INTERVISTA DI CICCHETTI IVAN
Oggi ho il piacere di intervistare il Dott. Alessandro Amato, sismologo dell’INGV.
Un terremoto avviene quando una faglia si muove, ossia quando i due lembi ai lati della faglia si spostano reciprocamente. Lo spostamento dei blocchi crostali è causato dai movimenti geologici che lentamente deformano una regione e determinano una concentrazione di sforzi (stress) su una o più faglie. Quando la resistenza della faglia, dovuta all’attrito, viene superata dagli sforzi accumulati, la faglia si muove di scatto e si ha un terremoto. Le forze geologiche che vengono esercitate sulle faglie agiscono continuamente e non c’è niente che si possa fare per impedirlo
La magnitudo è una misura dell’energia emessa da un terremoto. Si misura a partire dai sismogrammi, ossia dalle registrazioni dei terremoti effettuate da strumenti specifici, i sismometri. Il metodo più rapido e diffuso per determinare la magnitudo di un terremoto con dati provenienti da sismometri vicini (entro 600 chilometri) è quello proposto dal sismologo Charles Richter negli anni ‘30 del Novecento. Si basa sulla lettura della massima ampiezza registrata da un sismometro di un particolare tipo (chiamato Wood-Anderson). A causa della semplicità e rapidità di questa stima, soprattutto da quando esistono le registrazioni digitali dei terremoti, la magnitudo Richter (o magnitudo Locale) viene usata ancora oggi, soprattutto per terremoti medi e piccoli (fino a magnitudo 6 all’incirca). Una misura più realistica della grandezza di un terremoto è la cosiddetta magnitudo momento (il momento sismico è una misura dell’energia del terremoto), che si basa sulla modellazione di un ampio range di frequenze (contrariamente alla Richter che si basa su una frequenza caratteristica del picco più forte) e risulta utile soprattutto per terremoti forti. Questi ultimi, infatti, emettono energia in un vasto spettro di frequenze e per questo motivo la stima della magnitudo Richter potrebbe sottostimare il valore reale. È per questo motivo che spesso la stima iniziale rapida (della magnitudo Richter) viene poi integrata e sostituita dalla magnitudo momento, che necessita di tempi di calcolo un po’ più lunghi. Si tratta quindi di due misure diverse dello stesso oggetto (la grandezza di un terremoto), e non deve stupire se le due differiscono anche in maniera significativa per i forti terremoti.
La magnitudo non va confusa con l’intensità (Mercalli, o per essere più precisi della scala Mercalli-Cancani-Sieberg, o MCS), che si misura dai dati macrosismici, quindi dai risentimenti e dai danni prodotti dall’evento sismico. La magnitudo è generalmente (ma non sempre) proporzionale all’intensità macrosismica, cioè ai danni provocati dal terremoto. In un’area desertica, infatti, un terremoto di magnitudo anche molto elevata avrebbe intensità bassissima, come pure nel caso di un’area dove tutti gli edifici sono costruiti con criteri antisismici. Viceversa, in una zona dove la vulnerabilità degli edifici fosse molto elevata, anche un terremoto di bassa magnitudo potrebbe causare danni importanti, soprattutto se molto superficiale (si pensi al terremoto di Ischia del 21 agosto 2017, di magnitudo 4 ma con ipocentro molto superficiale e per giunta avvenuto in un’area con edifici molto vulnerabili).
Il territorio italiano è quasi tutto sismico. L’area dell’Appennino centro meridionale appare quella con la pericolosità più elevata (ossia dove la probabilità di avere uno scuotimento importante è maggiore). La fascia centrale dell’Appennino è quella dove si concentra la deformazione e dove sono presenti molte faglie. L’Abruzzo di trova proprio lungo questa fascia ed è attraversato da numerose faglie attive.
Mi riferisco al settore appenninico, mentre quello adriatico ha una storia sismica meno importante e una pericolosità inferiore. Questo non significa che non possano esserci terremoti anche forti, ma questi nel lungo termine sono molto meno frequenti e intensi.
Le conoscenze sulle faglie del territorio abruzzese sono molto buone, ma non possiamo dire di conoscere con sicurezza tutte le strutture attive. Inoltre, delle faglie note si conoscono le caratteristiche principali, ma non è detto che queste siano stabili nel tempo. In altre parole, non possiamo essere certi che una determinata faglia si comporti nello stesso modo a ogni evento sismico, soprattutto a causa del fatto che le faglie interagiscono tra loro in maniera complessa. È stato ipotizzato, sulla base degli studi sui terremoti del 1997 (Umbria-Marche), del 2009 (L’Aquila), del 2016-2017 (Amatrice-Visso-Norcia-Campotosto) che la sismicità “migra” da un settore a quelli vicini a causa probabilmente dello spostamento di fluidi nella crosta. Ma le caratteristiche di queste migrazioni non sono sempre le stesse tra una sequenza sismica e l’altra.
Purtroppo la ricorrenza dei terremoti nei diversi cicli sismici di una faglia è influenzata da molti fattori, e quindi la periodicità dei terremoti è affetta da incertezze molto grandi. Gli studi paleosismologici su alcune faglie (non solo in Abruzzo ma in generale in Italia e nel mondo) hanno mostrato che i tempi di ritorno dei terremoti su una singola faglia presentano una variabilità molto elevata. Per le faglie del centro Italia questi tempi sono dell’ordine del migliaio di anni. Tuttavia, va tenuto presente che in una città come L’Aquila o Sulmona, circondate da numerose faglie attive, i tempi di ritorno di un evento che potrebbe colpirle si riducono e sono irregolari, proprio per la presenza di molte faglie che possono attivarsi in tempi diversi, ed eventualmente alterare il comportamento delle altre faglie intorno.
prossimamente la seconda parte dell’intervista al dott. Amato dell’INGV