolpita da Giovan Battista Del Frate nel 1681 e dorata da Francesco Caldarella di Santo Stefano di Sessanio. Presenta un parapetto curvilineo con bellissimi bassorilievi che riproducono fogliame e fiori; al centro della balaustra, all’interno di un ovale è visibile lo stemma del Celestini e quello dell’Abate Generale. I dipinti che la ornano forniscono interessanti notizie per la ricostruzione delle vicende storiche dell’Abbazia, uno in particolare ne propone una visione d’insieme. La cupola mostra la particolarità di non poggiare sul tamburo ma direttamente su quattro pennacchi. Al suo interno, in otto ovali, troviamo pitture monocrome con le immagini degli Abati che si sono succeduti nel corso dei secoli, in uno dei quali è visibile la figura di Celestino V.

Cripta, voltaSotto la zona presbiteriale della chiesa, vi è un’ampia cripta medioevale a pianta irregolare con volte a crociera, sostenute da colonne sormontate da originali capitelli decorati con motivi geometrici. In un piccolo ambiente, lungo tutta la parete, corre un sedile in pietra da cui partono sette colonnine che si raccordano al centro di una cupola. In una nicchia è conservato un dipinto degli inizi del XIV secolo raffigurante San Pietro Celestino che dispensa la regola. L’autore, non identificato, mette inCripta, affresco evidenza l’immagine del Santo che indossa ancora il saio monacale, con la mano sinistra regge la palma del martirio e con la destra porge un libro (forse la regola dell’Ordine) a un numeroso gruppo di compagni genuflessi. La cripta può essere considerata il cuore antico dell’Abbazia in quanto identificata come il primo luogo di preghiera che Pietro di Angelerio sceglierà al suo arrivo alle pendici del Monte Morrone.

Cappella Cantelmo – Caldora. Monumento sepolcrale Cantelmo CaldoraTra le esigue preesistenze di epoca medievale, particolare rilevanza storico-artistica viene riconosciuta alla Cappella gentilizia della famiglia Cantelmo-Caldora attigua alla chiesa. All’interno, in una nicchia, è posto il monumento funebre commissionato da Madonna Rita Cantelmo, vedova Caldora, eseguito nel 1412 da Gualtiero di Alemagna, come attesta un’iscrizione sulla cornice. Il sarcofago poggia su colonnine doriche, sul coperchio è riprodotta la figura di Restaino, il figlio morto prematuramente, mentre sulla predella sono rappresentati la madre e i fratelli. La parte frontale è intagliata vigorosamente con rilievi ripartiti in tre riquadri: al centro l’Incoronazione della Vergine e sui lati le figure degli Apostoli. A Gualtiero d’Alemagna gli studiosi hanno assegnato anche il monumento Camponeschi nella chiesa di San Biagio di Amiterno, ora San Giuseppe, a L’Aquila. Un terzo monumento, andato perduto a seguito del sisma del 1703, fu fatto erigere nella chiesa aquilana di San Domenico nel 1415 da Maurizia Camponeschi in memoria dei Gaglioffi e in particolare del marito Niccolò. Risulterebbero così coinvolte alcune delle famiglie più importanti dell’aristocrazia abruzzese: i Cantelmo, i Caldora, i Camponeschi e i Gaglioffi che sicuramente, nel commissionare le opere, dovettero rivolgersi a personalità di primo piano, abituate a muoversi sulla scena internazionale dei grandi cantieri legati alle corti europee. Nell’eseguire questi sepolcri l’artista, da identificarsi molto verosimilmente con il Gualtiero di Monaco che lavorò nel Duomo di Milano e nella Cattedrale di Orvieto, tenne presente i monumenti del Nord e le arche scaligere di Verona e, non da ultimo, le tombe dei reali d’Angiò a Napoli. Quanto ai caratteri stilistici, la presenza delle decorazioni anche sulle cornici e sulle colonne, nonché la fitta serie dei personaggi ad alto rilievo indicano la volontà di riempire tutti gli spazi disponibili e una predilezione per una plastica ritmica che alimenta il gioco delle luci e delle ombre, tutti aspetti tipici dell’arte tardo–gotica. In perfetta sintonia con i valori simbolici e le peculiarità stilistiche del monumento funebre, sulle pareti della Cappella Caldora si svolge una pagina notevole di pittura, commissionata sempre da Rita Cantelmo. Sopra al monumento è rappresentata la scena del Compianto e di fianco un Santo guerriero. Sulle altre pareti nei dodici riquadri sono rappresentati, partendo dall’alto, i seguenti episodi della vita di Cristo: Annunciazione, Natività, Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti, Battesimo di Cristo, Ingresso a Gerusalemme, Preghiera nell’orto degli ulivi, Flagellazione, Salita al Calvario, Crocifissione, Ascensione e Pentecoste. La scena del Compianto costituisce l’elemento di raccordo tra il monumento funebre e i dipinti: Rita Cantelmo piange il figlio morto al pari della Vergine che accoglie tra le braccia il corpo esanime del Cristo. Il ciclo pittorico viene assegnato a un’interessante figura artistica denominata, convenzionalmente, da questa sua opera principale, “Maestro della Cappella Caldora”.

Il Refettorio è una vasta sala lunga 34 m. e larga 8 m., decorata da pitture murali monocrome realizzate tra il 1717 e il 1719 da Frate Joseph Martinez, oblato celestino, ed impreziosite da ricche decorazioni in stucco. Con l’uso improprio, fatto per più di un secolo dall’Istituto di Pena come ambiente adibito a falegnameria, uno spesso strato di calce che doveva coprire un altrettanto spesso strato di nero fumo, comprometteva la leggibilità dei dipinti. Il restauro ha permesso di recuperare sia le scene all’interno delle cornici in stucco, sia la serie di telamoni collocati all’esterno di esse. Questi ora sembrano sospesi nel vuoto ma un tempo prendevano piede dai pregevoli arredi lignei. I monocromi nelle due ampie lunette all’estremità della sala rappresentano le Nozze di Cana e l’Ultima Cena; negli ovali laterali sono visibili episodi del Vecchio Testamento e storie della vita di San Pietro Celestino, mentre in alto otto medaglioni incorniciano le figure simboliche delle virtù. L’accesso al Refettorio è possibile tramite una scala monumentale composta da due gradinate simmetriche in pietra bianca della Majella. E’ stata costruita dopo il terremoto del 1706 per ovviare ad un dislivello di piano creatosi tra l’ala est del Monastero e il Refettorio stesso. Sul fronte delle balaustre sono scolpiti lo stemma papale di Celestino V e quello dell’Ordine dei Celestini.

 

( Cicchetti Ivan )

 

 

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