Viaggio apostolico di Papa Bergoglio in Irlanda per il IX Incontro Mondiale delle Famiglie sul tema Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo

L’Aquila / La Famiglia nel Matrimonio di un Uomo e di una Donna è il Piano di Dio per la Umanità nel 724mo anniversario del primo Giubileo celebrato dalla Chiesa con la Perdonanza Celestiniana di L’Aquila. La Lettera al Popolo di Dio e l’Amoris Laetitia, consegnata a ciascuna famiglia sull’Isola di smeraldo, sono al centro del 24mo viaggio apostolico di Papa Bergoglio in Irlanda (25-26 Agosto 2018) per il IX Incontro Mondiale delle Famiglie (#PopeInIreland) sul tema “Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo”. È la sua seconda esperienza dopo Filadelfia. Papa Francesco insegna: “In famiglia amatevi come Cristo. L’amore è il sogno di Dio per noi e per l’intera famiglia umana. Per favore, non dimenticatelo mai! Dio ha un sogno per noi e chiede a noi di farlo proprio. Non abbiate paura di quel sogno! Sognate in grande! Voi, famiglie, siete la speranza della Chiesa e del mondo! Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ha creato l’umanità a Sua immagine e somiglianza per farla partecipe del Suo amore, perché fosse una famiglia di famiglie e godesse quella pace che Lui solo può dare. Ricordo una volta, avrò avuto cinque anni, sono entrato a casa e lì, nella sala da pranzo, papà arrivava dal lavoro, in quel momento, prima di me, e ho visto papà e mamma che si baciavano. Non lo dimentico mai! Che cosa bella! Stanco del lavoro, ma ha avuto la forza di esprimere l’amore a sua moglie! Ogni bambino è un dono prezioso di Dio da custodire, incoraggiare perché sviluppi i suoi doni e condurre alla maturità spirituale e alla pienezza umana. È molto importante che i bambini da piccolini imparino a fare bene il segno della Croce: è il primo Credo che imparano, il Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. La famiglia è il collante della società; il suo bene non può essere dato per scontato, ma va promosso e tutelato con ogni mezzo appropriato. L’Incontro Mondiale è una celebrazione della bellezza del piano di Dio per la famiglia; è anche un’occasione per le famiglie provenienti da ogni parte del mondo di incontrarsi e sostenersi a vicenda nel vivere la loro speciale vocazione. Le famiglie, oggi, affrontano molte sfide nei loro sforzi per incarnare un amore fedele, per crescere figli con valori sani e per essere nella più ampia comunità, lievito di bontà, amore e cura reciproca. Voi sapete tutto questo. I giovani sono il futuro! È molto importante preparare i giovani per il futuro, prepararli oggi, nel presente, ma con le radici del passato: i giovani e i nonni. Siamo tutti consapevoli dell’urgente necessità di offrire ai giovani un saggio accompagnamento e valori sani per il loro cammino di crescita. A Dublino siamo riuniti per una celebrazione familiare di ringraziamento a Dio per quello che siamo: una sola famiglia in Cristo, diffusa su tutta la Terra. La Chiesa è la famiglia dei figli di Dio. Le famiglie possono connettersi attraverso Internet e trarne beneficio. I social media possono essere benefici se usati con moderazione e prudenza. Guidati dalla luce della fede per attuare il rinnovamento profondo della Chiesa e della Nazione, i Vescovi d’Irlanda siano pastori e padri, prossimi al popolo di Dio. No al clericalismo. La durevole pace che è il sogno di Dio per l’intera famiglia umana. Quanto bisogno abbiamo di recuperare, in ogni ambito della vita politica e sociale, il senso di essere una vera famiglia di popoli!”. Bambini abbracciati ai propri nonni, mamme impegnate a ballare e cantare con i propri piccoli, papà che fanno la hola a braccetto con i figli sugli spalti delle tribune. Al Croke Park Stadium di Dublino, Sabato sera 25 Agosto 2018, si è potuto vedere e toccare con mano, tra gli 80mila presenti, la bellezza dello stare insieme, nel segno del Vangelo, di famiglie provenienti da tutto il mondo. È stata così davvero, e non solo di nome, una Festa della Famiglia Umana, anche grazie al grande impegno profuso dagli organizzatori che hanno saputo creare un programma ricco e intenso culminato nell’Ave Maria cantata in modo sublime da Andrea Bocelli in uno scenario interstellare. Il Papa avverte: “La guerra fredda è molto pericolosa! Possiamo dire che l’obiettivo di generare prosperità economica, o finanziaria, porta da sé a un ordine sociale più giusto ed equo? Non potrebbe invece essere che la crescita di una “cultura dello scarto” materialistica, ci ha di fatto resi sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana, compresi i non nati, privati dello stesso diritto alla vita? Una società che non valorizza i nonni è una società senza futuro. La sfida che più provoca le nostre coscienze in questi tempi è la massiccia crisi migratoria, che non è destinata a scomparire e la cui soluzione esige saggezza, ampiezza di vedute e una preoccupazione umanitaria che vada ben al di là di decisioni politiche a breve termine”. Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco di circa settant’anni. Francesco, durante la Messa al Phoenix Park di Dublino, nell’Atto Penitenziale, torna a chiedere perdono anche per quanti hanno gettato un velo di silenzio sul dolore di tanti: “Chiediamo perdono per gli abusi in Irlanda, abusi di potere e di coscienza, abusi sessuali da parte di membri qualificati della Chiesa”. Dublino passa il testimone a Roma dove nell’Anno Domini 2021 si svolgerà il X Incontro Mondiale delle Famiglie, nel V anniversario dell’Amoris Laetitia, annuncia il cardinale Kevin Farrell al termine della Messa celebrata dal Papa al Phoenix Park di Dublino alla presenza di 300mila persone. I casi di violenze commesse dalla Chiesa irlandese sui piccoli innocenti e la questione clandestini intimamente legata all’altra questione meno dibattuta delle Guerre Umanitarie scatenate dall’Occidente contro i Popoli liberi della Terra per esportare la “democrazia” e il “mercato” a suon di missili e bombe, tengono banco tra i giornalisti sempre meno intessati al Magistero di Papa Bergoglio che esprime ammirazione per la fede degli Irlandesi. “Il diavolo non vincerà mai”, assicura il Santo Padre. Perché la Chiesa è di Gesù Cristo che l’ha edificata. Non degli Umani cui è solo affidata. Francesco in Irlanda incontra anche un gruppo di 62 rappresentanti della Compagnia di Gesù, di cui due provenienti da Stati Uniti d’Ameria e Africa. Allo stadio Croke Park di Dublino, in un suggestivo scenario interstellare di luci e musiche divine, la Festa delle Famiglia (https://www.youtube.com/watch?v=AjLC4PKp_Oc) mostra al Papa e al mondo la bellezza e la gioia dello stare insieme uniti dal Vangelo. Un evento che rimarrà a lungo nel cuore degli Irlandesi e dei Dublinesi. Pare ragionevole pensare che si possano qualificare abusi contro i piccoli innocenti, anche le politiche della ideologia gender promosse da istituzioni e multinazionali americane sulla Terra. Costringere i bambini alla omosessualità vivendo in gruppi monosessuali é violenza. Errare è umano, perdonare è divino. Nemo malus nisi probetur. L’invito del Papa ai giornalisti: “Il vostro lavoro è delicato, dovete dire le cose ma sempre con la presunzione legale di innocenza e non con la presunzione di colpevolezza”. Più complesso è il caso della nave italiana della capitaneria di porto “Diciotti”, legato alle questioni mondiali della clandestinità, della tratta di esseri umani e delle guerre umanitarie che vedono l’Italia al centro del mirino. Sul caso della Diciotti, Papa Francesco rivela: “Lo zampino è del diavolo, non il mio! Lo zampino è del diavolo. La virtù della prudenza è la virtù del governante, dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga”. Cosa è successo con la Diciotti? Chi va all’Università Roma III e perchè? Papa Bergoglio risponde: “Questo è il lavoro con i migranti, l’integrazione. Io ho visto, ne ho un filmato clandestino, cosa succede a coloro che sono mandati indietro e sono ripresi dai trafficanti: è orribile, le cose che fanno agli uomini, alle donne e ai bambini, li vendono, ma agli uomini fanno le torture più sofisticate. C’era uno lì che è stato capace, una spia, di fare quel filmato, che ho inviato ai miei due sottosegretari delle migrazioni. Per questo, a mandarli indietro ci si deve pensare bene, bene, bene”. Che sfida è sempre quella di accogliere il migrante e lo straniero senza trattare con i signori della guerra e dei traffici di esseri umani, droghe e armi con i proventi di tale mercimonio! Facciamo nostre le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che Gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (Mt 8,25)”(Nona Stazione). Da 724 anni la Perdonanza Celestiniana celebra il Rito solenne che permette di varcare la Porta Santa della Basilica di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila, per ricevere l’indulgenza plenaria così come voluto da Papa Celestino V nel giorno dedicato a Sant’Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa. Nonostante sia vissuto nel IV secolo, Sant’Agostino parla ancora all’uomo di oggi. La sua vita affascina per le vicissitudini e la singolare esperienza di Dio. E affascinano i suoi innumerevoli scritti che la raccontano e insegnano a cercare la Verità in Cristo. “Non ti lascerò e non ti abbandonerò”(Eb 13,5). “La carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8). “Tu hai parole di vita eterna!” (Gv 6,68) cioè in grado di aprire i sepolcri, far risorgere i morti e distruggere la morte. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (1Cor 12,26). “Anche Satana si maschera da angelo della luce” (2Cor 11,14). “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione” (Ef 4,30). Forza L’Aquila cristiana! La Perdonanza Celestiniana, il 28 e il 29 Agosto di ogni anno, apra i cuori e le menti di tutti alla sapienza del Vangelo di Cristo che assicura le Sue pecorelle nella Sua Chiesa. Le porte degli Inferi non prevarranno su di essa. Il Buon Pastore conosce le sue pecorelle. La Perdonanza di San Celestino Papa, non è un parco giochi globalista, è un patrimonio culturale e spirituale della Umanità, poiché le radici cristiane medievali aquilane sono le fondamenta del nostro futuro in Italia e nel Mondo. È la 724ma edizione. Non laicizziamola. È il primo Giubileo della Chiesa.

(di Nicola Facciolini)

“L’amore è il sogno di Dio per noi e per l’intera famiglia umana. Per favore, non dimenticatelo mai! Dio ha un sogno per noi e chiede a noi di farlo proprio. Non abbiate paura di quel sogno! Sognate in grande! Voi, famiglie, siete la speranza della Chiesa e del mondo! Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ha creato l’umanità a Sua immagine e somiglianza per farla partecipe del Suo amore, perché fosse una famiglia di famiglie e godesse quella pace che Lui solo può dare. Ogni bambino è un dono prezioso di Dio da custodire, incoraggiare perché sviluppi i suoi doni e condurre alla maturità spirituale e alla pienezza umana. I giovani sono il futuro! È molto importante preparare i giovani per il futuro, prepararli oggi, nel presente, ma con le radici del passato: i giovani e i nonni. È molto importante. La durevole pace che è il sogno di Dio per l’intera famiglia umana. Nessuna famiglia può crescere se dimentica le proprie radici. I bambini non crescono nell’amore se non imparano a comunicare con i loro nonni. Dunque lasciate che il vostro amore affondi radici profonde! A Dublino siamo riuniti per una celebrazione familiare di ringraziamento a Dio per quello che siamo: una sola famiglia in Cristo, diffusa su tutta la Terra. La Chiesa è la famiglia dei figli di Dio. Quando le cose sono un po’ difficili, pregare Sub tuum praesidium, perché dicevano i mistici russi che nei momenti di turbolenza spirituale, dobbiamo andare sotto il manto della Santa Madre di Dio” (Papa Francesco). La Famiglia nel Matrimonio di un Uomo e di una Donna è il Piano di Dio per la Umanità nel 724mo anniversario del primo Giubileo celebrato dalla Chiesa con la Perdonanza Celestiniana di L’Aquila. La Lettera al Popolo di Dio e l’Amoris Laetitia, consegnata a ciascuna famiglia sull’Isola di smeraldo, sono al centro del 24mo viaggio apostolico di Papa Bergoglio in Irlanda (25-26 Agosto 2018) per il IX Incontro Mondiale delle Famiglie (#PopeInIreland) sul tema “Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo”. È la sua seconda esperienza dopo Filadelfia. Papa Francesco insegna: “In famiglia amatevi come Cristo. L’amore è il sogno di Dio per noi e per l’intera famiglia umana. Per favore, non dimenticatelo mai! Dio ha un sogno per noi e chiede a noi di farlo proprio. Non abbiate paura di quel sogno! Sognate in grande! Voi, famiglie, siete la speranza della Chiesa e del mondo! Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ha creato l’umanità a Sua immagine e somiglianza per farla partecipe del Suo amore, perché fosse una famiglia di famiglie e godesse quella pace che Lui solo può dare. Ricordo una volta, avrò avuto cinque anni, sono entrato a casa e lì, nella sala da pranzo, papà arrivava dal lavoro, in quel momento, prima di me, e ho visto papà e mamma che si baciavano. Non lo dimentico mai! Che cosa bella! Stanco del lavoro, ma ha avuto la forza di esprimere l’amore a sua moglie! Ogni bambino è un dono prezioso di Dio da custodire, incoraggiare perché sviluppi i suoi doni e condurre alla maturità spirituale e alla pienezza umana. È molto importante che i bambini da piccolini imparino a fare bene il segno della Croce: è il primo Credo che imparano, il Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. La famiglia è il collante della società; il suo bene non può essere dato per scontato, ma va promosso e tutelato con ogni mezzo appropriato. L’Incontro Mondiale è una celebrazione della bellezza del piano di Dio per la famiglia; è anche un’occasione per le famiglie provenienti da ogni parte del mondo di incontrarsi e sostenersi a vicenda nel vivere la loro speciale vocazione. Le famiglie, oggi, affrontano molte sfide nei loro sforzi per incarnare un amore fedele, per crescere figli con valori sani e per essere nella più ampia comunità, lievito di bontà, amore e cura reciproca. Voi sapete tutto questo. I giovani sono il futuro! È molto importante preparare i giovani per il futuro, prepararli oggi, nel presente, ma con le radici del passato: i giovani e i nonni. Siamo tutti consapevoli dell’urgente necessità di offrire ai giovani un saggio accompagnamento e valori sani per il loro cammino di crescita. A Dublino siamo riuniti per una celebrazione familiare di ringraziamento a Dio per quello che siamo: una sola famiglia in Cristo, diffusa su tutta la Terra. La Chiesa è la famiglia dei figli di Dio. Le famiglie possono connettersi attraverso Internet e trarne beneficio. I social media possono essere benefici se usati con moderazione e prudenza. Guidati dalla luce della fede per attuare il rinnovamento profondo della Chiesa e della Nazione, i Vescovi d’Irlanda siano pastori e padri, prossimi al popolo di Dio. No al clericalismo. La durevole pace che è il sogno di Dio per l’intera famiglia umana. Quanto bisogno abbiamo di recuperare, in ogni ambito della vita politica e sociale, il senso di essere una vera famiglia di popoli!”. Bambini abbracciati ai propri nonni, mamme impegnate a ballare e cantare con i propri piccoli, papà che fanno la hola a braccetto con i figli sugli spalti delle tribune. Al Croke Park Stadium di Dublino, Sabato sera 25 Agosto 2018, si è potuto vedere e toccare con mano, tra gli 80mila presenti, la bellezza dello stare insieme, nel segno del Vangelo, di famiglie provenienti da tutto il mondo. È stata così davvero, e non solo di nome, una Festa della Famiglia Umana, anche grazie al grande impegno profuso dagli organizzatori che hanno saputo creare un programma ricco e intenso culminato nell’Ave Maria cantata in modo sublime da Andrea Bocelli in uno scenario interstellare. Il Papa avverte: “La guerra fredda è molto pericolosa! Possiamo dire che l’obiettivo di generare prosperità economica, o finanziaria, porta da sé a un ordine sociale più giusto ed equo? Non potrebbe invece essere che la crescita di una “cultura dello scarto” materialistica, ci ha di fatto resi sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana, compresi i non nati, privati dello stesso diritto alla vita? Una società che non valorizza i nonni è una società senza futuro. La sfida che più provoca le nostre coscienze in questi tempi è la massiccia crisi migratoria, che non è destinata a scomparire e la cui soluzione esige saggezza, ampiezza di vedute e una preoccupazione umanitaria che vada ben al di là di decisioni politiche a breve termine”. Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco di circa settant’anni. Francesco, durante la Messa al Phoenix Park di Dublino, nell’Atto Penitenziale, torna a chiedere perdono anche per quanti hanno gettato un velo di silenzio sul dolore di tanti: “Chiediamo perdono per gli abusi in Irlanda, abusi di potere e di coscienza, abusi sessuali da parte di membri qualificati della Chiesa”. Dublino passa il testimone a Roma dove nell’Anno Domini 2021 si svolgerà il X Incontro Mondiale delle Famiglie, nel V anniversario dell’Amoris Laetitia, annuncia il cardinale Kevin Farrell al termine della Messa celebrata dal Papa al Phoenix Park di Dublino alla presenza di 300mila persone. I casi di violenze commesse dalla Chiesa irlandese sui piccoli innocenti e la questione clandestini intimamente legata all’altra questione meno dibattuta delle Guerre Umanitarie scatenate dall’Occidente contro i Popoli liberi della Terra per esportare la “democrazia” e il “mercato” a suon di missili e bombe, tengono banco tra i giornalisti sempre meno intessati al Magistero di Papa Bergoglio che esprime ammirazione per la fede degli Irlandesi. “Il diavolo non vincerà mai”, assicura il Santo Padre. Perché la Chiesa è di Gesù Cristo che l’ha edificata. Non degli Umani cui è solo affidata. Francesco in Irlanda incontra anche un gruppo di 62 rappresentanti della Compagnia di Gesù, di cui due provenienti da Stati Uniti d’Ameria e Africa. Allo stadio Croke Park di Dublino, in un suggestivo scenario interstellare di luci e musiche divine, la Festa delle Famiglia (https://www.youtube.com/watch?v=AjLC4PKp_Oc) mostra al Papa e al mondo la bellezza e la gioia dello stare insieme uniti dal Vangelo. Un evento che rimarrà a lungo nel cuore degli Irlandesi e dei Dublinesi. Pare ragionevole pensare che si possano qualificare abusi contro i piccoli innocenti, anche le politiche della ideologia gender promosse da istituzioni e multinazionali americane sulla Terra. Costringere i bambini alla omosessualità vivendo in gruppi monosessuali é violenza. Errare è umano, perdonare è divino. Nemo malus nisi probetur. L’invito del Papa ai giornalisti: “Il vostro lavoro è delicato, dovete dire le cose ma sempre con la presunzione legale di innocenza e non con la presunzione di colpevolezza”. Più complesso è il caso della nave italiana della capitaneria di porto “Diciotti”, legato alle questioni mondiali della clandestinità, della tratta di esseri umani e delle guerre umanitarie che vedono l’Italia al centro del mirino. Sul caso della Diciotti, Papa Francesco rivela: “Lo zampino è del diavolo, non il mio! Lo zampino è del diavolo. La virtù della prudenza è la virtù del governante, dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga”. Cosa è successo con la Diciotti? Chi va all’Università Roma III e perchè? Papa Bergoglio risponde: “Questo è il lavoro con i migranti, l’integrazione. Io ho visto, ne ho un filmato clandestino, cosa succede a coloro che sono mandati indietro e sono ripresi dai trafficanti: è orribile, le cose che fanno agli uomini, alle donne e ai bambini, li vendono, ma agli uomini fanno le torture più sofisticate. C’era uno lì che è stato capace, una spia, di fare quel filmato, che ho inviato ai miei due sottosegretari delle migrazioni. Per questo, a mandarli indietro ci si deve pensare bene, bene, bene”. Che sfida è sempre quella di accogliere il migrante e lo straniero senza trattare con i signori della guerra e dei traffici di esseri umani, droghe e armi con i proventi di tale mercimonio! Facciamo nostre le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che Gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (Mt 8,25)”(Nona Stazione). Da 724 anni la Perdonanza Celestiniana celebra il Rito solenne che permette di varcare la Porta Santa della Basilica di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila, per ricevere l’indulgenza plenaria così come voluto da Papa Celestino V nel giorno dedicato a Sant’Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa. Nonostante sia vissuto nel IV secolo, Sant’Agostino parla ancora all’uomo di oggi. La sua vita affascina per le vicissitudini e la singolare esperienza di Dio. E affascinano i suoi innumerevoli scritti che la raccontano e insegnano a cercare la Verità in Cristo. “Non ti lascerò e non ti abbandonerò”(Eb 13,5). “La carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8). “Tu hai parole di vita eterna!” (Gv 6,68) cioè in grado di aprire i sepolcri, far risorgere i morti e distruggere la morte. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (1Cor 12,26). “Anche Satana si maschera da angelo della luce” (2Cor 11,14). “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione” (Ef 4,30). Forza L’Aquila cristiana! La Perdonanza Celestiniana, il 28 e il 29 Agosto di ogni anno, apra i cuori e le menti di tutti alla sapienza del Vangelo di Cristo che assicura le Sue pecorelle nella Sua Chiesa. Le porte degli Inferi non prevarranno su di essa. Il Buon Pastore conosce le sue pecorelle. La Perdonanza di San Celestino Papa, non è un parco giochi globalista, è un patrimonio culturale e spirituale della Umanità, poiché le radici cristiane medievali aquilane sono le fondamenta del nostro futuro in Italia e nel Mondo. È la 724ma edizione. Non laicizziamola. È il primo Giubileo della Chiesa. L’evento papale d’Oltre Manica rimarrà a lungo nel cuore degli Irlandesi e dei Dublinesi. L’intenso viaggio apostolico di Papa Francesco in Irlanda è tutto focalizzato sulla famiglia (#PopeInIreland). L’aereo papale, atterrato con circa mezz’ora di anticipo all’aeroporto di Roma-Ciampino, era partito da Dublino in perfetto orario, alle 18.45 locali. Sull’Aer Lingus si è tenuta la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti al seguito, durata 45 minuti e poi la cena. I piloti hanno invitato Francesco nella loro cabina per seguire le fasi dell’atterraggio. Come la vigilia della partenza, il Papa si reca Lunedì 27 Agosto 2018 nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma per pregare dinanzi all’Icona mariana della Salus populi Romani. Depone sull’altare un omaggio floreale. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda Santa Monica, la madre di Sant’Agostino Vescovo, si arricchisce di un’ulteriore visita alla basilica di Sant’Agostino di Campo Marzio dove, prima di rientrare in Vaticano, Papa Bergoglio sosta sulla tomba della Santa. Un’orazione per ringraziare la Vergine del suo 24mo viaggio apostolico: un’esperienza breve, ma molto intensa, scandita da momenti di festa, ma anche di preghiera, testimonianza e riflessione. Iniziato Sabato mattina 25 Agosto, sorvolando Torino, Ginevra, Parigi e Londra, con l’arrivo all’aeroporto di Dublino, al IX Incontro Mondiale delle famiglie il Santo Padre pone in primo piano le sfide che queste affrontano ogni giorno per incarnare un amore fedele, per trasmettere la fede e per essere lievito di una società rinnovata che però oggi è paganizzata anche nella “cattolica” Irlanda. Le immagini più belle e significative (http://www.photogallery.va/content/photogallery/it/eventi/irlanda2018.html) riprese dall’arrivo all’aeroporto di Dublino fino alla cerimonia di congedo, passando per la festa nel Croke Park Stadium e la Santa Messa nel Phoenix Park, testimoniano la verità di un evento mondiale ecclesiale che alcuni tentano di soffocare con le polemiche. Cosa dice il Papa ai giornalisti? Sui due voli, di andata e ritorno, Francesco trova lo spazio e il tempo per dire ciò che gli sta più a cuore: offrire un pensiero sul viaggio, raccontare un’impressione a caldo, un’opinione, una valutazione, mai un giudizio! Ma non è il magistero ufficiale della Chiesa, sebbene le parole del Papa siano le sue. Francesco le ricava da sé dopo oltre 40 minuti dedicati ai temi dettati dalla cronaca e dal taccuino dei suoi interlocutori. La sua non è una vera risposta, perché tecnicamente non c’è stata nessuna domanda, ma è comunque la convinzione che il Papa riporta con sé dopo due giorni intensi. “Io ho trovato tanta fede in Irlanda”, rivela ai giornalisti sul volo che da Dublino fa rotta su Roma. Gli Irlandesi hanno sofferto tanto per gli scandali ma “sanno distinguere la verità dalle mezze verità”, come annunciato qualche ora prima da un vescovo. E se pure nel “processo di guarigione in atto” ci sono cose che sembrano allontanare dalla fede, quella fede resta solida. Quel “non dirò una parola” è stato clamorosamente frainteso. Le sette domande che precedono la risposta non sollecitata di Francesco, sono come esopianeti che ruotano attorno al sole alieno tragico degli abusi. Quella che fa drizzare le orecchie e scrivere più freneticamente sulle tastiere, è la risposta che il Papa offre al caso del giorno. La seconda giornata a Dublino comincia con il documento dell’ex nunzio apostolico negli Usa, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che chiama in causa il Papa nella vicenda del card. McCarrick, accusato di molestie sessuali contro giovani seminaristi. Francesco è deciso e invita i cronisti a trarre le proprie conclusioni. “Dico sinceramente questo: leggetelo voi attentamente e fatevi il vostro giudizio personale. Io non dirò una parola su questo. Credo che il documento parli da sé”. Francesco parla e spiega invece altri aspetti delicati e complessi, come la modalità di portare in giudizio un vescovo accusato di abusi. Respinge con garbo il desiderio di Marie Collins, ex membro della Pontificia Commissione istituita per contrastare il fenomeno e vittima lei stessa di violenze da parte di un prete irlandese, di istituire un tribunale speciale secondo quanto indicato nel Motu proprio “Come una madre amorevole”. In realtà si è visto, afferma Francesco, che più che una stessa giuria risulta più efficace la creazione di un collegio ad hoc per ogni caso. “Funziona meglio così”, assicura il Papa, che ricorda come l’ultimo ad essere sottoposto al tribunale sia stato l’arcivescovo di Guam e che un altro procedimento è in corso. Parlare subito, mai giudizi sommari! Una domanda lo sollecita su cosa “il popolo di Dio” possa e debba fare di fronte a simili scelleratezze compiute da sacerdoti. Anche qui Papa Bergoglio stronca le reticenze e indica nelle famiglie ferite il primo ostacolo spesso alla trasparenza. “Quando si vede qualcosa – sostiene il Papa di Roma con forza – bisogna parlare subito”. Tante volte sono i genitori a coprire l’abuso di un prete, perché non credono al figlio o alla figlia”. Ma, sul versante opposto, critica l’operato di quei media che intentano processi di piazza prima che una responsabilità sia accertata. Francesco cita il caso del gruppo di sacerdoti di Granada, una decina circa, accusati di pedofila da un giovane impiegato in un collegio, che aveva scritto al Papa di essere stato vittima di violenze. Ebbene, la gogna dell’umiliazione patita da alcuni di questi sacerdoti si è rivelata l’ingiustizia più crudele perché poi la giustizia ordinaria li ha trovati innocenti. Dunque, è l’invito del Papa ai giornalisti, “il vostro lavoro è delicato, dovete dire le cose ma sempre con la presunzione legale di innocenza e non con la presunzione di colpevolezza”. Chi ignora non è vero genitore. Parole di grande stima Francesco riserva alla ministra irlandese che gli ha parlato del drammatico caso dell’orfanotrofio di suore irlandesi a Tuam. Oggetto di un’indagine da parte delle autorità che lo configura luogo di abusi e orrori ripetuti nei decenni scorsi, il Papa ha detto di attendere l’esito finale dell’attività investigativa anche per verificare le responsabilità della Chiesa. In ogni caso, l’apprezzamento del Papa è tutto per “l’equilibrio” e la “dignità” con cui la rappresentante del governo irlandese l’ha messo al corrente della vicenda. Sempre in tema di Irlanda, una domanda chiede a Francesco cosa direbbe a un padre il cui figlio si confessasse omosessuale. Gli direi: “Di pregare, non condannare, dialogare, capire, fare spazio al figlio, alla figlia” perché “ignorare è una mancanza” di paternità e maternità”. Più complesso è il caso della nave italiana della capitaneria di porto “Diciotti”, legato alle questioni mondiali della clandestinità, della tratta di esseri umani e delle guerre umanitarie che vedono l’Italia al centro del mirino. Uno tra i primi temi ad essere affrontato in conferenza stampa è un cavallo di ritorno, quello della presunta “immigrazione”. Lo spunto è la “felice” conclusione della vicenda della nave “Diciotti” e dei clandestini sbarcati a Messina dopo una decina di giorni senza possibilità di approdo. “C’è il suo zampino?” chiede al Papa una giornalista e Francesco replica che, no, lui direttamente non c’entra perchè non è il diavolo! Bensì è opera del “buon don Aldo” Buonaiuto, della Fondazione Giovanni XXIII, ma anche della Cei con il cardinale Bassetti. Papa Bergoglio però ricorda il “criterio di prudenza”, normato dal Diritto Canonico, dal Diritto Ecclesiastico e dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che deve guidare un Paese nell’accogliere degli immigrati. Ma soprattutto Francesco spinge sul valore e sul dovere della “integrazione”, per evitare i fenomeni violenti finora registrati anche in Europa. Può cambiare una vita, dice, come quella della studentessa portata con lui dall’isola di Lesbo e di recente incontrata all’Università. Questo per strappare ai trafficanti il commercio di carne umana e dare dignità a chi cerca una nuova vita. Brenda Drumm è stato uno dei volti più popolari del nono Incontro Mondiale delle Famiglie. Come portavoce del grande evento, svoltosi a Dublino, ha spiegato ai media internazionali il significato e l’importanza di questo avvenimento per la Chiesa e per tutta la società irlandese. “Abbiamo avuto la gioia di celebrare la Messa con 116 famiglie da tutto il mondo – esordisce la Drumm – abbiamo avuto 5 giorni fantastici qui a Dublino celebrando la gioia della famiglia e riflettendo su alcune sfide della vita familiare di oggi. Il Congresso pastorale dell’Incontro Mondiale delle Famiglie è stata una meravigliosa e ricca fonte di riflessione, alimento per il cammino delle famiglie su tanti argomenti”. Quindi mette l’accento sulla visita di Papa Francesco. “Si è unito a noi negli ultimi due giorni – afferma – ed è stata davvero stata un’esperienza incredibile vederlo passare tra le strade di Dublino e poi abbiamo avuto un meraviglioso Festival delle Famiglie al Croke Park Stadium, l’altra notte, in cui penso che tutti noi siamo stati meravigliati da ciò che Papa Francesco ha detto”. Brenda Drumm rivolge poi un pensiero alla Messa al Phoenix Park: “Oggi – confida – siamo così elettrizzati per aver concluso l’Incontro con le Famiglie in uno spirito di preghiera e di missione”. Infine, il pensiero a Roma alla quale Dublino passa il testimone. “Facciamo i migliori auguri a Roma per il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie fra 3 anni. Vi consiglio di iniziare subito la preparazione perché i giorni voleranno!”. Con i Gesuiti d’Irlanda è stato un momento di “scambio libero e confidenziale, come sempre accade durante i viaggi apostolici nei Paesi in cui è presente la Compagnia di Gesù”, rivela Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, da Dublino, in riferimento all’incontro che Sabato sera Papa Francesco ha vissuto con un gruppo di 62 rappresentanti della Compagnia di Gesù, di cui due provenienti da Stati Uniti e Africa. Il summit è durato meno del previsto, spiega padre Spadaro, in quanto Francesco subito prima si è intrattenuto a lungo con un gruppo di otto vittime di abusi. “Lo abbiamo visto rientrare con una grande pace – afferma – con le vittime ci ha detto di aver parlato a cuore aperto. L’impressione è di un Papa molto coinvolto in quello che sta vivendo, come si vede nei gesti e nelle parole, ma dotato di una serenità profonda e di una grande fede, una grande fiducia in Dio”. Tanti i temi al centro del dialogo con i Gesuiti, sottolinea padre Spadaro: le vocazioni, la situazione della Chiesa e le questioni legate alla Compagnia nella verde Isola, in uno “scambio libero e familiare”. Nel tracciare un breve bilancio di quanto vissuto in Irlanda, il direttore de La Civiltà Cattolica rileva la grande partecipazione dei fedeli al IX Incontro Mondiale delle Famiglie e le tante sfide affrontate: non solo gli errori, il crimine degli abusi sui minori, ma anche le “migrazioni e lo sfaldamento della società. È un Papa – afferma padre Spadaro – di riferimento per la popolazione irlandese e al termine di questo viaggio, nonostante tutto, la Chiesa locale non ne esce umiliata ma rafforzata nella speranza di un rinnovamento profondo. Non a caso il Papa parla sempre nei suoi discorsi del nucleo familiare come nucleo allargato a famiglia umana, proprio per manifestare la sua centralità nella ricostruzione di un tessuto globale”. Durante il volo di andata, Papa Bergoglio rivela ai giornalisti: “A me piace essere con le famiglie, sono contento di questo viaggio. E anche un altro motivo che tocca un po’ il cuore: torno in Irlanda dopo 38 anni, dove sono stato quasi tre mesi per praticare l’inglese, nell’anno 1980. E anche per me questo è un ricordo bello”. Nel videomessaggio diffuso su Internet, il Santo Padre rivela: “Invio un’affettuosa parola di saluto a tutto il popolo irlandese: “I’m excited to think I’ll come back to Ireland!”. Come sapete, l’Incontro mondiale è una celebrazione della bellezza del piano di Dio per la famiglia; è anche un’occasione per le famiglie provenienti da ogni parte del mondo di incontrarsi e sostenersi a vicenda nel vivere la loro speciale vocazione. Le famiglie, oggi, affrontano molte sfide nei loro sforzi per incarnare un amore fedele, per crescere figli con valori sani e per essere nella più ampia comunità, lievito di bontà, amore e cura reciproca. Voi sapete tutto questo. Spero che questa occasione potrà essere fonte di rinnovato incoraggiamento per le famiglie di ogni parte del mondo, specialmente di quelle famiglie che saranno lì presenti, a Dublino. Possa ricordarci il posto essenziale della famiglia nella vita della società e nell’edificazione di un futuro migliore per i giovani. I giovani sono il futuro! È molto importante preparare i giovani per il futuro, prepararli oggi, nel presente, ma con le radici del passato: i giovani e i nonni. È molto importante. Sebbene la ragione specifica della mia visita in Irlanda sia l’Incontro Mondiale delle Famiglie, vorrei che essa abbracciasse tutti i membri della famiglia irlandese. Prego, in particolare, perché serva a far crescere l’unità e la riconciliazione tra tutti i fedeli di Cristo, come segno di quella durevole pace che è il sogno di Dio per l’intera famiglia umana. So che molte persone si stanno attivamente impegnando nella preparazione della mia visita. Ringrazio tutti cordialmente. Chiedo a ciascuno di pregare affinché questo incontro sia un momento di gioia e anche di serenità, una carezza del tenero amore di Gesù per tutte le famiglie e, in verità, per ogni figlio di Dio. Vi assicuro la mia vicinanza, la mia preghiera e vi invito a pregare per me, ne ho bisogno. Di cuore, vi do la mia benedizione. God bless you all. The Father, the Son and the Holy Spirit”. All’incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, al Castello di Dublino, Sabato 25 Agosto 2018, Papa Bergoglio dichiara: “All’inizio della mia visita in Irlanda, sono grato per l’invito a rivolgermi a questa distinta Assemblea, che rappresenta la vita civile, culturale e religiosa del Paese, insieme al Corpo Diplomatico e ai convitati. Ringrazio per l’accoglienza amichevole che ho ricevuto dal Presidente di Irlanda e che riflette la tradizione di cordiale ospitalità per la quale gli Irlandesi sono noti in tutto il mondo. Apprezzo altresì la presenza di una delegazione dell’Irlanda del Nord. Ringrazio il Signor Primo Ministro per le sue parole. Come sapete, la ragione della mia visita è prendere parte all’Incontro Mondiale delle Famiglie, che si tiene quest’anno a Dublino. La Chiesa è, effettivamente, una famiglia di famiglie, e sente la necessità di sostenere le famiglie nei loro sforzi per rispondere fedelmente e gioiosamente alla vocazione data loro da Dio nella società. Per le famiglie, questo Incontro è un’opportunità non soltanto per riaffermare il loro impegno all’amorevole fedeltà, al mutuo aiuto e al sacro rispetto per il dono divino della vita in tutte le sue forme, ma anche per testimoniare il ruolo unico svolto dalla famiglia nell’educazione dei suoi membri e nello sviluppo di un sano e fiorente tessuto sociale. Mi piace vedere l’Incontro Mondiale delle Famiglie come una testimonianza profetica del ricco patrimonio di valori etici e spirituali, che è compito di ogni generazione custodire e proteggere. Non occorre essere profeti per accorgersi delle difficoltà che le famiglie affrontano nella società odierna in rapida evoluzione o per preoccuparsi degli effetti che il dissesto del matrimonio e della vita familiare inevitabilmente comporteranno, ad ogni livello, per il futuro delle nostre comunità. La famiglia è il collante della società; il suo bene non può essere dato per scontato, ma va promosso e tutelato con ogni mezzo appropriato. È nella famiglia che ciascuno di noi ha mosso i primi passi nella vita. Lì abbiamo imparato a convivere in armonia, a controllare i nostri istinti egoistici, a riconciliare le diversità e soprattutto a discernere e ricercare quei valori che danno autentico significato e pienezza alla vita. Se parliamo del mondo intero come di un’unica famiglia, è perché giustamente riconosciamo i legami della nostra comune umanità e intuiamo la chiamata all’unità e alla solidarietà, specialmente nei riguardi dei fratelli e delle sorelle più deboli. Troppo spesso, tuttavia, ci sentiamo impotenti di fronte ai mali persistenti dell’odio razziale ed etnico, a conflitti e violenze inestricabili, al disprezzo per la dignità umana e i diritti umani fondamentali ed al crescente divario tra ricchi e poveri. Quanto bisogno abbiamo di recuperare, in ogni ambito della vita politica e sociale, il senso di essere una vera famiglia di popoli! E di non perdere mai la speranza e il coraggio di perseverare nell’imperativo morale di essere operatori di pace, riconciliatori e custodi l’uno dell’altro. Qui in Irlanda tale sfida ha una risonanza particolare, considerato il lungo conflitto che ha separato fratelli e sorelle di un’unica famiglia. Vent’anni fa, la Comunità internazionale seguì attentamente gli eventi in Irlanda del Nord, che portarono alla firma dell’Accordo del Venerdì Santo. Il Governo irlandese, in unione con i Capi politici, religiosi e civili dell’Irlanda del Nord e del Governo britannico e col sostegno di altri Leader mondiali, diede vita a un contesto dinamico volto alla pacifica composizione di un conflitto che aveva causato enormi sofferenze da ambo le parti. Possiamo rendere grazie per i due decenni di pace che sono seguiti a questo storico Accordo, mentre esprimiamo la ferma speranza che il processo di pace superi ogni rimanente ostacolo e favorisca la nascita di un futuro di concordia, riconciliazione e mutua fiducia. Il Vangelo ci ricorda che la vera pace è in definitiva dono di Dio; sgorga da cuori risanati e riconciliati e si estende fino ad abbracciare il mondo intero. Ma richiede anche, da parte nostra, una costante conversione, fonte di quelle risorse spirituali necessarie a costruire una società veramente solidale, giusta e al servizio del bene comune. Senza questo fondamento spirituale, l’ideale di una famiglia globale di nazioni rischia di diventare nient’altro che un vuoto luogo comune. Possiamo dire che l’obiettivo di generare prosperità economica, o finanziaria, porta da sé a un ordine sociale più giusto ed equo? Non potrebbe invece essere che la crescita di una “cultura dello scarto” materialistica, ci ha di fatto resi sempre più indifferenti ai poveri e ai membri più indifesi della famiglia umana, compresi i non nati, privati dello stesso diritto alla vita? Forse la sfida che più provoca le nostre coscienze in questi tempi è la massiccia crisi migratoria, che non è destinata a scomparire e la cui soluzione esige saggezza, ampiezza di vedute e una preoccupazione umanitaria che vada ben al di là di decisioni politiche a breve termine. Sono ben consapevole della condizione dei nostri fratelli e sorelle più vulnerabili, penso specialmente alle donne, e ai bambini, che nel passato hanno patito situazioni di particolare difficoltà; e agli orfani di allora. Considerando la realtà dei più vulnerabili, non posso che riconoscere il grave scandalo causato in Irlanda dagli abusi su minori da parte di membri della Chiesa incaricati di proteggerli ed educarli. Risuonano ancora nel mio cuore le parole dettemi all’aeroporto dalla Signora Ministro per l’Infanzia. Grazie. Ringrazio per quelle parole. Il fallimento delle autorità ecclesiastiche – vescovi, superiori religiosi, sacerdoti e altri – nell’affrontare adeguatamente questi crimini ripugnanti ha giustamente suscitato indignazione e rimane causa di sofferenza e di vergogna per la comunità cattolica. Io stesso condivido questi sentimenti. Il mio predecessore, Papa Benedetto, non risparmiò parole per riconoscere la gravità della situazione e domandare che fossero prese misure “veramente evangeliche, giuste ed efficaci” in risposta a questo tradimento di fiducia (Lettera pastorale ai Cattolici dell’Irlanda, 10). Il suo intervento franco e deciso continua a servire da incentivo agli sforzi delle autorità ecclesiali per rimediare agli errori passati e adottare norme stringenti volte ad assicurare che non accadano di nuovo. Più recentemente, in una Lettera al Popolo di Dio, ho ribadito l’impegno, anzi, un maggiore impegno, per eliminare questo flagello nella Chiesa; a qualsiasi costo, morale, e di sofferenza. Ogni bambino è infatti un dono prezioso di Dio da custodire, incoraggiare perché sviluppi i suoi doni e condurre alla maturità spirituale e alla pienezza umana. La Chiesa in Irlanda ha svolto, nel passato e nel presente, un ruolo di promozione del bene dei bambini che non può essere oscurato. È mio auspicio che la gravità degli scandali degli abusi, che hanno fatto emergere le mancanze di tanti, serva a sottolineare l’importanza della protezione di minori e adulti vulnerabili da parte dell’intera società. In questo senso, siamo tutti consapevoli dell’urgente necessità di offrire ai giovani un saggio accompagnamento e valori sani per il loro cammino di crescita. Cari amici, quasi novant’anni fa la Santa Sede fu tra le prime istituzioni internazionali a riconoscere il libero Stato d’Irlanda. Quella iniziativa segnò l’inizio di molti anni di armonia e collaborazione dinamica, con una sola nube passeggera all’orizzonte. Recentemente, sforzi intensi e buona volontà da entrambe le parti hanno contribuito in modo significativo a un promettente ripristino di quelle amichevoli relazioni a vantaggio reciproco di tutti. I fili di quella storia riportano a più di millecinquecento anni fa, quando il messaggio cristiano, predicato da Palladio e Patrizio, trovò dimora in Irlanda e divenne parte integrante della vita e della cultura irlandese. Molti “santi e studiosi” si sentirono ispirati a lasciare questi lidi e portare la nuova fede in altre terre. Ancora oggi, i nomi di Columba, Colombano, Brigida, Gallo, Killian, Brendan e molti altri sono onorati in Europa e non solo. In quest’isola il monachesimo, fonte di civiltà e di creatività artistica, scrisse una splendida pagina nella storia d’Irlanda e del mondo. Oggi come in passato, uomini e donne che abitano questo Paese si sforzano di arricchire la vita della nazione con la sapienza nata dalla fede. Anche nelle ore più buie dell’Irlanda, essi hanno trovato nella fede la sorgente di quel coraggio e di quell’impegno che sono indispensabili per forgiare un avvenire di libertà e dignità, giustizia e solidarietà. Il messaggio cristiano è stato parte integrante di tale esperienza e ha dato forma al linguaggio, al pensiero e alla cultura della gente di quest’isola. Prego affinché l’Irlanda, mentre ascolta la polifonia della contemporanea discussione politico-sociale, non dimentichi le vibranti melodie del messaggio cristiano, che l’hanno sostenuta nel passato e possono continuare a farlo nel futuro. Con questi pensieri, cordialmente invoco su di voi e su tutto l’amato popolo irlandese divine benedizioni di saggezza, gioia e pace. Grazie”. Nella visita alla Procattedrale di Santa Maria in Dublino, Sabato 25 Agosto 2018, Papa Francesco insegna: “Good afternoon! Cari amici, sono lieto di potervi incontrare in questa storica Procattedrale di Santa Maria, che negli anni ha visto innumerevoli celebrazioni del sacramento del matrimonio. Guardando voi, così giovani, io mi domando: ma allora non è vero quello che dicono, che i giovani non vogliono sposarsi? Grazie! Sposarsi e condividere la vita è una cosa bella. C’è un detto in spagnolo che dice così: “Dolori in due, mezzo dolore; gioia in due, una gioia e mezza”. Questa è la strada del matrimonio. Quanto amore è stato manifestato, quante grazie sono state ricevute in questo luogo sacro! Ringrazio l’Arcivescovo Martin per il suo cordiale benvenuto. Sono particolarmente contento di stare con voi, coppie di fidanzati e sposi che vi trovate in diverse fasi del percorso dell’amore sacramentale. È bello anche sentire quella musica che viene da lì: i bambini che piangono. Quella è una speranza, è la più bella musica; ma anche la più bella predica, sentire un bambino che piange, perché è il grido della speranza, che la vita continua, che la vita va avanti, che l’amore è fecondo. Guardare i bambini. Ma ho salutato anche una persona anziana: bisogna anche guardare gli anziani, perché gli anziani sono pieni di saggezza. Ascoltare gli anziani: “Come è stata la tua vita?”. Questo mi è piaciuto, che siete stati voi (il Papa si rivolge alla coppia anziana che ha parlato per prima. NdA) a incominciare, dopo 50 anni di matrimonio, perché avete tanta esperienza da condividere. Il futuro e il passato si incontrano nel presente. Loro, i vecchi, permettetemi la parola: i vecchi, the old, hanno la saggezza. Anche le suocere hanno la saggezza. E i bambini devono ascoltare la saggezza, voi giovani dovete ascoltare la saggezza, e parlare con loro per andare avanti, perché loro sono le radici. Loro sono le radici, e voi prendete dalle radici per andare avanti. Questo di sicuro lo dirò più avanti, ma mi viene di dirlo dal cuore. In modo speciale, come ho detto, sono grato per la testimonianza di Vincent e Teresa, che ci hanno parlato della loro esperienza di cinquant’anni di matrimonio e di vita familiare. Grazie sia per le parole di incoraggiamento sia per le sfide che avete presentato alle nuove generazioni di sposi novelli e di fidanzati, non solo qui in Irlanda ma in tutto il mondo. Loro non saranno come voi, saranno diversi. Ma hanno bisogno della vostra esperienza per essere diversi, per andare più avanti. È così importante ascoltare gli anziani, ascoltare i nonni! Abbiamo molto da imparare dalla vostra esperienza di vita matrimoniale sostenuta ogni giorno dalla grazia del sacramento. Mi viene voglia di domandarvi: avete litigato molto? Ma questo fa parte del matrimonio! Un matrimonio in cui non si litiga è un po’ noioso. Ma c’è un segreto: possono anche volare i piatti, ma il segreto è fare la pace prima che finisca la giornata. E per fare la pace non è necessario un discorso, basta una carezza, così, e la pace è fatta. E sapete perché è importante? Perché se non si fa la pace prima di andare a letto, la “guerra fredda” del giorno dopo è troppo pericolosa, incomincia il rancore. Sì, litigate finché volete, ma alla sera fate la pace. D’accordo? Non dimenticatelo, voi giovani. Crescendo insieme in questa comunità di vita e di amore, voi avete provato molte gioie e, certamente, anche non poche sofferenze. Insieme a tutti gli sposi che hanno fatto tanto cammino lungo la strada, siete i custodi della nostra memoria collettiva. Avremo sempre bisogno della vostra testimonianza piena di fede. È una risorsa preziosa per le giovani coppie, che guardano al futuro con emozione e speranza e anche, forse, con un pizzico di ansia: come sarà questo futuro? Ringrazio anche le giovani coppie che mi hanno rivolto alcune domande schiette. Non è facile rispondere a queste domande! Denis e Sinead stanno per imbarcarsi in un viaggio di amore che secondo il progetto di Dio comporta un impegno per tutta la vita. Hanno chiesto come possono aiutare altri a capire che il matrimonio non è semplicemente un’istituzione ma una vocazione, una vita che va avanti, una decisione consapevole e per tutta la vita di prendersi cura, aiutarsi e proteggersi a vicenda. Certamente dobbiamo riconoscere che oggi non siamo abituati a qualcosa che realmente dura per tutta la vita. Noi viviamo una cultura del provvisorio, non siamo abituati. Se sento che ho fame o sete, posso nutrirmi, ma la mia sensazione di essere sazio non dura nemmeno un giorno. Se ho un lavoro, so che potrei perderlo contro la mia volontà o che potrei dover scegliere una carriera diversa. È difficile persino star dietro al mondo, in quanto tutto intorno a noi cambia, le persone vanno e vengono nelle nostre vite, le promesse vengono fatte ma spesso sono infrante o lasciate incompiute. Forse quello che mi state chiedendo è in realtà qualcosa di ancora più fondamentale: “Non c’è davvero niente di prezioso che possa durare?”. Questa è la domanda. Sembra che nessuna cosa bella, nessuna cosa preziosa duri. “Ma non c’è davvero qualcosa di prezioso che possa durare? Neanche l’amore?”. E c’è la tentazione che quel “per tutta la vita” che voi direte l’uno all’altro, si trasformi e, col tempo, muoia. Se l’amore non si fa crescere con l’amore, dura poco. Quel “per tutta la vita” è un impegno da far crescere l’amore, perché nell’amore non c’è il provvisorio. Se no si chiama entusiasmo, si chiama, non so, incantamento, ma l’amore amore è definitivo, è un “io e tu”. Come si dice da noi, è “la metà dell’arancia”: tu sei la mia metà arancia, io sono la tua metà arancia. L’amore è così: tutto e per tutta la vita. È facile rimanere prigionieri della cultura dell’effimero, e questa cultura aggredisce le radici stesse dei nostri processi di maturazione, della nostra crescita nella speranza e nell’amore. Come possiamo sperimentare, in questa cultura dell’effimero, ciò che veramente dura? Questa è una domanda forte: come possiamo sperimentare, in questa cultura dell’effimero, ciò che veramente dura? Ecco quello che vorrei dirvi. Tra tutte le forme dell’umana fecondità, il matrimonio è unico. È un amore che dà origine a una nuova vita. Implica la mutua responsabilità nel trasmettere il dono divino della vita e offre un ambiente stabile nel quale la nuova vita può crescere e fiorire. Il matrimonio nella Chiesa, cioè il sacramento del matrimonio, partecipa in modo speciale al mistero dell’amore eterno di Dio. Quando un uomo e una donna cristiani si uniscono nel vincolo del matrimonio, la grazia di Dio li abilita a promettersi liberamente l’uno all’altro un amore esclusivo e duraturo. Così la loro unione diventa segno sacramentale, questo è importante: il sacramento del matrimonio diventa segno sacramentale della nuova ed eterna alleanza tra il Signore e la Sua sposa, la Chiesa. Gesù è sempre presente in mezzo a loro. Li sostiene nel corso della vita nel reciproco dono di sé, nella fedeltà e nell’unità indissolubile (Gaudium et spes, 48). L’amore di Gesù per le coppie è una roccia, è un rifugio nei tempi di prova, ma soprattutto è fonte di crescita costante in un amore puro e per sempre. Fate scommesse forti, per tutta la vita. Rischiate! Perché il matrimonio è anche un rischio, ma è un rischio che vale la pena. Per tutta la vita, perché l’amore è così. Sappiamo che l’amore è il sogno di Dio per noi e per l’intera famiglia umana. Per favore, non dimenticatelo mai! Dio ha un sogno per noi e chiede a noi di farlo proprio. Non abbiate paura di quel sogno! Sognate in grande! Fatene tesoro e sognatelo insieme ogni giorno nuovamente. In questo modo sarete in grado di sostenervi a vicenda con speranza, con forza e col perdono nei momenti in cui il percorso si fa arduo, diventa difficile scorgere la via. Nella Bibbia, Dio si impegna a rimanere fedele alla Sua alleanza, anche quando noi lo rattristiamo e il nostro amore s’indebolisce. Cosa dice Dio nella Bibbia al Suo popolo? Ascoltate bene: “Non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Eb 13,5). E voi, come marito e moglie, ungetevi a vicenda con queste parole di promessa, ogni giorno per il resto della vita. E non smettete mai di sognare! Sempre ripetere nel cuore: “Non ti lascerò, non ti abbandonerò”. Stephen e Jordan sono sposi novelli e hanno posto la domanda, molto importante, di come i genitori possono trasmettere la fede ai figli. So che la Chiesa qui in Irlanda ha accuratamente preparato programmi di catechesi per educare alla fede nelle scuole e nelle parrocchie. Ciò è certamente essenziale. Ma il primo e più importante luogo per far passare la fede è la casa: si impara a credere a casa, attraverso il calmo e quotidiano esempio di genitori che amano il Signore e confidano nella Sua parola. Lì, nella casa, che possiamo chiamare la  “Chiesa domestica”, i figli imparano il significato della fedeltà, dell’onestà e del sacrificio. Vedono come mamma e papà si comportano tra di loro, come si prendono cura l’uno dell’altro e degli altri, come amano Dio e la Chiesa. Così i figli possono respirare l’aria fresca del Vangelo e imparare a comprendere, giudicare e agire in modo degno della fede che hanno ereditato. La fede, fratelli e sorelle, viene trasmessa intorno alla tavola domestica, a casa, nella conversazione ordinaria, attraverso il linguaggio che solo l’amore perseverante sa parlare. Non dimenticatevi mai, fratelli e sorelle: la fede si trasmette in dialetto! Il dialetto della casa, il dialetto della vita domestica, lì, della vita di famiglia. Pensate ai sette fratelli Maccabei, come la madre parlava loro “in dialetto”, cioè a quello che da piccoli avevano imparato su Dio. È più difficile ricevere la fede – si può fare, ma è più difficile – se non è stata ricevuta in quella lingua materna, a casa, in dialetto. Io sono tentato di parlare di un’esperienza mia, da bambino. Se serve, la dico. Ricordo una volta, avrò avuto cinque anni, sono entrato a casa e lì, nella sala da pranzo, papà arrivava dal lavoro, in quel momento, prima di me, e ho visto papà e mamma che si baciavano. Non lo dimentico mai! Che cosa bella! Stanco del lavoro, ma ha avuto la forza di esprimere l’amore a sua moglie! Che i vostri figli vi vedano così, che vi accarezzate, vi baciate, vi abbracciate; questo è bellissimo, perché così imparano questo dialetto dell’amore, e la fede, in questo dialetto dell’amore. Dunque, è importante pregare insieme in famiglia; parlate di cose buone e sante; e lasciate che Maria nostra Madre entri nella vostra vita, la vita familiare. Celebrate le feste cristiane: che i vostri figli sappiano che cosa è una festa in famiglia. Vivete in profonda solidarietà con quanti soffrono e sono ai margini della società, e che i figli imparino. Un altro aneddoto. Ho conosciuto una signora che aveva tre figli, di sette, cinque e tre anni più o meno; erano bravi coniugi, avevano tanta fede e insegnavano ai figli ad aiutare i poveri, perché loro li aiutavano tanto. E una volta erano a pranzo, la mamma con i tre figli, il papà era al lavoro. Bussano alla porta, e il più grande va ad aprire, poi torna e dice: “Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare”. Stavano mangiando bistecche alla milanese, impanate, sono buonissime! E la mamma domanda ai figli: “Cosa facciamo?”. Tutti e tre: “Sì, mamma, dagli qualcosa”. C’erano anche alcune bistecche avanzate, ma la mamma prende un coltello e comincia a tagliare a metà ciascuna di quelle figli. E i figli: “No, mamma, dagli quelle, non della nostra!”; “Ah no: ai poveri dai del tuo, non di quello che avanza!”. Così quella donna di fede ha insegnato ai suoi figli a dare del proprio ai poveri. Ma tutte queste cose si possono fare a casa, quando c’è l’amore, quando c’è la fede, quando si parla quel dialetto di fede. Insomma, i vostri figli impareranno da voi come vivere da cristiani; voi sarete i loro primi maestri nella fede, i trasmettitori della fede. Le virtù e le verità che il Signore ci insegna non sono sempre popolari nel mondo di oggi – a  volte, il Signore chiede cose che non sono popolari – il mondo di oggi ha scarsa considerazione per i deboli, i vulnerabili e per tutti coloro che ritiene “improduttivi”. Il mondo ci dice di essere forti e indipendenti, curandosi poco di quanti sono soli o tristi, rifiutati o ammalati, non ancora nati o moribondi. Tra poco andrò privatamente a incontrare alcune famiglie che affrontano sfide serie e disagi reali, ma a cui i Padri Cappuccini dimostrano amore e sostegno. Il nostro mondo ha bisogno di una rivoluzione dell’amore! La “bufera” che noi viviamo è piuttosto di egoismo, di interessi personali, il mondo ha bisogno di una rivoluzione dell’amore. Che questa rivoluzione inizi da voi e dalle vostre famiglie! Qualche mese fa qualcuno mi ha detto che stiamo perdendo la nostra capacità di amare. Lentamente ma decisamente stiamo dimenticando il linguaggio diretto di una carezza, la forza della tenerezza. Sembra che la parola tenerezza sia stata tolta dal dizionario. Non ci potrà essere una rivoluzione di amore senza la rivoluzione della tenerezza! Col vostro esempio, possano i vostri figli essere guidati a diventare una generazione più premurosa, amorevole, ricca di fede, per il rinnovamento della Chiesa e di tutta la società irlandese. Così il vostro amore, che è dono di Dio, affonderà radici ancora più profonde. Nessuna famiglia può crescere se dimentica le proprie radici. I bambini non crescono nell’amore se non imparano a comunicare con i loro nonni. Dunque lasciate che il vostro amore affondi radici profonde! Non dimentichiamo che “tutto ciò che sull’albero è fiorito / vive di ciò che giace sotterrato” (F.L. Bernárdez, sonetto Si para recobrar lo recobrado). Così dice una poesia argentina, permettetemi la pubblicità. Insieme al Papa, possano le famiglie di tutta la Chiesa, rappresentate questo pomeriggio dalle coppie anziane e giovani, ringraziare Dio per il dono della fede e la grazia del matrimonio cristiano. Da parte nostra, ci impegniamo con il Signore a servire la venuta del suo regno di santità, giustizia e pace con la fedeltà alle promesse che abbiamo fatto e con la costanza nell’amore! Grazie per questo incontro! E adesso, vi invito a pregare insieme la preghiera per il Meeting delle famiglie. Poi vi darò la benedizione. E vi chiedo di pregare per me, non dimenticatelo!”. Nella visita al centro di accoglienza per famiglie senzatetto, gestito dai Padri Cappuccini di Dublino, Sabato 25 Agosto 2018, nel suo indirizzo di saluto fraterno, Papa Bergoglio osserva: “Caro fratello, caro vescovo, cari fratelli Cappuccini, e voi tutti fratelli e sorelle! Lei (il Padre Cappuccino che ha curato la presentazione, NdA) ha detto che i Cappuccini sono noti come i frati del popolo, vicini al popolo, e questo è vero. E se qualche volta qualche comunità cappuccina si allontana dal popolo di Dio, cade. Voi avete una speciale sintonia con il popolo di Dio, anzi, con i poveri. Voi avete la grazia di contemplare le piaghe di Gesù nelle persone che hanno bisogno, che soffrono, che non sono felici o che non hanno nulla, o sono pieni di vizi e di difetti. Per voi è la carne di Cristo. Questa è la vostra testimonianza e la Chiesa ha bisogno di questa testimonianza. Grazie. Un’altra cosa, poi parlerò a voi (Francesco di rivolge ai poveri, NdA). Un’altra cosa che Lei ha detto e che mi ha toccato il cuore: che qui voi non domandate nulla. È Gesù che viene (nei poveri). Non domandate nulla. Accettate la vita come viene, date consolazione e, se ce n’è bisogno, perdonate. Questo mi fa pensare, come un rimprovero, ai preti che invece vivono facendo domande sulla vita altrui e che nella Confessione scavano, scavano, scavano nelle coscienze. La vostra testimonianza insegna ai sacerdoti ad ascoltare, ad essere vicini, perdonare e non domandare troppo. Essere semplici, come Gesù ha detto che fece quel padre, che quando il figlio tornò pieno di peccati e di vizi, il Padre non si sedette in confessionale incominciando a domandare, domandare, domandare; accettò il pentimento del figlio e lo abbracciò. Che la vostra testimonianza al popolo di Dio, e questo cuore capace di perdonare senza far soffrire, arrivino a tutti i preti. Grazie! E voi, cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per l’amore e la fiducia che avete con i padri Cappuccini, grazie perché venite con fiducia! Vi dirò una cosa: sapete perché venite con fiducia? Perché loro vi aiutano senza togliervi la dignità. Per loro, ognuno di voi è Gesù Cristo. Grazie per la fiducia che date a noi. Voi siete la Chiesa, siete il popolo di Dio. Gesù è con voi. Loro vi daranno le cose di cui voi avete bisogno, ma ascoltate i consigli che loro vi danno: sempre vi consiglieranno bene. E se avete qualcosa, qualche dubbio, qualche dolore, parlate con loro, e vi consiglieranno bene. Voi sapete che vi vogliono bene: altrimenti, questa opera qui non ci sarebbe. Grazie per la fiducia. E un’ultima cosa: pregate. Pregate per la Chiesa. Pregate per i sacerdoti. Pregate per i Cappuccini. Pregate per i vescovi, per il vostro Vescovo. E pregate anche per me, mi permetto di chiedere un po’. Pregate per i sacerdoti, non dimenticatevi. Grazie tante! Adesso ognuno di voi entri nel proprio cuore e pensi alle persone care, perché darò la benedizione anche a loro, a voi e a loro. E facciamo un passo in più: se qualcuno di voi ha un nemico o qualcuno a cui non vuole bene, mettete nel cuore anche lui, così riceverà la benedizione. God bless you all, the Father, the Son and the Holy Spirit. Thank you very much”. Bambini abbracciati ai propri nonni, mamme impegnate a ballare e cantare con i propri piccoli, papà che fanno la hola a braccetto con i figli sugli spalti delle tribune. Al Croke Park Stadium di Dublino, Sabato sera 25 Agosto 2018, si è potuto vedere e toccare con mano la bellezza dello stare insieme, nel segno del Vangelo, di famiglie provenienti da tutto il mondo. È stata così davvero, e non solo di nome, una Festa della Famiglia Umana, anche grazie al grande impegno profuso dagli organizzatori che hanno saputo creare un programma ricco e intenso culminato nell’Ave Maria cantata in modo sublime da Andrea Bocelli in uno scenario interstellare. I bambini sono i veri protagonisti della Festa della Famiglia. Il clima festoso, favorito anche dalle ballate irlandesi che hanno contraddistinto la parte musicale dell’evento, coinvolge Papa Francesco, visibilmente contento di essere, in questo evento, come un padre circondato dall’amore dei suoi figli. I bambini sono i veri protagonisti della Festa, innanzitutto per le esibizioni canore che offrono a Francesco e agli 80mila presenti. Un impegno, quello dei più piccoli, che il Papa particolarmente apprezza. Immancabile è l’autoscatto papale chiesto da uno dei giovani che saluta il Vescovo di Roma. Un gesto imitato migliaia di volte dai presenti che sicuramente questa serata se la porteranno al lungo nel cuore. Nel suo discorso, Papa Bergoglio insegna: “Cari fratelli e sorelle, buonasera! Vi ringrazio per il vostro caloroso benvenuto. È bello essere qui! È bello celebrare, perché ci rende più umani e più cristiani. Ci aiuta anche a condividere la gioia di sapere che Gesù ci ama, ci accompagna nel viaggio della vita e ogni giorno ci attira più vicini a sé. In ogni celebrazione familiare, si avverte la presenza di tutti: padri, madri, nonni, nipoti, zii e zie, cugini, chi non è potuto venire e chi vive troppo lontano, tutti. Oggi a Dublino siamo riuniti per una celebrazione familiare di ringraziamento a Dio per quello che siamo: una sola famiglia in Cristo, diffusa su tutta la Terra. La Chiesa è la famiglia dei figli di Dio. Una famiglia in cui si gioisce con quelli che sono nella gioia e si piange con quelli che sono nel dolore o si sentono buttati a terra dalla vita. Una famiglia in cui si ha cura di ciascuno, perché Dio nostro Padre ci ha resi tutti suoi figli nel Battesimo. Ecco perché continuo a incoraggiare i genitori a far battezzare i figli appena possibile, perché diventino parte della grande famiglia di Dio. C’è bisogno di invitare ciascuno alla festa, anche il bambino piccolo! E per questo va battezzato presto. E c’è un’altra cosa: se il bambino da piccolo è battezzato, entra nel suo cuore lo Spirito Santo. Facciamo una comparazione: un bambino senza Battesimo, perché i genitori dicono: “No, quando sarà grande”, e un bambino con il Battesimo, con lo Spirito Santo dentro: questo è più forte, perché ha la forza di Dio dentro! Voi, care famiglie, siete la grande maggioranza del Popolo di Dio. Che aspetto avrebbe la Chiesa senza di voi? Una Chiesa di statue, una Chiesa di persone sole. È per aiutarci a riconoscere la bellezza e l’importanza della famiglia, con le sue luci e le sue ombre, che è stata scritta nell’Esortazione Amoris Laetitia sulla gioia dell’amore, e ho voluto che il tema di questo Incontro Mondiale delle Famiglie fosse “Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo”. Dio desidera che ogni famiglia sia un faro che irradia la gioia del Suo amore nel mondo. Che cosa significa? Significa che noi, dopo aver incontrato l’amore di Dio che salva, proviamo, con o senza parole, a manifestarlo attraverso piccoli gesti di bontà nella routine quotidiana e nei momenti più semplici della giornata. E questo come si chiama? Questo si chiama santità. Mi piace parlare dei santi “della porta accanto”, di tutte quelle persone comuni che riflettono la presenza di Dio nella vita e nella storia del mondo (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6-7). La vocazione all’amore e alla santità non è qualcosa di riservato a pochi privilegiati, no. Anche ora, se abbiamo occhi per vedere, possiamo scorgerla attorno a noi. È silenziosamente presente nel cuore di tutte quelle famiglie che offrono amore, perdono, misericordia quando vedono che ce n’è bisogno, e lo fanno tranquillamente, senza squilli di trombe. Il Vangelo della famiglia è veramente gioia per il mondo, dal momento che lì, nelle nostre famiglie, Gesù può sempre essere trovato; lì dimora in semplicità e povertà, come fece nella casa della Santa Famiglia di Nazaret. Il matrimonio cristiano e la vita familiare vengono compresi in tutta la loro bellezza e attrattiva se sono ancorati all’amore di Dio, che ci ha creato a sua immagine, così che noi potessimo dargli gloria come icone del Suo amore e della Sua santità nel mondo. Papà e mamme, nonni e nonne, figli e nipoti: tutti, tutti chiamati a trovare, nella famiglia, il compimento dell’amore. La grazia di Dio aiuta ogni giorno a vivere con un cuore solo e un’anima sola. Anche le suocere e le nuore! Nessuno dice che sia facile, voi lo sapete meglio di me. È come preparare un thè: è facile far bollire l’acqua, ma una buona tazza di thè richiede tempo e pazienza; c’è bisogno di lasciare in infusione! Così giorno dopo giorno Gesù ci riscalda col Suo amore facendo in modo che penetri tutto il nostro essere. Dal tesoro del Suo Sacro Cuore, riversa su di noi la grazia che ci occorre per guarire le nostre infermità e aprire la mente e il cuore ad ascoltarci, capirci e perdonarci gli uni gli altri. Abbiamo appena ascoltato le testimonianze di Felicité, Isaac e Ghislain, che vengono dal Burkina Faso. Ci hanno raccontato una storia commovente di perdono in famiglia. Il poeta diceva che “errare è umano, perdonare è divino”. Ed è vero: il perdono è un dono speciale di Dio che guarisce le nostre ferite e ci avvicina agli altri e a lui. Piccoli e semplici gesti di perdono, rinnovati ogni giorno, sono il fondamento sul quale si costruisce una solida vita familiare cristiana. Ci obbligano a superare l’orgoglio, il distacco e l’imbarazzo a fare pace. Tante volte siamo arrabbiati tra di noi e vogliamo fare la pace, ma non sappiamo come. È un imbarazzo a fare la pace, ma vogliamo farla! Non è difficoltoso. È facile. Fai una carezza, e così è fatta la pace! È vero, mi piace dire che nelle famiglie abbiamo bisogno di imparare tre parole – tu (Ghislain) le hai dette – tre parole: scusa, per favore e grazie. Tre parole. Come erano le tre parole? Tutti: (Sorry, please, thank you) Another time: Sorry, please, thank you. Non sento. (Sorry, please, thank you). Thank you very much! Quando litighi a casa, assicurati, prima di andare a letto, di aver chiesto scusa e di aver detto che ti dispiace. Prima che finisca la giornata, fare la pace. E sapete perché è necessario fare la pace prima di finire al giornata? Perché se non fai la pace, il giorno dopo, la guerra fredda è molto pericolosa! State attenti alla guerra fredda nella famiglia! Ma forse a volte tu sei arrabbiato e sei tentato di andare a dormire in un’altra stanza, solo e appartato; se ti senti così, semplicemente bussa alla porta e di’: “Per favore, posso entrare?”. Quel che serve è uno sguardo, un bacio, una parola dolce e tutto ritorna come prima! Dico questo perché, quando le famiglie lo fanno, sopravvivono. Non esiste una famiglia perfetta; senza l’abitudine al perdono, la famiglia cresce malata e gradualmente crolla. Perdonare vuol dire donare qualcosa di sé. Gesù ci perdona sempre. Con la forza del Suo perdono, anche noi possiamo perdonare gli altri, se davvero lo vogliamo. Non è quello per cui preghiamo, quando diciamo il Padre Nostro? I figli imparano a perdonare quando vedono che i genitori si perdonano tra loro. Se capiamo questo, possiamo apprezzare la grandezza dell’insegnamento di Gesù circa la fedeltà nel matrimonio. Lungi dall’essere un freddo obbligo legale, si tratta soprattutto di una potente promessa della fedeltà di Dio stesso alla Sua parola e alla Sua grazia senza limiti. Cristo è morto per noi perché noi a nostra volta possiamo perdonarci e riconciliarci gli uni gli altri. In questo modo, come persone e come famiglie, impariamo a comprendere la verità di quelle parole di San Paolo: mentre tutto passa, “la carità non avrà mai fine” (1Cor 13,8). Grazie Nisha e Ted per le vostre testimonianze dall’India, dove state insegnando ai vostri figli ad essere una vera famiglia. Ci avete anche aiutato a capire che i social media non sono necessariamente un problema per le famiglie, ma possono contribuire a costruire una “rete” di amicizie, solidarietà e mutuo sostegno. Le famiglie possono connettersi attraverso Internet e trarne beneficio. I social media possono essere benefici se usati con moderazione e prudenza. Ad esempio, voi, che partecipate a questo Incontro Mondiale delle Famiglie, formate una “rete” spirituale, una trama di amicizia; e i social media possono aiutarvi a mantenere questo legame e allargarlo ad altre famiglie in tante parti del mondo. È importante, tuttavia, che questi mezzi non diventino mai una minaccia alla vera rete di relazioni di carne e sangue, imprigionandoci in una realtà virtuale e isolandoci dai rapporti concreti che ci stimolano a dare il meglio di noi stessi in comunione con gli altri. Forse la storia di Ted e Nisha può aiutare tutte le famiglie a interrogarsi sul bisogno di ridurre il tempo che spendono per questi mezzi tecnologici, e di spendere più tempo di qualità tra di loro e con Dio. Ma quando tu usi troppo i social media, tu “entri in orbita”. Quando, a tavola, invece di parlare in famiglia ognuno ha il telefonino e si connette fuori, è “in orbita”. Ma questo è pericoloso. Perché? Perché ti toglie dal concreto della famiglia e ti porta a una vita “gassosa”, senza consistenza. State attenti a questo. Ricordate la storia di Ted e Nisha, che ci insegnano a usare bene i social media. Abbiamo sentito da Enass e Sarmaad come l’amore e la fede in famiglia possano essere sorgenti di forza e di pace persino in mezzo alla violenza e alla distruzione, causate da guerra e persecuzione. La loro storia ci riporta alle tragiche situazioni che quotidianamente patiscono tante famiglie costrette ad abbandonare le loro case in cerca di sicurezza e di pace. Ma Enass e Sarmaad ci hanno indicato anche come, a partire dalla famiglia e grazie alla solidarietà mostrata da molte altre famiglie, la vita può essere ricostruita e la speranza può rinascere. Abbiamo visto questo supporto nel video di Rammy e suo fratello Meelad, in cui Rammy ha espresso profonda gratitudine per l’incoraggiamento e per l’aiuto che la loro famiglia ha ricevuto da tante altre famiglie cristiane di tutto il mondo, che hanno reso loro possibile di ritornare nei loro villaggi. In ogni società le famiglie generano pace, perché insegnano l’amore, l’accoglienza, il perdono, i migliori antidoti contro l’odio, il pregiudizio e la vendetta che avvelenano la vita di persone e di comunità. Come un bravo prete irlandese ha insegnato, “la famiglia che prega insieme rimane insieme”, e irradia pace. Una tale famiglia può essere un sostegno speciale per altre famiglie che non vivono in pace. Dopo la morte di Padre Ganni, Enass, Sarmaad e le loro famiglie hanno scelto il perdono e la riconciliazione piuttosto che l’odio e il rancore. Hanno visto, alla luce della Croce, che il male si può contrastare solo col bene e l’odio superare solo col perdono. In modo quasi incredibile, sono stati capaci di trovare pace nell’amore di Cristo, un amore che fa nuove tutte le cose. E questa sera condividono questa pace con noi. Hanno pregato. La preghiera, pregare insieme. Mentre ascoltavo il coro, ho visto lì una mamma che insegnava al figlio a fare il segno della Croce. Vi domando: voi insegnate ai bambini a fare il segno della Croce? Sì o no? (Yes). O insegnate a fare qualcosa così (Francesco fa un gesto veloce, NdA) che non si capisce cosa sia? È molto importante che i bambini da piccolini imparino a fare bene il segno della Croce: è il primo Credo che imparano, il Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Questa sera, prima di andare a letto, voi genitori domandatevi: insegno ai miei figli a fare bene il segno della Croce? Pensateci, è cosa vostra! L’amore di Cristo che rinnova ogni cosa è ciò che rende possibile il matrimonio e un amore coniugale contraddistinto da fedeltà, indissolubilità, unità e apertura alla vita. È quanto si vede nel quarto capitolo di Amoris Laetitia. Abbiamo visto questo amore in Mary e Damian e nella loro famiglia con dieci figli. Vi domando (Francesco si rivolge a Mary e Damian, NdA): vi fanno arrabbiare, i figli? Eh, la vita è così! Ma è bello avere dieci figli. Thank you. Grazie per le vostre parole e per la vostra testimonianza di amore e di fede! Voi avete sperimentato la capacità dell’amore di Dio di trasformare completamente la vostra vita e di benedirvi con la gioia di una bella famiglia. Ci avete detto che la chiave della vostra vita familiare è la sincerità. Capiamo dal vostro racconto quant’è importante continuare ad andare a quella fonte della verità e dell’amore che può trasformare la nostra vita. Chi è? Gesù, che inaugurò il Suo ministero pubblico proprio a una festa di nozze. Lì, a Cana, cambiò l’acqua in un nuovo e buon vino che consentì di proseguire magnificamente la gioiosa celebrazione. Ma, avete pensato voi, cosa sarebbe successo se Gesù non avesse fatto questo? Avete pensato com’è brutto finire una festa di nozze con l’acqua soltanto? È brutto! La Madonna ha capito e ha detto al Figlio: “Non hanno vino”. E Gesù ha capito che la festa sarebbe finita male solo con l’acqua. Così è con l’amore coniugale. Il vino nuovo comincia a fermentare durante il tempo del fidanzamento, necessario ma passeggero, e matura lungo la vita  matrimoniale in un mutuo dono di sé, che rende gli sposi capaci di diventare, da due, “una sola carne”. E anche di aprire a loro volta i cuori a chi ha bisogno di amore, specialmente a chi è solo, abbandonato, debole e, in quanto vulnerabile, spesso accantonato dalla cultura dello scarto. Questa cultura che viviamo oggi, che scarta tutto: scarta tutto quello che non serve, scarta i bambini perché danno fastidio, scarta i vecchi perché non servono. Soltanto l’amore ci salva da questa cultura dello scarto. Le famiglie sono ovunque chiamate a continuare a crescere e andare avanti, pur in mezzo a difficoltà e limiti, proprio come hanno fatto le generazioni passate. Tutti siamo parte di una grande catena di famiglie, che risale all’inizio dei tempi. Le nostre famiglie sono tesori viventi di memoria, con i figli che a loro volta diventano genitori e poi nonni. Da loro riceviamo l’identità, i valori e la fede. Lo abbiamo visto in Aldo e Marissa, sposi da più di cinquant’anni. Il loro matrimonio è un monumento all’amore e alla fedeltà! I loro nipotini li mantengono giovani; la loro casa è piena di allegria, di felicità e di balli. Era bello vedere (nel video) la nonna insegnare a ballare alle nipotine! Il loro amore vicendevole è un dono di Dio, un dono che stanno trasmettendo con gioia ai loro figli e nipoti. Una società – ascoltate bene questo! – una società che non valorizza i nonni è una società senza futuro. Una Chiesa che non ha a cuore l’alleanza tra generazioni finirà per mancare di ciò che veramente conta, l’amore. I nostri nonni ci insegnano il significato dell’amore coniugale e genitoriale. Loro stessi sono cresciuti in una famiglia e hanno sperimentato l’affetto di figli e figlie, di fratelli e sorelle. Per questo costituiscono un tesoro di esperienza, un tesoro di sapienza per le nuove generazioni. È un grande errore non domandare agli anziani le loro esperienze o pensare che parlare con loro sia una perdita di tempo. A questo riguardo vorrei ringraziare Missy per la sua testimonianza. Lei ci ha detto che, tra i nomadi, la famiglia è sempre stata una fonte di forza e di solidarietà. La sua testimonianza ci ricorda che, nella casa di Dio, c’è un posto alla mensa per tutti. Nessuno dev’essere escluso; il nostro amore e la nostra attenzione devono estendersi a tutti. È tardi e siete stanchi! Anch’io! Ma lasciate che vi dica un’ultima cosa. Voi, famiglie, siete la speranza della Chiesa e del mondo! Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ha creato l’umanità a Sua immagine e somiglianza per farla partecipe del Suo amore, perché fosse una famiglia di famiglie e godesse quella pace che Lui solo può dare. Con la vostra testimonianza al Vangelo, potete aiutare Dio a realizzare il Suo sogno. Potete contribuire a far riavvicinare tutti i figli di Dio, perché crescano nell’unità e imparino cosa significa per il mondo intero vivere in pace come una grande famiglia. Per questo motivo, ho desiderato consegnare a ciascuno di voi una copia di Amoris Laetitia, preparata nei due Sinodi sulla famiglia e scritta perché fosse una sorta di guida per vivere con gioia il Vangelo della famiglia. Maria nostra Madre, Regina della famiglia e della pace, sostenga tutti voi nel viaggio della vita, dell’amore e della felicità! E ora, a conclusione della nostra serata, reciteremo la preghiera di questo Incontro delle Famiglie. Tutti insieme recitiamo la preghiera ufficiale dell’Incontro delle Famiglie”. Seguono grandi applausi, la preghiera e benedizione in inglese. “Buonanotte, dormite bene! E a domani!”. Papa Francesco incontra nel pomeriggio otto sopravvissuti irlandesi agli abusi del clero, dei religiosi e istituzionali, come riferisce in una dichiarazione il direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke. L’incontro si svolge in Nunziatura per un’ora e mezza. Tra i presenti la signora Marie Collins; il Rev. Patrick McCafferty, P.P.; il Rev. Joe McDonald; Councillor Damian O’Farrell; Paul Jude Redmond; Clodagh Malone; e Bernadette Fahy. Uno dei sopravvissuti, vittima del padre Tony Walsh, preferisce rimane anonimo. Fin dalla preghiera dell’Angelus sulla Spianata del Santuario di Knock, Domenica 26 Agosto 2018, Papa Bergoglio affronta i “fondamentali” del suo 24esimo viaggio apostolico e si dice “contento di essere qui con voi. Sono contento di essere con voi nella Casa della Madonna. E rendo grazie a Dio per l’opportunità di visitare, nel contesto dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, questo Santuario così caro al popolo irlandese. Ringrazio l’Arcivescovo Neary e il Rettore, Padre Gibbons, per il loro cordiale benvenuto. Nella Cappella dell’Apparizione ho affidato all’amorevole intercessione della Madonna tutte le famiglie del mondo e, in modo speciale, le vostre famiglie, le famiglie irlandesi. Maria nostra Madre conosce le gioie e le fatiche che si sperimentano in ogni casa. Tenendole nel suo Cuore immacolato, le presenta con amore al trono del suo Figlio. A ricordo della mia visita, ho portato in dono un Rosario. So quanto è importante in questo Paese la tradizione del Rosario familiare. Mi raccomando: continuate con questa tradizione. Quanti cuori di padri, madri e figli hanno attinto consolazione e forza nel corso degli anni meditando sulla partecipazione della Madonna ai Misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi della vita di Cristo! Maria è Madre. Maria è nostra Madre, è anche la Madre della Chiesa, ed è a lei che affidiamo oggi il cammino del popolo fedele di Dio in questa “Isola di smeraldo”. Chiediamo che le famiglie siano sostenute nel loro impegno di diffondere il Regno di Cristo e di prendersi cura degli ultimi tra i nostri fratelli e sorelle. Fra i venti e le tempeste che imperversano sui nostri tempi, siano le famiglie baluardi di fede e di bontà che, secondo le migliori tradizioni della nazione, resistono a tutto ciò che vorrebbe sminuire la dignità dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio e chiamati al sublime destino della vita eterna. La Madonna guardi con misericordia tutti i membri sofferenti della famiglia del suo Figlio. Pregando davanti alla sua statua, le ho presentato, in particolare, tutti i sopravvissuti vittime di abusi da parte di membri della Chiesa in Irlanda. Nessuno di noi può esimersi dal commuoversi per le storie di minori che hanno patito abusi, che sono stati derubati dell’innocenza o che sono stati allontanati dalle mamme, e abbandonati allo sfregio di dolorosi ricordi. Questa piaga aperta ci sfida ad essere fermi e decisi nella ricerca della verità e della giustizia. Imploro il perdono del Signore per questi peccati, per lo scandalo e il tradimento avvertiti da tanti nella famiglia di Dio. Chiedo alla nostra Madre Beata di intercedere per tutte le persone sopravvissute di abusi di qualsiasi tipo e di confermare ogni membro della famiglia cristiana nel risoluto proposito di non permettere mai più che queste situazioni accadano; e anche di intercedere per tutti noi, perché possiamo procedere sempre con giustizia e riparare, in quanto da noi dipenda, tanta violenza. Il mio pellegrinaggio a Knock mi permette anche di rivolgere un cordiale saluto all’amata gente dell’Irlanda del Nord. Sebbene il mio viaggio per l’Incontro Mondiale delle Famiglie non includa una visita al Nord, vi assicuro il mio affetto e la mia vicinanza nella preghiera. Chiedo alla Madonna di sostenere tutti i membri della famiglia irlandese perché perseverino, come fratelli e sorelle, nell’opera di riconciliazione. Con gratitudine per i progressi ecumenici e per la significativa crescita di amicizia e collaborazione tra le comunità cristiane, prego perché tutti i discepoli di Cristo portino avanti con costanza gli sforzi per far progredire il processo di pace e costruire una società armoniosa e giusta per i figli di oggi, siano cristiani, siano musulmani, siano ebrei, siano di qualsiasi fede: figli dell’Irlanda. Ed ora, con queste intenzioni e con tutte quelle che portiamo nel cuore, rivolgiamoci alla Beata Vergine Maria con la preghiera dell’Angelus”. Dopo l’Angelus, il Vescovo di Roma desidera “rivolgere uno speciale saluto agli uomini e alle donne che sono in carcere in questo Paese, e ringraziare in particolare quanti tra loro mi hanno scritto avendo saputo che sarei venuto in Irlanda. Vorrei dirvi: vi sono vicino, molto vicino. Assicuro a voi e ai vostri familiari la mia vicinanza e la mia preghiera. Maria Madre di Misericordia vegli su di voi e vi rafforzi nella fede e nella speranza. Grazie!”. Momento clou della visita di Papa Francesco in Irlanda, è la Santa Messa del pomeriggio al Phoenix Park di Dublino, uno dei parchi urbani più grandi d’Europa dove celebrò anche Giovanni Paolo II nel 1979. Migliaia di famiglie riempiono la distesa verde con una gioia che di per sé è già una testimonianza. All’inizio il Papa pronuncia l’Atto Penitenziale con una richiesta di perdono per gli abusi commessi in Irlanda da parte di membri del clero. Francesco, durante la Messa al Phoenix Park di Dublino, nell’atto penitenziale, torna a chiedere perdono anche per quanti hanno gettato un velo di silenzio sul dolore di tanti: “Chiediamo perdono per gli abusi in Irlanda, abusi di potere e di coscienza, abusi sessuali da parte di membri qualificati della Chiesa”. A sorpresa, Papa Bergoglio racconta l’incontro avuto con “otto persone sopravvissute”, ponendo “davanti alla misericordia del Signore questi crimini” e auspicando che il “Signore mantenga e faccia crescere questo stato di vergogna e di pentimento, affinché mai più accadano queste cose e perché si faccia giustizia”. Francesco chiede perdono per quei religiosi che hanno compiuto abusi, per tutti quei casi di sfruttamento “lavorativo a cui sono stati sottoposti tanti minori, perdono per tutte quelle volte in cui la Chiesa non ha offerto ai sopravvissuti di qualsiasi tipo di abuso, compassione, ricerca di giustizia e di verità, con azioni concrete. Chiediamo perdono per alcuni membri della gerarchia che non si sono fatti carico di queste situazione dolorose e che sono rimasti in silenzio: chiediamo perdono”. Nel testo pronunciato in spagnolo, il Papa pensa anche a tutte quelle mamme alle quali sono stati strappati i propri figli, ingiustamente: “Chiediamo perdono per i bambini che sono stati tolti alle loro mamme, e per tutte quelle volte in cui si diceva a tante ragazze madri che provavano a cercare i loro figli dai quali erano state separate, o ai figli, che cercavano le loro mamme, si diceva che era peccato mortale: questo non è peccato mortale, è il quarto comandamento. Chiediamo perdono”. Nell’Atto Penitenziale, il Vescovo di Roma dichiara: “Ieri mi sono incontrato con otto persone sopravvissute di abusi di potere, di coscienza e sessuali. Raccogliendo quello che mi hanno detto, vorrei porre davanti alla misericordia del Signore questi crimini e chiederne perdono. Chiediamo perdono per gli abusi in Irlanda, abusi di potere e di coscienza, abusi sessuali da parte di membri qualificati della Chiesa. In modo speciale chiediamo perdono per tutti gli abusi commessi in diversi tipi di istituzioni dirette da religiosi e da religiose e da altri membri della Chiesa. E chiediamo perdono per i casi di sfruttamento lavorativo a cui sono stati sottoposti tanti minori. Chiediamo perdono per le volte in cui come Chiesa non abbiamo offerto ai sopravvissuti di qualsiasi tipo di abuso compassione, ricerca di giustizia e di verità, con azioni concrete. Chiediamo perdono. Chiediamo perdono per alcuni membri della gerarchia che non si sono fatti carico di queste situazioni dolorose e che sono rimasti in silenzio. Chiediamo perdono. Chiediamo perdono per i bambini che sono stati tolti alle loro mamme, e per tutte quelle volte in cui si diceva a tante ragazze madri che provavano a cercare i loro figli dai quali erano state separate, o ai figli, che cercavano le loro mamme, si diceva che era peccato mortale: questo non è peccato mortale, è il quarto comandamento. Chiediamo perdono. Il Signore mantenga e faccia crescere questo stato di vergogna e di pentimento, e ci dia la forza per impegnarci affinché mai più accadano queste cose e perché si faccia giustizia. Amen”. Nell’omelia il Papa ricorda che “a conclusione di questo Incontro Mondiale delle Famiglie, ci riuniamo come famiglia attorno alla mensa del Signore. Ringraziamo il Signore per le tante benedizioni ricevute nelle nostre famiglie. Vogliamo impegnarci a vivere pienamente la nostra vocazione per essere, secondo le toccanti parole di Santa Teresa di Gesù Bambino, “l’amore nel cuore della Chiesa”. In questo prezioso momento di comunione gli uni con gli altri e con il Signore, è bene fare una sosta e considerare la fonte di tutte le cose buone che abbiamo ricevuto. Gesù rivela l’origine di queste benedizioni nel Vangelo di oggi, quando parla ai suoi discepoli. Molti di loro erano sconvolti, confusi e anche arrabbiati, dibattuti se accettare le sue “parole dure”, così contrarie alla sapienza di questo mondo. In risposta, il Signore dice loro direttamente: “Le parole che vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63). Queste parole, con la loro promessa del dono dello Spirito Santo, sono traboccanti di vita per noi che le accogliamo nella fede. Esse indicano la fonte ultima di tutto il bene che abbiamo sperimentato e celebrato qui in questi giorni: lo Spirito di Dio, che costantemente soffia nuova vita sul mondo, nei cuori, nelle famiglie, nelle case e nelle parrocchie. Ogni nuovo giorno nella vita delle nostre famiglie, e ogni nuova generazione, porta con sé la promessa di una nuova Pentecoste, una Pentecoste domestica, una nuova effusione dello Spirito, il Paraclito, che Gesù ci manda come nostro Avvocato, nostro Consolatore e Colui che veramente ci dà coraggio. Quanto ha bisogno il mondo di questo incoraggiamento che è dono e promessa di Dio! Come uno dei frutti di questa celebrazione della vita familiare, possiate tornare alle vostre case e diventare fonte di incoraggiamento per gli altri, per condividere con loro “le parole di vita eterna” di Gesù. Le vostre famiglie infatti sono sia un luogo privilegiato sia un importante mezzo per diffondere quelle parole come “buone notizie” per ciascuno, specialmente per quelli che desiderano lasciare il deserto e la “casa di schiavitù” (Gs 24,17) per andare verso la terra promessa della speranza e della libertà. Nella seconda lettura odierna, San Paolo ci dice che il matrimonio è una partecipazione al mistero della perenne fedeltà di Cristo alla sua sposa, la Chiesa (Ef 5,32). Tuttavia questo insegnamento, seppure magnifico, può apparire a qualcuno (le femministe, NdA) come una “parola dura”. Perché vivere nell’amore, come Cristo ci ha amato (Ef 5,2) comporta l’imitazione del suo stesso sacrificio di sé, comporta morire a noi stessi per rinascere a un amore più grande e più duraturo. Quell’amore che solo può salvare il mondo dalla schiavitù del peccato, dall’egoismo, dall’avidità e dall’indifferenza verso i bisogni dei meno fortunati. Questo è l’amore che abbiamo conosciuto in Gesù Cristo. Esso si è incarnato nel nostro mondo mediante una famiglia, e mediante la testimonianza delle famiglie cristiane in ogni generazione ha il potere di infrangere ogni barriera per riconciliare il mondo con Dio e fare di noi ciò che da sempre siamo destinati a essere: un’unica famiglia umana che vive insieme nella giustizia, nella santità, nella pace. Il compito di dare testimonianza a questa Buona Notizia non è facile. Tuttavia, le sfide che i cristiani oggi hanno di fronte sono, a loro modo, non meno difficili di quelle che dovettero affrontare i primi missionari irlandesi. Penso a San Colombano, che col suo piccolo gruppo di compagni portò la luce del Vangelo nelle terre europee in un’epoca di oscurità e di decadenza culturale. Il loro straordinario successo missionario non era basato su metodi tattici o piani strategici, no, ma su una umile e liberante docilità ai suggerimenti dello Spirito Santo. Fu la loro quotidiana testimonianza di fedeltà a Cristo e tra di loro che conquistò i cuori che desideravano ardentemente una parola di grazia e che contribuì a far nascere la cultura europea. Tale testimonianza rimane una perenne fonte di rinnovamento spirituale e missionario per il popolo santo e fedele di Dio. Naturalmente, ci saranno sempre persone che si opporranno alla Buona Notizia, che “mormoreranno” contro le sue “parole dure”. Tuttavia, come San Colombano e i suoi compagni, che affrontarono acque ghiacciate e mari tempestosi per seguire Gesù (dove sono i colossal cinematografici?, NdA) non lasciamoci mai influenzare o scoraggiare dallo sguardo gelido dell’indifferenza o dai venti burrascosi dell’ostilità. Tuttavia, riconosciamo umilmente che, se siamo onesti con noi stessi, possiamo anche noi trovare duri gli insegnamenti di Gesù. Quanto è sempre difficile perdonare quelli che ci feriscono! Che sfida è sempre quella di accogliere il migrante e lo straniero (senza trattare con i signori della guerra e dei traffici di esseri umani, droghe e armi con i proventi di tale mercimonio, NdA)! Com’è doloroso sopportare la delusione, il rifiuto, il tradimento! Quanto è scomodo proteggere i diritti dei più fragili, dei non ancora nati o dei più anziani, che sembrano disturbare il nostro senso di libertà. Tuttavia, è proprio in quelle circostanze che il Signore ci chiede: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67). Con la forza dello Spirito che ci incoraggia e con il Signore sempre al nostro fianco, possiamo rispondere: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio» (v. 69). Con il popolo d’Israele, possiamo ripetere: “Anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio” (Gs 24,18). Con i sacramenti del Battesimo e della Confermazione, ogni cristiano viene inviato per essere un missionario, un “discepolo missionario” (Evangelii gaudium,120). La Chiesa nel suo insieme è chiamata ad “uscire” per portare le parole di vita eterna alle periferie del mondo. Possa questa nostra celebrazione di oggi confermare ciascuno di voi, genitori e nonni, bambini e giovani, uomini e donne, frati e suore, contemplativi e missionari, diaconi e sacerdoti e vescovi, nel condividere la gioia del Vangelo! Possiate condividere il Vangelo della famiglia come gioia per il mondo! Nel prepararci a riprendere ciascuno la propria strada, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore e alla vocazione alla quale ha chiamato ciascuno di noi. Facendo nostra la preghiera di San Patrizio, ripetiamo ciascuno con gioia: “Cristo dentro di me, Cristo dietro di me, Cristo accanto a me, Cristo sotto di me, Cristo sopra di me” (Francesco lo ripete in gaelico, NdA). Con la gioia e la forza conferita dallo Spirito Santo, diciamogli con fiducia: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68)”. Al termine della Celebrazione eucaristica e di questo stupendo Incontro Mondiale delle Famiglie, dono di Dio a noi e a tutta la Chiesa, il Papa desidera “dire un cordiale grazie a tutti coloro che in diversi modi hanno collaborato alla sua realizzazione. Ringrazio l’Arcivescovo Martin e l’Arcidiocesi di Dublino per il lavoro di preparazione e organizzazione. Speciale gratitudine esprimo per il supporto e l’assistenza assicurati dal Governo, dalle Autorità civili e dai tanti volontari, irlandesi e di vari Paesi, che con generosità hanno offerto tempo e fatica. In modo speciale desidero dire un “grazie” molto sentito a tutte le persone che hanno pregato per questa Giornata: anziani, bambini, religiosi e religiose, malati, carcerati. Sono sicuro che il successo di questa Giornata si deve alle loro semplici e perseveranti preghiere. Grazie a tutti! Il Signore vi ricompensi!”. Nel suo discorso di saluto, il cardinale arcivescovo di Dublino, Diamuid Martin, fa riferimento alla situazione della Chiesa in Irlanda che “ha attraversato momenti difficili. La gente è stata ferita nel profondo dell’essere da persone di Chiesa; la fede della gente è stata messa alla prova e la Chiesa di Gesù Cristo è stata ferita – confessa il prelato apertamente ricordando questi “momenti invernali” vissuti dal Paese – ma l’Irlanda cambia”. La speranza è quella di una “Primavera per la Chiesa irlandese”. E la fragilità della fede in Irlanda può tenere lontani dall’arroganza. Il suo desiderio è quindi quello di “aiutare le famiglie a rendersi conto di nuovo che il futuro dell’Irlanda  ha bisogno della luce del messaggio di Gesù Cristo”. Nel saluto finale, il cardinale Kevin Farrel, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ricorda la gioia vissuta in questi giorni nei quali si è riflettuto su come dare attuazione all’Amoris Laetitia, “trasformando l’insegnamento cristiano sulla famiglia in concreto annuncio di amore e tenerezza”. Una parola di incoraggiamento per “perseverare nel ministero di araldi del Vangelo” e di “pastori del gregge di Cristo”, è quanto Papa Bergoglio lascia ai Vescovi d’Irlanda nel suo discorso, quando manca poco più di un’ora al suo decollo dall’Isola Verde che lo ha accolto per due giornate molto intense. Il IX Incontro Mondiale delle Famiglie, ragione del suo viaggio apostolico, si è appena concluso con la solenne Messa nell’immenso Phoenix Park, quando, intorno alle 18 ora italiana di Domenica 26 Agosto 2018, il Papa raggiunge in macchina il sobborgo di Dublino dove da trecento anni sorge il Convento delle Suore domenicane di Nostra Signora del Rosario e Santa Caterina da Siena, dedite all’educazione scolastica in materia di cura del Creato. È qui che si svolge l’incontro con i Vescovi d’Irlanda. Ad accoglierlo è Mons. Eamon Martin, presidente della Conferenza episcopale irlandese, che nel suo saluto di benvenuto rimarca quanto questo viaggio apostolico sia stato una “benedizione e una “ragione di speranza” per il futuro della Chiesa d’Irlanda e della nazione, e quanto forte sia nei presuli il desiderio di “essere pastori e convincere i giovani che in Cristo possono trovare una ragione per vivere, un sentiero di felicità”. Il ruolo dei vescovi è anche nelle parole del Papa che dichiara: “Cari fratelli Vescovi, mentre la mia visita in Irlanda sta per concludersi, sono grato per questa opportunità di trascorrere alcuni momenti con voi. Ringrazio l’Arcivescovo Eamon Martin per le sue cortesi parole di introduzione e vi saluto tutti con affetto nel Signore. Il nostro incontro questa sera riprende la fraterna discussione avuta a Roma lo scorso anno durante la vostra visita ad limina Apostolorum. In questi brevi spunti, vorrei riassumere la nostra precedente conversazione, nello spirito dell’Incontro Mondiale delle Famiglie che abbiamo appena celebrato. Tutti noi, come Vescovi, siamo consapevoli della nostra responsabilità di essere padri per il santo popolo fedele di Dio. Come buoni padri, intendiamo incoraggiare ed ispirare, riconciliare e unire, e soprattutto preservare tutto il bene tramandato di generazione in generazione in questa grande famiglia che è la Chiesa in Irlanda. È vero, la Chiesa in Irlanda rimane forte, è vero. Perciò questa sera la mia parola per voi è quella dell’incoraggiamento, in continuità con l’omelia, per i vostri sforzi, in questi momenti di sfida, per perseverare nel vostro ministero di araldi del Vangelo e di pastori del gregge di Cristo. In modo particolare, sono grato per la sollecitudine che mostrate verso i poveri, gli esclusi e i bisognosi di aiuto, come ha testimoniato recentemente la vostra lettera pastorale sui senzatetto e sulle dipendenze. Sono grato anche per l’aiuto che offrite ai vostri sacerdoti, la cui pena e il cui scoraggiamento a causa dei recenti scandali sono spesso ignorati. Siate vicini ai sacerdoti! Sono il prossimo più prossimo che avete, come vescovi. Un tema ricorrente della mia visita, naturalmente, è stato quello della necessità per la Chiesa di riconoscere e rimediare con onestà evangelica e coraggio agli errori passati, peccati gravi, circa la protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili. Fra questi, le donne maltrattate. Negli anni recenti voi, come corpo episcopale, avete risolutamente proceduto, non solo ad intraprendere percorsi di purificazione e riconciliazione con le vittime, le vittime e i sopravvissuti degli abusi, ma anche, con l’aiuto del National Board per la tutela dei bambini nella Chiesa in Irlanda, avete proceduto a fissare un insieme rigoroso di norme volto a garantire la sicurezza dei giovani. In questi anni, tutti noi abbiamo dovuto aprire gli occhi, è doloroso, sulla gravità e l’estensione dell’abuso di potere, di coscienza e sessuale in diversi contesti sociali. In Irlanda, come altrove, l’onestà e l’integrità con cui la Chiesa decide di affrontare questo capitolo doloroso della sua storia può offrire un esempio e un richiamo all’intera società. Continuate così. Le umiliazioni sono dolorose, ma siamo stati salvati dall’umiliazione del Figlio di Dio, e questo ci dà coraggio. Le piaghe di Cristo ci danno coraggio. Vi chiedo, per favore, vicinanza, questa è la parola, vicinanza, al Signore e al popolo di Dio. Prossimità. Non ripetere atteggiamenti di lontananza e clericalismo che alcune volte, nella vostra storia, hanno dato l’immagine reale di una Chiesa autoritaria, dura e autocratica. Come abbiamo menzionato nella nostra conversazione a Roma, la trasmissione della fede nella sua integrità e bellezza rappresenta una sfida significativa nel contesto della rapida evoluzione della società. L’Incontro Mondiale delle Famiglie ci ha dato grande speranza e incoraggiamento circa il fatto che le famiglie stanno diventando sempre più consapevoli del loro insostituibile ruolo nel trasmettere la fede. La trasmissione della fede, fondamentalmente, si fa in famiglia; la fede va trasmessa “in dialetto”, il dialetto della famiglia. Nel medesimo tempo, le scuole cattoliche e i programmi di istruzione religiosa continuano a svolgere una funzione indispensabile nel creare una cultura di fede e un senso di discepolato missionario. So che questo è motivo di cura pastorale per tutti voi. La genuina formazione religiosa richiede insegnanti fedeli e gioiosi, capaci di formare non solo le menti ma anche i cuori all’amore di Cristo e alla pratica della preghiera. A volte pensiamo che formare nella fede significhi dare concetti religiosi, e non pensiamo a formare il cuore, a formare gli atteggiamenti. Ieri il presidente della Nazione mi diceva che aveva scritto un poema su Descartes e diceva così, più o meno: “La freddezza del pensiero ha ucciso la musica del cuore”. Formare la mente, sì, ma anche il cuore. E insegnare a pregare: insegnare a pregare ai bambini; dall’inizio, la preghiera. La preparazione di tali insegnanti e la diffusione di programmi per la formazione permanente sono essenziali per il futuro della comunità cristiana, nella quale un laicato impegnato sarà maggiormente chiamato a portare la saggezza e i valori della sua fede all’interno dell’impegno nei diversi settori della vita sociale, culturale e politica del Paese. Gli sconvolgimenti degli ultimi anni hanno messo alla prova la fede tradizionalmente forte del popolo irlandese. Tuttavia hanno anche offerto l’opportunità di un rinnovamento interiore della Chiesa in questo Paese e indicato nuovi modi per immaginare la sua vita e la sua missione. “Dio è sempre novità” e “ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto” (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 135). Con umiltà e fiducia nella sua grazia, possiate discernere e intraprendere nuove strade per questi nuovi tempi. Siate coraggiosi e creativi. Certamente, il forte senso missionario radicato nell’anima del vostro popolo vi ispirerà le vie creative per dare testimonianza alla verità del Vangelo e far crescere la comunità dei credenti nell’amore di Cristo e nello zelo per la crescita del suo Regno. Nei vostri sforzi quotidiani per essere padri e pastori della famiglia di Dio in questo Paese – padri, per favore, non patrigni –possiate sempre essere sostenuti dalla speranza che si fonda sulla verità delle parole di Cristo e sulla certezza delle sue promesse. In ogni tempo e luogo, quella verità rende liberi (Gv 8,32); essa ha un suo intrinseco potere per convincere le menti e condurre i cuori a sé. Ogni volta che voi e il vostro popolo sentite di essere un piccolo gregge esposto a sfide e difficoltà, non scoraggiatevi. Come San Giovanni della Croce ci insegna, è nella notte oscura che la luce della fede brilla più pura nei nostri cuori. E quella luce mostrerà la via per il rinnovamento della vita cristiana in Irlanda negli anni a venire. Infine, nello spirito della comunione ecclesiale, vi chiedo di continuare a promuovere unità e fraternità tra di voi, è molto importante; e anche, insieme con i leader di altre comunità cristiane, di lavorare e pregare con fervore per la riconciliazione e la pace tra tutti i membri della famiglia irlandese. Oggi a pranzo c’ero io, poi le Autorità di Dublino, dell’Irlanda del Nord. Uniti, tutti. E una cosa che sempre dico, ma si deve ripetere: qual è il primo compito del vescovo? Lo dico a tutti: la preghiera. Quando i cristiani ellenistici sono andati a lamentarsi perché non ci si prendeva cura delle loro vedove (Atti degli Apostoli 6,1) Pietro e gli Apostoli inventarono i diaconi. Poi, quando Pietro spiega come dovrà essere la cosa, finisce così: “E a noi (Apostoli) spetterà la preghiera e l’annuncio della parola”. Io butto lì una domanda, ognuno risponde a casa propria: quante ore al giorno prega ognuno di voi? Con questi pensieri, cari fratelli, vi assicuro le mie preghiere per le vostre intenzioni, e vi chiedo di ricordarvi di me nelle vostre. A tutti voi e ai fedeli affidati alla vostra cura pastorale imparto la mia Benedizione, pegno di gioia e di forza nel Signore Gesù Cristo. Vi sono vicino: andate avanti, coraggio! Il Signore è tanto buono. E la Madonna ci custodisce. E quando le cose sono un po’ difficili, pregare Sub tuum praesidium, perché dicevano i mistici russi che nei momenti di turbolenza spirituale, dobbiamo andare sotto il manto della Santa Madre di Dio, sub tuum praesidium. Grazie tante! E adesso vi darò la benedizione. Preghiamo insieme l’Ave Maria. May God bless you all, the Father, the Son and the Holy Spirit. Thank you very much”. Poi l’aereo decolla e durante la tradizionale conferenza stampa di Francesco durante il volo di ritorno dall’Irlanda, molti fatti vengono svelati. La prima domanda viene dal giornalista Tony Connelly di RTÉ – Radio Tv irlandese: “Santità, sabato ha parlato dell’incontro che ha avuto con il Ministro per l’infanzia; ha detto di quanto l’abbia toccato, quanto la Signora Le ha detto sulle case per le mamme e i bambini. Cosa esattamente Le ha detto? E Lei è rimasto tanto colpito perché è stata per Lei la prima volta in cui ha sentito parlare di queste case?”. Papa Francesco risponde: “La Ministra mi ha detto prima una cosa che non toccava tanto madri e figli; mi ha ditto, ma è stata breve: “Santo Padre, noi abbiamo trovato fosse comuni di bambini, bambini sotterrati. Stiamo facendo indagini. La Chiesa ha qualcosa a che vedere in tutto questo?”, ma lo ha detto con molta educazione, davvero, e con molto rispetto. Io l’ho ringraziata, mi ha toccato il cuore questo, a tal punto che ho voluto ripeterlo nel discorso. Non era all’aeroporto, mi sono sbagliato, era nell’incontro con il Presidente. All’aeroporto c’era un’altra Signora, Ministra credo, e mi sono confuso. Ma lei mi ha detto: “Poi Le invierò un memo”. Mi ha inviato il memo, non ho potuto leggerlo. Ho visto che mi aveva inviato un memo. È stata molto equilibrata nel dirmi: c’è un problema, ancora non è stata finita l’indagine, ma mi ha fatto sentire anche che la Chiesa aveva qualcosa a che fare, in quella cosa. Secondo me, questo è stato un esempio di collaborazione costruttiva, prima che, non voglio dire la parola “protesta”, ma di lamento, di lamento per quello che in un tempo passato forse la Chiesa aveva favorito. Quella Signora era di una dignità che mi ha toccato il cuore. E adesso ho quel memo, che studierò quando torno a casa. Grazie a lei”. Paddy Agnew del “Sunday Independent”, residente a Roma, giornalista irlandese: “Santo Padre, grazie e buona sera. Ieri, Marie Collins, la vittima Marie Collins che Lei conosce bene, ha riferito che Lei non è favorevole all’istituzione di nuovi tribunali di inchiesta vaticani sul problema degli abusi sessuali, e in particolare dei cosiddetti tribunali d’inchiesta sui vescovi, sull’assunzione di responsabilità da parte dei vescovi (bishop accountability). Perché ritiene che questi non siano necessari?”. Papa Francesco risponde: “No, no, non è così. Non è così. Marie Collins è un po’ fissata sull’idea. Io stimo tanto Marie Collins, alle volte la chiamiamo in Vaticano perché tenga conferenze, lei è rimasta fissata sull’idea di quello scritto “Come una madre amorevole”, nel quale si diceva che per giudicare i vescovi sarebbe bene fare un tribunale speciale. Poi si è visto che questo non era praticabile e non era neanche conveniente per le diverse culture dei vescovi che devono essere giudicati. Si prende la raccomandazione di “Madre amorevole” e si fa la giuria per ogni vescovo, ma non è la stessa. Questo vescovo va giudicato e il Papa fa una giuria che sia più capace di prendere quel caso. È una cosa che funziona meglio, anche perché, per un gruppo di vescovi, lasciare la diocesi per questo non è possibile. Così i tribunali, le giurie cambiano. E così abbiamo fatto fino adesso. Sono stati giudicati parecchi vescovi: l’ultimo è quello di Guam, l’arcivescovo di Guam, che è ricorso in appello e io ho deciso – perché era un caso molto, molto complesso – di usare un diritto che ho io, di prendere su di me l’appello e non mandarlo al tribunale d’appello che fa il suo lavoro con tutti i preti, ma l’ho preso su di me. Ho fatto una commissione di canonisti che mi aiuti e mi hanno detto che, in breve, un mese al massimo, sarà fatta la “raccomandazione” perché io faccia il giudizio. È un caso complicato, da una parte, ma non difficile, perché le evidenze sono chiarissime; dal lato delle evidenze, sono chiare. Ma non posso pre-giudicare. Aspetto il rapporto e poi giudicherò. Dico che le evidenze sono chiare perché sono quelle che hanno portato il primo tribunale alla condanna. Questo è stato l’ultimo caso. Adesso ce n’è un altro in corso, vediamo come finirà. Ma è chiaro, io ho detto a Marie, lo spirito e anche la raccomandazione di “Come una madre amorevole” si attua: un vescovo va giudicato da un tribunale, ma non è sempre lo stesso tribunale, perché non è possibile. Lei (Marie Collins) non ha capito bene questo, ma quando la vedrò – perché lei viene a volte in Vaticano, la chiamiamo – le spiegherò più chiaramente. Io le voglio bene”. Stefania Falasca di Avvenire: “Buona sera, Santo Padre. Lei ha detto, anche oggi, che è sempre una sfida quella di accogliere il migrante e lo straniero. Proprio ieri si è risolta una vicenda dolorosa, quella della nave Diciotti. C’è il Suo “zampino” dietro questa soluzione? C’è il suo coinvolgimento, il suo interessamento?”. Papa Francesco risponde: “Lo zampino è del diavolo, non il mio! Lo zampino è del diavolo”. Stefania Falasca: “E poi, in tanti vedono un ricatto all’Europa sulla pelle di questa gente. Lei che ne pensa?”. Papa Francesco rimarca: “Accogliere i migranti è una cosa antica come la Bibbia. Nel Deuteronomio, nei comandamenti Dio comanda questo: accogliere il migrante, lo straniero. È una cosa antica, che è nello spirito della rivelazione divina e anche nello spirito del Cristianesimo. È un principio morale. Su questo ho parlato, e poi ho visto che dovevo esplicitare un po’ di più, perché non si tratta di accogliere “alla belle étoile”, no, ma un accogliere ragionevole. E questo vale in tutta l’Europa. Quando mi sono accorto di come dev’essere questo atteggiamento ragionevole? Quando c’è stato l’attentato a Zaventem (Belgio): i ragazzi, i guerriglieri che hanno fatto l’attentato a Zaventem erano belgi, ma figli di immigrati non integrati, ghettizzati. Cioè, erano stati accolti dal Paese ma lasciati lì, e hanno fatto un ghetto: non sono stati integrati. Per questo ho sottolineato questo, è importante. Poi, ho ricordato, quando sono andato in Svezia – e Franca (Giansoldati) in un articolo ha fatto menzione di questo e di come io ho esplicitato questo pensiero – ho parlato dell’integrazione, e lo sapevo perché durante la dittatura, in Argentina, dal 1976 al 1983, tanti, tanti argentini e anche uruguayani sono fuggiti in Svezia. E lì, subito il governo li prendeva, faceva loro studiare la lingua e dava loro lavoro, li integrava. Al punto che – e questo è un aneddoto interessante – la Signora Ministro che è venuta a congedarmi all’aeroporto di Lund era figlia di una svedese e di un migrante africano; ma questo migrante africano si è integrato al punto che sua figlia è diventata Ministra nel Paese. La Svezia è stata un modello. Ma, in quel momento, la Svezia incominciava ad avere difficoltà: non perché non avesse buona volontà, ma perché non aveva le possibilità di integrazione. Questo è stato il motivo per cui la Svezia si è fermata un po’, ha fatto questo passo. Integrazione. E poi, ho parlato qui, in una conferenza stampa fra voi, della virtù della prudenza che è la virtù del governante, e ho parlato della prudenza dei popoli sul numero o sulle possibilità: un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c’è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell’Unione Europea. Si deve continuare a parlare: le soluzioni si trovano. Cosa è successo con la Diciotti? Io non ho messo lo zampino. Quello che ha fatto il lavoro con il Ministro dell’Interno è stato padre Aldo, il bravo padre Aldo, che è quello che segue l’Opera di Don Benzi, che gli italiani conoscono bene, che lavorano per la liberazione delle prostitute, quelle che sono sfruttate e tante cose. Ed è entrata anche la Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Bassetti, che era qui, ma al telefono seguiva tutta la mediazione, e uno dei due sottosegretari, Mons. Maffeis, negoziava con il Ministro. E credo che sia entrata l’Albania. Hanno preso un certo numero di migranti l’Albania, l’Irlanda e il Montenegro, credo, non sono sicuro. Gli altri li ha presi in carico la Conferenza Episcopale, non so se sotto l’ombrello del Vaticano o no. Non so come sia stata negoziata la cosa; ma vanno al Centro “Mondo migliore” a Rocca di Papa, saranno accolti lì. Il numero credo che sia più di cento. E lì incominceranno a imparare la lingua e a fare quel lavoro che si è fatto con i migranti integrati. Io ho avuto un’esperienza molto gratificante. Quando sono andato all’Università Roma III c’erano gli studenti che volevano farmi domande e ho visto una studentessa. “Io questa faccia la conosco”: era una che era venuta con me fra i tredici che avevo portato da Lesbo. Quella ragazza era all’Università! Perché? Perché la Comunità di Sant’Egidio, dal giorno dopo il suo arrivo, l’ha portata a scuola, a studiare: vai, vai. E l’ha integrata a livello universitario. Questo è il lavoro con i migranti. C’è l’apertura del cuore per tutti, soffrire; poi, l’integrazione come condizione per accogliere; e poi la prudenza dei governanti per fare questo. Io ho visto, ne ho un filmato clandestino, cosa succede a coloro che sono mandati indietro e sono ripresi dai trafficanti: è orribile, le cose che fanno agli uomini, alle donne e ai bambini, li vendono, ma agli uomini fanno le torture più sofisticate. C’era uno lì che è stato capace, una spia, di fare quel filmato, che ho inviato ai miei due sottosegretari delle migrazioni. Per questo, a mandarli indietro ci si deve pensare bene, bene, bene. E poi, un’ultima cosa. Ci sono questi migranti che vengono; ma ci sono altri che vengono ingannati, a Fiumicino, vengono ingannati: “No, ti diamo il lavoro”. Fanno avere loro le carte, a tutti, e finiscono sul marciapiede schiavizzati, sotto minaccia dei trafficanti di donne. Questo è”. Anna Matranga della televisione americana: “Buona sera, Santo Padre! Ritornerò sull’argomento “abusi”, di cui ha già parlato. Questa mattina molto presto è uscito un documento dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, in cui lui dice che nel 2013 ha avuto un colloquio personale con Lei in Vaticano e che in questo colloquio lui avrebbe parlato con Lei esplicitamente del comportamento e degli abusi sessuali dell’ex cardinale McCarrick. Volevo chiederLe se questo era vero. E volevo anche chiedere un’altra cosa: l’arcivescovo ha anche detto che Papa Benedetto aveva sanzionato McCarrick, che gli aveva detto che non poteva vivere in seminario, non poteva celebrare Messe in pubblico, non poteva viaggiare; era sanzionato dalla Chiesa. Le posso chiedere se queste due cose sono vere?”. Papa Francesco risponde: “Una cosa: io preferirei – anche se risponderò alla sua domanda – preferirei che prima parlassimo del viaggio e poi di altri argomenti, ma rispondo. Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo, a Lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così”. Anna Matranga replica: “Marie Collins ha detto, dopo averLa incontrata durante l’incontro con le vittime, che ha parlato direttamente con Lei proprio dell’ex cardinale McCarrick; ha detto che Lei è stato molto duro nella sua condanna di McCarrick. Le volevo chiedere: quando è stata la prima volta che Lei ha sentito parlare degli abusi che aveva commesso l’ex cardinale?”. Papa Francesco rimarca: “Questo fa parte del comunicato su McCarrick: studiate e poi dirò. Ma siccome io ieri non l’avevo letto, mi sono permesso di parlare chiaro con Marie Collins e il gruppo (delle vittime), nell’incontro che è durato davvero un’ora e mezza, una cosa che mi ha fatto soffrire tanto. Ma credo che fosse necessario fare questo ascolto di quelle otto persone; e da questa riunione è uscita la proposta – che ho fatto io, e loro l’hanno accettata e mi hanno aiutato a realizzarla – di chiedere perdono oggi nella Messa, ma su cose concrete. Per esempio, l’ultima, che io mai avevo sentito: quelle mamme – si chiamava il “lavaggio delle donne” – quando una donna rimaneva incinta senza matrimonio, andava in un ospedale o non so come si chiamava, istituto, ma erano le suore che lo reggevano, e poi davano il bambino in adozione alla gente. E c’erano figli, a quel tempo, che cercavano di trovare le mamme, se erano vive, non sapevano, e dicevano loro che era peccato mortale fare questo; e anche alle mamme che cercavano i figli, dicevano che era peccato mortale. Per questo ho finito oggi dicendo che questo non è peccato mortale, ma è il quarto comandamento. E le cose che oggi ho detto, alcune non le sapevo, ed è stato per me doloroso, ma anche con la consolazione di poter aiutare a chiarire queste cose. E aspetto il suo commento su quel documento, mi piacerebbe! Grazie”. Cecile Chambraud di Le Monde: “Buona sera, Santo Padre. Spero non Le dispiaccia se faccio la mia domanda in spagnolo e La prego però di rispondere in italiano per tutti i colleghi. Nel suo discorso alle Autorità irlandesi, Lei si è riferito alla Sua recente Lettera al Popolo di Dio. In quella Lettera, Lei chiama tutti i cattolici a partecipare alla lotta contro gli abusi nella Chiesa. Può spiegarci che cosa concretamente i cattolici possono fare, ciascuno nella propria posizione, per lottare contro gli abusi? E a questo proposito, in Francia, un sacerdote ha iniziato una petizione chiedendo le dimissioni del Cardinale Barbarin, accusato da vittime. Le sembra adeguata questa iniziativa o no?”. Papa Francesco risponde: “Se ci sono sospetti o prove o mezze prove, non vedo niente di cattivo nel fare un’indagine, sempre che si faccia sul principio giuridico fondamentale: Nemo malus nisi probetur, nessuno è cattivo se non lo si prova. E tante volte c’è la tentazione non solo di fare l’indagine, ma di pubblicare che è stata fatta l’indagine e perché è colpevole, e così alcuni media – non i vostri, non so – incominciano a creare un clima di colpevolezza. E mi permetto di dire una cosa che è successa in questi tempi, che potrà aiutare in questo, perché per me è importante come si procede e come i media possono aiutare. Tra anni fa, più o meno, è incominciato a Granada il problema dei cosiddetti preti pedofili, un gruppetto di sette-otto-dieci preti, che sono stati accusati di abuso di minori e anche di fare feste, orge e queste cose. L’accusa l’ho ricevuta io, direttamente: una lettera fatta da un giovane ventitreenne; secondo lui era stato abusato, dava nomi e tutto. Un giovane che lavorava in un collegio religioso di Granada, di molto prestigio; la lettera, perfetta. E mi chiedeva cosa fare per denunciare questo. Io ho detto: “Vai dall’Arcivescovo, l’Arcivescovo sa cosa tu devi fare”. L’Arcivescovo ha fatto tutto quello che doveva fare, la cosa è arrivata anche al tribunale civile. Ci sono stati i due processi. I media del posto hanno incominciato a parlare, a parlare. Tre giorni dopo, tutto scritto nella parrocchia, “preti pedofili” e cose del genere, e così si è creata la coscienza che questi preti fossero criminali. Sette sono stati interrogati, e non si è trovato nulla; su tre è andata avanti l’indagine, sono rimasti in carcere per cinque giorni, due, e uno – padre Roman che era il parroco – per sette giorni. Durante quasi altri tre anni hanno sofferto l’odio, gli schiaffi di tutto il popolo: criminalizzati, non potevano uscire fuori, e hanno sofferto umiliazioni fatte dalla giuria per comprovare le accuse del ragazzo, che io non oso ripetere qui. Dopo tre anni e più, la giuria dichiara innocenti i preti, innocenti tutti, ma soprattutto questi tre: gli altri già erano fuori causa, e colpevole il denunciante. Perché avevano visto che quel giovane era fantasioso, ma era una persona molto intelligente e lavorava anche in un collegio cattolico e aveva questo prestigio, che dava l’impressione di dire la verità. È stato condannato, lui, a pagare le spese e tutte queste cose, e loro innocenti. Questi uomini sono stati condannati dai media del posto prima della giustizia. E per questo, il lavoro vostro è molto delicato: voi dovete accompagnare, voi dovete dire le cose ma sempre con questa presunzione legale di innocenza, e non la presunzione legale di colpevolezza! E c’è differenza tra l’informatore che informa su un caso ma non si gioca per una previa condanna, e l’investigatore, che fa lo Sherlock Holmes, che va con la presunzione di colpevolezza. Quando noi leggiamo la tecnica di Hercule Poirot: per lui, tutti erano colpevoli. Ma questo è il mestiere dell’investigatore. Sono due posizioni diverse. Ma quelli che informano devono sempre partire dalla presunzione di innocenza, dicendo le proprie impressioni, i dubbi, ma senza dare condanne. Questo caso successo a Granada per me è un esempio che farà a bene a tutti noi, nel nostro (rispettivo) mestiere. Quando si vede qualcosa, parlare subito. Io dirò un’altra cosa un po’ brutta. A volte, sono i genitori a coprire un abuso di un prete. Tante volte. Si vede nelle sentenze. Dicono: “Ma, no”. Non credono, oppure si convincono che non sia vero, e il ragazzo o la ragazza rimane così. Io ho per metodo di ricevere ogni settimana una o due persone, ma non è matematico; e ho ricevuto una persona, una signora, che da 40 anni soffriva questa piaga del silenzio, perché i genitori non le avevano creduto. È stata abusata a otto anni. Parlare, questo è importante. È vero che per una madre, vedere questo, sarebbe meglio che non fosse vero, e allora pensa che il figlio forse ha delle fantasie. Ma bisogna parlare. E parlare con le persone giuste, parlare con coloro che possono iniziare un giudizio, almeno l’investigazione previa. Parlare con il giudice o con il vescovo, o se il parroco è bravo parlare con il parroco. Questa è la prima cosa che può fare il popolo di Dio. Queste cose non vanno coperte, non vanno coperte. Mi diceva una psichiatra tempo fa – ma questo non voglio che sia un’offesa alle donne – che per il senso di maternità, le donne sono più inclini a coprire le cose del figlio che gli uomini. Ma non so se sia vero o no. Ma questo è: parlare. Grazie”. Javier Romero di Rome Reports TV: “Santità, mi scusi, vorrei farLe due domande. La prima è che il Primo Ministro dell’Irlanda, che è stato molto diretto nel suo discorso, è orgoglioso di un nuovo modello di famiglia diverso da quello che tradizionalmente propone la Chiesa fino adesso: parlo del matrimonio omosessuale. E questo è forse uno dei modelli che genera più scontri, nel caso specialmente di una famiglia cattolica, quando c’è una persona di questa famiglia che dichiara di essere omosessuale. Santità, la prima domanda che vorrei farLe è: che cosa pensa Lei, che cosa vorrebbe dire Lei a un papà, a un padre, al quale il figlio dice che è omosessuale e che vuole andare a convivere con il suo compagno. Questa è la prima domanda. E la seconda, che appunto, anche Lei nel discorso con il Primo Ministro ha parlato pure dell’aborto; abbiamo visto come l’Irlanda è cambiata tanto negli ultimi anni e sembrava che il Ministro fosse, appunto, soddisfatto di questi cambiamenti: uno di questi cambiamenti è stato proprio l’aborto. Noi abbiamo visto che negli ultimi mesi, negli ultimi anni la questione dell’aborto è venuta fuori in tanti Paesi, tra l’altro in Argentina, il Suo Paese. Lei come si sente quando vede che, appunto, questo è un argomento di cui Lei parla spesso e ci sono tanti Paesi in cui è messo?”. Papa Francesco risponde: “Va bene. Incomincio dal secondo, ma sono due punti – grazie di questo – perché sono legati alle questioni delle quali stiamo parlando. Sull’aborto, voi sapete come la pensa la Chiesa. Il problema dell’aborto non è un problema religioso: noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. È un problema umano, e va studiato dall’antropologia. Studiare l’aborto incominciando dal fatto religioso, è scavalcare il pensiero. Il problema dell’aborto va studiato dall’antropologia. E sempre c’è la questione antropologica sull’eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema. Ma questa già è la discussione. Soltanto voglio sottolineare questo: io non permetto mai che si incominci a discutere il problema dell’aborto dal fatto religioso. No. È un problema antropologico, è un problema umano. Questo è il mio pensiero. Secondo. Sempre ci sono stati gli omosessuali e le persone con tendenze omosessuali. Sempre. Dicono i sociologi, ma non so se sia vero, che nei tempi di cambiamenti d’epoca crescono alcuni fenomeni sociali ed etici, e uno di questi sarebbe questo. Questa è l’opinione di alcuni sociologi. La tua domanda è chiara: cosa direi io a un papà che vede che suo figlio o sua figlia ha quella tendenza. Io gli direi anzitutto di pregare: prega. Non condannare, dialogare, capire, fare spazio al figlio o alla figlia. Fare spazio perché si esprima. Poi, in quale età si manifesta questa inquietudine del figlio? È importante. Una cosa è quando si manifesta da bambino, quando ci sono tante cose che si possono fare, per vedere come sono le cose; un’altra cosa è quando si manifesta dopo i 20 anni o cose del genere. Ma io mai dirò che il silenzio è il rimedio: ignorare il figlio o la figlia con tendenza omosessuale è una mancanza di paternità e maternità. Tu sei mio figlio, tu sei mia figlia, così come sei; io sono tuo padre e tua madre, parliamo. E se voi, padre e madre, non ve la cavate, chiedete aiuto, ma sempre nel dialogo, sempre nel dialogo. Perché quel figlio e quella figlia hanno diritto a una famiglia e la famiglia è questa che c’è: non cacciarlo via dalla famiglia. Questa è una sfida seria alla paternità e alla maternità. Ti ringrazio per la domanda, grazie. E poi, io vorrei dire una cosa per gli irlandesi che sono qui: io ho trovato tanta fede, in Irlanda. Tanta fede. È vero, il popolo irlandese ha sofferto tanto per gli scandali. Ma c’è fede, in Irlanda, e forte. E inoltre il popolo irlandese sa distinguere, e cito quello che oggi ho sentito da un prelato: “Il popolo irlandese sa distinguere bene tra le verità e le mezze verità: è una cosa che ha dentro”. È vero che è in un processo di elaborazione, di guarigione da questo scandalo; è vero che alcuni si aprono a posizioni che sembrano allontanarsi dalla fede. Ma il popolo irlandese ha una fede radicata e forte. Lo voglio dire perché è quello che ho visto, ho sentito e su cui in questi due giorni mi sono informato. Grazie per il vostro lavoro, grazie tante! E pregate per me, per favore”. Nella Lettera al Popolo di Dio, pubblicata in Vaticano il 20 Agosto 2018, Papa Bergoglio scrive: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme (1Cor 12,26). Queste parole di San Paolo risuonano con forza nel mio cuore constatando ancora una volta la sofferenza vissuta da molti minori a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità. Negli ultimi giorni è stato pubblicato un rapporto in cui si descrive l’esperienza di almeno mille persone che sono state vittime di abusi sessuali, di potere e di coscienza per mano di sacerdoti, in un arco di circa settant’anni. Benché si possa dire che la maggior parte dei casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite “non vanno mai prescritte”. Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al Cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare. Il cantico di Maria non si sbaglia e, come un sottofondo, continua a percorrere la storia perché il Signore si ricorda della promessa che ha fatto ai nostri padri: “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,51-53), e proviamo vergogna quando ci accorgiamo che il nostro stile di vita ha smentito e smentisce ciò che recitiamo con la nostra voce. Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli. Faccio mie le parole dell’allora Cardinale Ratzinger quando, nella Via Crucis scritta per il Venerdì Santo del 2005, si unì al grido di dolore di tante vittime e con forza disse: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che Gli trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (Mt 8,25)” (Nona Stazione). La dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria. Benché sia importante e necessario in ogni cammino di conversione prendere conoscenza dell’accaduto, questo da sé non basta. Oggi siamo interpellati come Popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito. Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura, in un ambito dove i conflitti, le tensioni e specialmente le vittime di ogni tipo di abuso possano trovare una mano tesa che le protegga e le riscatti dal loro dolore (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228). Tale solidarietà ci chiede, a sua volta, di denunciare tutto ciò che possa mettere in pericolo l’integrità di qualsiasi persona. Solidarietà che reclama la lotta contro ogni tipo di corruzione, specialmente quella spirituale, «perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2Cor 11,14)» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 165). L’appello di San Paolo a soffrire con chi soffre è il miglior antidoto contro ogni volontà di continuare a riprodurre tra di noi le parole di Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). Sono consapevole dello sforzo e del lavoro che si compie in diverse parti del mondo per garantire e realizzare le mediazioni necessarie, che diano sicurezza e proteggano l’integrità dei bambini e degli adulti in stato di vulnerabilità, come pure della diffusione della “tolleranza zero” e dei modi di rendere conto da parte di tutti coloro che compiono o coprono questi delitti. Abbiamo tardato ad applicare queste azioni e sanzioni così necessarie, ma sono fiducioso che esse aiuteranno a garantire una maggiore cultura della protezione nel presente e nel futuro. Unitamente a questi sforzi, è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. Così amava dire San Giovanni Paolo II: “Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49). Imparare a guardare dove guarda il Signore, a stare dove il Signore vuole che stiamo, a convertire il cuore stando alla sua presenza. Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza. Invito tutto il santo Popolo fedele di Dio all’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno secondo il comando del Signore, che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso. È impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che “non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente”. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo. È sempre bene ricordare che il Signore, «nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo” (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 6). Pertanto, l’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che ci coinvolge e ci riguarda tutti come Popolo di Dio. Questa consapevolezza di sentirci parte di un popolo e di una storia comune ci consentirà di riconoscere i nostri peccati e gli errori del passato con un’apertura penitenziale capace di lasciarsi rinnovare da dentro. Tutto ciò che si fa per sradicare la cultura dell’abuso dalle nostre comunità senza una partecipazione attiva di tutti i membri della Chiesa non riuscirà a generare le dinamiche necessarie per una sana ed effettiva trasformazione. La dimensione penitenziale di digiuno e preghiera ci aiuterà come Popolo di Dio a metterci davanti al Signore e ai nostri fratelli feriti, come peccatori che implorano il perdono e la grazia della vergogna e della conversione, e così a elaborare azioni che producano dinamismi in sintonia col Vangelo. Perché “ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 11). È imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione. Al tempo stesso, la penitenza e la preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci spinga a camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza. In tal modo potremo manifestare la vocazione a cui siamo stati chiamati di essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1). “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”, ci diceva San Paolo. Mediante l’atteggiamento orante e penitenziale potremo entrare in sintonia personale e comunitaria con questa esortazione, perché crescano tra di noi i doni della compassione, della giustizia, della prevenzione e della riparazione. Maria ha saputo stare ai piedi della croce del suo Figlio. Non l’ha fatto in un modo qualunque, ma è stata saldamente in piedi e accanto ad essa. Con questa posizione esprime il suo modo di stare nella vita. Quando sperimentiamo la desolazione che ci procurano queste piaghe ecclesiali, con Maria ci farà bene “insistere di più nella preghiera” (S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 319), cercando di crescere nell’amore e nella fedeltà alla Chiesa. Lei, la prima discepola, insegna a tutti noi discepoli come dobbiamo comportarci di fronte alla sofferenza dell’innocente, senza evasioni e pusillanimità. Guardare a Maria vuol dire imparare a scoprire dove e come deve stare il discepolo di Cristo. Lo Spirito Santo ci dia la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio”. Nella Veglia di preghiera con i giovani italiani al Circo Massimo di Roma, Sabato 11 Agosto 2018, Papa Francesco insegna: “Cari giovani, grazie per questo incontro di preghiera, in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi. Vi ringrazio anche perché questo appuntamento è stato preceduto da un intreccio di tanti cammini sui quali vi siete fatti pellegrini, insieme ai vostri vescovi e sacerdoti, percorrendo strade e sentieri d’Italia, in mezzo ai tesori di cultura e di fede che i vostri padri hanno lasciato in eredità. Avete attraversato i luoghi dove la gente vive e lavora, ricchi di vitalità e segnati da fatiche, nelle città come nei paesi e nelle borgate sperdute. Spero che abbiate respirato a fondo le gioie e le difficoltà, la vita e la fede del popolo italiano. Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 20,1-8) Giovanni ci racconta quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Figuriamocela, quella mattina: alle prime luci dell’alba del giorno dopo il sabato, attorno alla tomba di Gesù tutti si mettono a correre. Maria di Magdala corre ad avvisare i discepoli; Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro… Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi: non c’è tempo da perdere, bisogna affrettarsi. Come aveva fatto Maria – ricordate? – appena concepito Gesù, per andare ad aiutare Elisabetta. Abbiamo tanti motivi per correre, spesso solo perché ci sono tante cose da fare e il tempo non basta mai. A volte ci affrettiamo perché ci attira qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si corre per scappare da una minaccia, da un pericolo. I discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba. I cuori di Maria di Magdala, di Simon Pietro, di Giovanni sono pieni d’amore e battono all’impazzata dopo il distacco che sembrava definitivo. Forse si riaccende in loro la speranza di rivedere il volto del Signore! Come in quel primo giorno quando aveva promesso: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Chi corre più forte è Giovanni, certamente perché è più giovane, ma anche perché non ha smesso di sperare dopo aver visto coi suoi occhi Gesù morire in croce; e anche perché è stato vicino a Maria, e per questo è stato “contagiato” dalla sua fede. Quando noi sentiamo che la fede viene meno o è tiepida, andiamo da Lei, Maria, e Lei ci insegnerà, ci capirà, ci farà sentire la fede. Da quella mattina, cari giovani, la storia non è più la stessa. Quella mattina ha cambiato la storia. L’ora in cui la morte sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta. Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere. E da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra, miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può ancora riaccendersi una speranza di vita. Cari amici, vi siete messi in cammino e siete venuti a questo appuntamento. E ora la mia gioia è sentire che i vostri cuori battono d’amore per Gesù, come quelli di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni. E poiché siete giovani, io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce dello Spirito che anima i vostri sogni. Per questo vi dico: non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna. Abbiamo bisogno di fraternità: rischiate, andate avanti! Sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso, attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto. E un’altra cosa: camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio. E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”. Il Vangelo dice che Pietro entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entrò anche l’altro discepolo, il quale – dice il Vangelo – “vide e credette” (v. 8). È molto importante questa coppia di verbi: vedere e credere. In tutto il Vangelo di Giovanni si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù compiva credettero in Lui. Vedere e credere. Di quali segni si tratta? Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di alcuni malati guariti; di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile di Dio. Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la Grazia che risolleva. C’è l’umanità ferita che viene risanata dall’incontro con Lui; c’è l’uomo caduto che trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che scoprono una speranza di riscatto. E Giovanni, quando entra nel sepolcro di Gesù, porta negli occhi e nel cuore quei segni compiuti da Gesù immergendosi nel dramma umano per risollevarlo. Gesù Cristo, cari giovani, non è un eroe immune dalla morte, ma Colui che la trasforma con il dono della sua vita. E quel lenzuolo piegato con cura dice che non ne avrà più bisogno: la morte non ha più potere su di Lui. Cari giovani, è possibile incontrare la Vita nei luoghi dove regna la morte? Sì, è possibile. Verrebbe da rispondere di no, che è meglio stare alla larga, allontanarsi. Eppure questa è la novità rivoluzionaria del Vangelo: il sepolcro vuoto di Cristo diventa l’ultimo segno in cui risplende la vittoria definitiva della Vita. E allora non abbiamo paura! Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte. Dio ci ha dato una potenza più grande di tutte le ingiustizie e le fragilità della storia, più grande del nostro peccato: Gesù ha vinto la morte dando la sua vita per noi. E ci manda ad annunciare ai nostri fratelli che Lui è il Risorto, è il Signore, e ci dona il suo Spirito per seminare con Lui il Regno di Dio. Quella mattina della domenica di Pasqua è cambiata la storia: abbiamo coraggio! Quanti sepolcri – per così dire – oggi attendono la nostra visita! Quante persone ferite, anche giovani, hanno sigillato la loro sofferenza “mettendoci – come si dice – una pietra sopra”. Con la forza dello Spirito e la Parola di Gesù possiamo spostare quei macigni e far entrare raggi di luce in quegli anfratti di tenebre. È stato bello e faticoso il cammino per venire a Roma; pensate voi, quanta fatica, ma quanta bellezza! Ma altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre case, ai vostri paesi, alle vostre comunità. Percorretelo con la fiducia e l’energia di Giovanni, il “discepolo amato”. Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata. Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama. Percorre con coraggio e con gioia il cammino verso casa, percorretelo con la consapevolezza di essere amati da Gesù. Allora, con questo amore, la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge. Senza ansia e senza paura. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così!”. Nell’Angelus in Piazza San Pietro, Domenica 12 Agosto 2018, il Vescovo di Roma rimarca: “Nella seconda Lettura di oggi, San Paolo ci rivolge un pressante invito: “Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione” (Ef 4,30). Ma io mi domando: come si rattrista lo Spirito Santo? Tutti lo abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima, quindi, per non rattristare lo Spirito Santo, è necessario vivere in maniera coerente con le promesse del Battesimo, rinnovate nella Cresima. In maniera coerente, non con ipocrisia: non dimenticatevi di questo. Il cristiano non può essere ipocrita: deve vivere in maniera coerente. Le promesse del Battesimo hanno due aspetti: rinuncia al male e adesione al bene. Rinunciare al male significa dire NO alle tentazioni, al peccato, a Satana. Più in concreto significa dire NO a una cultura della morte, che si manifesta nella fuga dal reale verso una felicità falsa che si esprime nella menzogna, nella truffa, nell’ingiustizia, nel disprezzo dell’altro. A tutto questo, NO. La vita nuova che ci è stata data nel Battesimo, e che ha lo Spirito come sorgente, respinge una condotta dominata da sentimenti di divisione e di discordia. Per questo l’Apostolo Paolo esorta a togliere dal proprio cuore “ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenza con ogni sorta di malignità” (v. 31). Così dice Paolo. Questi sei elementi o vizi, che turbano la gioia dello Spirito Santo, avvelenano il cuore e conducono ad imprecazioni contro Dio e contro il prossimo. Ma non basta non fare il male per essere un buon cristiano; è necessario aderire al bene e fare il bene. Ecco allora che San Paolo continua: “Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (v. 32). Tante volte capita di sentire alcuni che dicono: “Io non faccio del male a nessuno”. E si crede di essere un santo. D’accordo, ma il bene lo fai? Quante persone non fanno il male, ma nemmeno il bene, e la loro vita scorre nell’indifferenza, nell’apatia, nella tiepidezza. Questo atteggiamento è contrario al Vangelo, ed è contrario anche all’indole di voi giovani, che per natura siete dinamici, appassionati e coraggiosi. Ricordate questo, se lo ricordate, possiamo ripeterlo insieme: “E’ buono non fare il male, ma è male non fare il bene”. Questo lo diceva Sant’Alberto Hurtado. Oggi vi esorto ad essere protagonisti nel bene! Protagonisti nel bene. Non sentitevi a posto quando non fate il male; ognuno è colpevole del bene che poteva fare e non ha fatto. Non basta non odiare, bisogna perdonare; non basta non avere rancore, bisogna pregare per i nemici; non basta non essere causa di divisione, bisogna portare pace dove non c’è; non basta non parlare male degli altri, bisogna interrompere quando sentiamo parlar male di qualcuno: fermare il chiacchiericcio: questo è fare il bene. Se non ci opponiamo al male, lo alimentiamo in modo tacito. È necessario intervenire dove il male si diffonde; perché il male si diffonde dove mancano cristiani audaci che si oppongono con il bene, “camminando nella carità” (cfr 5,2), secondo il monito di San Paolo. Cari giovani, in questi giorni avete camminato molto! Perciò siete allenati e posso dirvi: camminate nella carità, camminate nell’amore! E camminiamo insieme verso il prossimo Sinodo dei Vescovi. La Vergine Maria ci sostenga con la sua materna intercessione, perché ciascuno di noi, ogni giorno, con i fatti, possa dire NO al male e SI al bene”. In Abruzzo da 724 anni la Perdonanza Celestiniana celebra il Rito solenne che permette di varcare la Porta Santa della Basilica di S. Maria di Collemaggio a L’Aquila, il 28 e il 29 Agosto di ogni anno, per ricevere l’indulgenza plenaria così come voluto da Papa Celestino V. La Perdonanza, donata alla Chiesa da Papa Celestino V al termine del suo breve Pontificato, da 724 anni rappresenta un rito comunitario che coinvolge migliaia di persone e decine di comunità dell’Abruzzo Aquilano e che quest’anno assume un valore ancor più intenso: rientrare finalmente nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio grazie al restauro terminato nel mese di Dicembre 2017, segno tangibile di una ricostruzione e una rinascita dell’intera comunità dopo il terremoto del 6 Aprile 2009. Celestino è uomo di contemplazione e di coraggio. Rilevanti sono alcune considerazioni degli ultimi tre Pontefici riguardo la figura di Papa Celestino V sul cui Pontificato, già nel 1966, Paolo VI scrive: “San Celestino V, dopo pochi mesi, comprende che egli è ingannato da quelli che lo circondano, che profittano della Tua inesperienza per strappargli benefici. Il Papa, come per dovere aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse – se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino – ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere”. Papa Francesco, il 5 Luglio 2014 scrive: “C’è un’idea forte che mi ha colpito, pensando all’eredità di San Celestino V. Lui, come San Francesco di Assisi, ha avuto un senso fortissimo della misericordia di Dio, e del fatto che la misericordia di Dio rinnova il mondo. Questi santi hanno sentito il bisogno di dare al popolo la cosa più grande, la ricchezza più grande: la misericordia del Padre, il perdono”. Papa Benedetto XVI, 4 Luglio 2010 scrive: “Celestino V: egli seppe agire secondo coscienza in obbedienza a Dio, e perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve Pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità. E il garante della verità è Dio”. San Giovanni Paolo II, il 30 Giugno 1985 scrive: “Pietro di Morrone, l’eremita della montagna, che dagli spettacoli naturali traeva spinta per elevarsi alle vette della pura contemplazione, e che, divenuto Celestino V, rimase sempre avvinto – mente e cuore – al fascino della solitudine contemplativa”. Nonostante sia vissuto nel IV secolo, Sant’Agostino parla ancora all’uomo di oggi. La sua vita affascina per le vicissitudini e la singolare esperienza di Dio. E affascinano i suoi innumerevoli scritti che la raccontano e insegnano a cercare la Verità in Cristo. Mosso dal cuore e dall’amore, Sant’Agostino, inquieto ricercatore della Verità, è ancora un uomo attuale. A distanza di secoli, chi sfoglia le sue Confessioni può leggervi i propri interrogativi, trovarvi descritto il proprio stato d’animo smarrito di fronte agli eventi della vita, o scorgere quei conflitti fra fede e ragione che paiono irrisolvibili. “Ognuno, quando legge le Confessioni avverte che Agostino gli presta le parole – spiega padre Gabriele Ferlisi, agostiniano scalzo – e pensa: ma questo lo sento pure io. E ciò perché Agostino parlava da cuore a cuore”. Avendo vissuto il dramma della ricerca di senso e della Verità, Sant’Agostino è particolarmente vicino ai giovani di oggi. “Agostino incoraggia i giovani alla ricerca – afferma padre Gabriele – li invita a non mettere mai un punto fermo ai loro risultati, ad essere onesti di fronte alla Verità e ad accettarla una volta riconosciuta”. Cercare col desiderio di trovare e trovare col desiderio di continuare a cercare (De Trinitate 9,1,1): è una delle massime più note di Agostino, che ancora oggi esorta a non desistere nella ricerca di Dio. “Puntare sempre in alto, non scoraggiarsi mai: questo è il consiglio di Sant’Agostino – sottolinea padre Gabriele –, il suo motto Canta e cammina definisce proprio il suo modo di fare, che è un suggerimento per noi: mai essere ripiegati su sé stessi, proiettarsi sempre verso l’alto, essere sempre aperti alla trascendenza di Dio, al cuore di Dio”. Ma qual è stato il motore della conversione di Agostino? Conclude padre Gabriele Ferlisi: “Il grande ideale che ha toccato il cuore di Agostino e che lo stesso Agostino propone agli altri, è l’incontro con Cristo, colui che appaga i tutti desideri del cuore umano”.

© Nicola Facciolini

 

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