Alcuni dei migranti richiedenti asilo ospiti delle strutture diocesane di Avezzano, Pescara e Teramo dedicate all’accoglienza si sono ritrovati nella Cattedrale di San Giustino a Chieti per la celebrazione della 104a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (nella foto con il Direttore generale della Fondazione Migrantes, don Gianni De Robertis e don Luca Corazzari, direttore della Caritas Diocesana di Chieti).
Sono passati 104 anni dall’istituzione della Giornata del Migrante e del Rifugiato.
Nel 1914, la giornata fu dedicata da Papa Pio X ai milioni di italiani che avevano già lasciato il loro paese o stavano per farlo. Le stime parlano di oltre 30 milioni di emigrati italiani nel secolo compreso tra il 1876 e il 1976. Nel 2005 la giornata è diventata mondiale e dedicata a tutta l’umanità in cammino. E l’ultimo rapporto pubblicato da Caritas e Migrantes, in collaborazione con Anci e UNHCR, racconta cifre decuplicate. Oltre 250 milioni, nel 2017, sono state le persone che nel mondo hanno lasciato il proprio paese per fuggire a insicurezza, fame e miseria. Oltre 68 milioni sono migranti forzati. E solo una piccola parte di essa raggiunge l’Europa. Il resto si ferma nei territori limitrofi ai propri, coltivando il sogno di poter rientrare nel proprio paese non appena le condizioni lo permettano.
La Chiesa d’Abruzzo, con i suoi Vescovi, è in prima linea, anche alla luce del Messaggio di Papa Francesco per la giornata: “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Accogliere: innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione; proteggere, garantendo le azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio; promuovere, adoperandosi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone; integrare, come straordinaria opportunità di arricchimento interculturale garantita dalla presenza di migranti e rifugiati.
E nell’omelia don Gianni De Robertis ha esortato: «ricordiamoci che accogliere è verbo del qui ed ora: scambiandoci il segno di pace, non ci voltiamo solo verso il nostro vicino, ma cerchiamo chi ha una pelle diversa dalla nostra, chi ha attraversato il deserto e il mare. Usciamo dai banchi e andiamo davvero incontro all’altro». Ed è stata una festa di abbracci e di auguri di pace.