“Una regione camomilla con bassi costi di penetrazione”, così una multinazionale petrolifera descrisse l’Abruzzo tredici anni fa. Sulla deriva petrolifera non fu così, si creò una vasta mobilitazione dal centro oli ad ombrina mare su cui quella multinazionale e tante altre dopo sbatterono il muso uscendo con le ossa rotta.
Quasi tre lustri dopo quelle parole possono invece perfettamente adattarsi alla realtà odierna, alla squallida, omertosa, sporca realtà di sistemi criminali che in questa regione hanno trovato una culla perfetta. Non siamo usciti (ammesso che siamo usciti, e ci sia permesso almeno dubitarne) migliori dall’emergenza sanitaria e non sta andando tutto bene. Anzi, sta precipitando tutto male. Nel pozzo e nel puzzo dell’omertà, del tirare a campare, del girarsi dall’altro lato, dell’accettare tutto e chinare il capo. Quando si fa riferimento a mafie e omertà troppo spesso, anche qui nella terra di Silone, si pensa subito a regioni come Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Sentire frasi fatte ed epiteti disprezzanti, dei pugliesi e dei campani, a queste latitudini è facilissimo. Qualcuno disse una volta che bisogna essere molto attenti nel puntare il dito sugli altri perché uno viene puntato verso l’altro e tre contro se stessi.
Ma l’abruzzese medio della regione camomilla e babba non se n’è mai accorto. Oltre un mese fa la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia ha consegnato un quadro tutt’altro che edificante sull’Abruzzo, un quadro che – con poche variazioni dovute soprattutto all’intervallarsi dei coinvolti nelle varie maxi operazioni, comunque sempre o quasi riconducibili alle stesse dinamiche, famiglie e centrali criminali – è invariato da tantissimi anni. Le relazioni sono tutte qui https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/page/relazioni_semestrali.html dal 1998 ad oggi, chiunque ha un minimo di onestà intellettuale e schiena dritta può rendersi conto di come la situazione è sempre peggiorata e la mappa criminale più o meno intatta.