Conosco il padre di stefano Cucchi, Giovanni: un vero signore. A tutt’oggi impegnato nel volontariato e in parrocchia. Ieri stesso gli avevo mandato un messaggio di solidarietà e di stima. Ieri, proprio mentre andava in onda su “Radio anch’io” un servizio sulla storia di suo figlio e nel corso del quale un ascoltatore ha detto, a chiare lettere: «Era un drogato di merda, che cosa pretendono i familiari?».
L’espressione certifica la confusione nella coscienza dei molti che scambiano le vittime per delinquenti attivi e chiudono gli occhi sull’ambiente di coltura e magari si inchinano ai signori in cravatta che se ne arricchiscono. Dimenticando che per ogni dollaro investito in cocaina se ne incassano mille e che questa redditività ne fa la merce privilegiata e la moneta dei grandi scambi.
Su Repubblica di oggi Michele Serra, nella sua rubrica quotidiana L’Amaca scrive:
« “Era un drogato di merda, che cosa pretendono i familiari?”. A proposito di Stefano Cucchi e della sua morte questa voce, esattamente in questa forma, registrata ieri nell’eccellente “Radio anch’io”, è piuttosto popolare. L’idea che per lo Stato il corpo di chiunque, anche del peggiore dei criminali, sia inviolabile, è appunto un’idea. Un’astrazione. Una conquista culturale che come la democrazia, come lo stato di diritto, come la giustizia levata alla folla linciatrice e affidata ai tribunali, va difesa giorno dopo giorno dagli istinti e dagli umori di ciascuno di noi. Che senza la cultura la democrazia e il diritto siamo solamente scimmie.
La meravigliosa sorella di Stefano Cucchi conduce la sua battaglia nel nome degli ultimi: dei “drogati di merda”. Impressiona notare che il concetto di “ultimi” è molto facilmente ululato e sbandierato, ovunque, in riferimento alla condizione economica. Ma tra quelli che non ce la fanno ci sono anche i deboli di spirito, i falliti, i piccoli delinquenti, i tossici. Non tutti poveri di censo, sicuramente tutti poveri di carattere. Le galere sono piene di ultimi. Ma così ultimi che talk-show che pretendono di “dare voce agli esclusi” di loro non si occupano».
Aldo