Ecco cosa accadde quel maledetto 30 aprile del 1950.
La fine della Seconda guerra mondiale aveva posto l’Italia davanti allo sforzo della ricostruzione e della ripresa economica. Nella Marsica la situazione dei contadini e dei braccianti era disastrosa: il latifondo del Fucino era abbandonato dalla famiglia Torlonia nell’arretratezza economica e sociale e le risorse agricole e finanziarie venivano sfruttate per alimentare lo Zuccherificio e la Banca di proprietà del Principe. Organizzati dalla CGIL e dai partiti della Sinistra, i braccianti portavano avanti una protesta che puntava ad ottenere l’intervento del governo e rivendicava l’imponibile di manodopera. Alla fine del 1949 nasceva il Comitato Centrale per la Rinascita della Marsica, con il presidio in ogni comune del Fucino.
Il 6 febbraio 1950 i sindacati organizzarono il famoso «sciopero alla rovescia»: i lavoratori scendevano dai centri abitati alla piana e lavoravano alle opere di manutenzione delle strade e dei canali di irrigazione. Alla lotta partecipò tutto il popolo marsicano, compresi i fittavoli e gli artigiani, anche i bambini e le donne che assolvevano ad un ruolo logistico fondamentale. La protesta ebbe successo e Torlonia fu costretto ad impegnarsi a pagare 350 mila giornate di lavoro per la manutenzione dei canali e delle strade del Fucino. Il 30 Aprile 1950, si riunì, nel Palazzo Comunale di Celano, la Commissione di collocamento, che stabiliva i turni di lavoro per i braccianti che sarebbero stati impiegati il 2 maggio nel Fucino. Alle ore 18:00 la seduta fu tolta, perché tra il rappresentante del Partito Comunista, le autorità comunali, gli esponenti della C.I.S.L. ed i rappresentati delle varie categorie sociali non c’era accordo. Alle ore 20:00 poiché molti tra cittadini e braccianti erano rimasti a discutere sulla piazza IV Novembre, in attesa che uscissero gli elenchi dei primi chiamati a lavoro nei campi, il Vice Sindaco Angelo Tropea chiese al maresciallo dei Carabinieri di intervenire e questi sopraggiunse con quattro sottoposti. «Quella sera del 30 aprile 1950, in piazza IV Novembre qualcuno sparò, per vendetta e rappresaglia contro questa conquista dell’unità dei lavoratori». Così inizia la ricostruzione a caldo dell’accaduto da parte de L’Unità, che uscì in edizione straordinaria il 2 Maggio per testimoniare l’eccidio. «Senza che un solo gesto venisse fatto dai contadini, che continuavano a parlare raccolti in gruppi, e senza alcun preavviso, i carabinieri improvvisamente aprivano il fuoco. I contadini si gettavano ventre a terra, cercando di evitare i colpi. Contemporaneamente, dal lato opposto della piazza, altri colpi d’arma da fuoco venivano esplosi dai fascisti, individuati dai contadini. la sparatoria si prolunga per qualche minuto». Questa, ancora, la ricostruzione di Luigi Pintor su l’Unità. Secondo la ricostruzione dei Carabinieri, invece, la ressa dei braccianti fuori del Palazzo Comunale aveva indotto i militari a sparare in aria, per disperdere la folla.
Nella confusione generale, stando alle testimonianze, alcuni esponenti del M.S.I. locale, insieme a delle guardie di Torlonia, fecero fuoco sulla folla e in un attimo la piazza fu sconvolta dagli spari e dalle urla. Feriti a morte dalle pallottole, restarono a terra due braccianti, Agostino Paris, di 45 anni e Antonio Berardicurti, di 35; entrambi lasciavano moglie e figli in tenera età. Il 3 maggio 1950, a Celano, si celebrarono solennemente i funerali dei due braccianti. La città fu invasa da migliaia di lavoratori provenienti da tutta Italia e furono proclamati scioperi in tutto il Paese: a Roma si bloccarono i trasporti e a Torino, gli operai della Fiat si fermarono per quattro ore. Ad esprimere la propria solidarietà verso le famiglie dei defunti e verso il movimento dei lavoratori del Fucino, oltre ai dirigenti locali, vennero gli onorevoli Bruno Corbi e Aldo Natoli. Ma la presenza più importante e significativa fu quella dell’onorevole Giuseppe Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, il quale pronunciò, proprio in piazza IV Novembre, un discorso sulla dignità del lavoro e della lotta, insieme ad un accorato appello per la democrazia, per la pace e per l’unità di tutti i lavoratori.