Tra il 1943 e il 1945, dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano partirono ventitré treni diretti ad Auschwitz e ad altri campi di concentramento, i treni del non ritorno, i treni della morte, dove ogni speranza cade a terra. Nei vagoni, originariamente destinati al trasporto postale e merci, vennero stipate migliaia di persone perseguitate dagli nazifascisti: erano soprattutto ebrei, ma anche partigiani e dissidenti politici. Per raggiungere il binario è sufficiente, una volta usciti dalla stazione, costeggiare piazza Luigi di Savoia e raggiungere la porta di via Ferrante Aporti, dietro la quale si trovava allora un marchingegno ideato per il sistema postale. La sua posizione nascosta, al di sotto del manto stradale, permetteva all’esercito di eseguire nella maniera più discreta possibile i trasporti in loco e le partenze. I prigionieri venivano obbligati a salire su un carro che, grazie a un ascensore montavagoni, li portava al binario all’aria aperta. Lì, una volta agganciati al carro locomotore, i vagoni potevano partire. Nessuno poteva osservare quello che accadeva, chi partiva, chi moriva.
Dopo l’armistizio firmato nel settembre 1943 dal Regno d’Italia con gli alleati angloamericani, i tedeschi avevano occupato l’Italia settentrionale con la collaborazione dei fascisti, scegliendo l’Hotel Regina come loro quartier generale nella città di Milano: da lì coordinavano l’attuazione della “soluzione finale” della questione ebraica nei territori italiani controllati dalla coalizione nazifascista. Il provvedimento, che consisteva nell’annientamento più rapido possibile di tutti gli ebrei che si trovassero nei confini delle zone occupate e dello stato tedesco, era stato disposto dal governo nazista nel 1943, quando era stato costretto a prendere atto della possibilità concreta di una sconfitta su tutti i fronti. Nello stesso anno il Binario 21, fino ad allora utilizzato dai treni del servizio postale, fu convertito nella stazione di partenza dei perseguitati religiosi e politici chiusi nel carcere cittadino di San Vittore. Il comando nazista locale, agli ordini del Capitano della Gestapo (la polizia segreta nazista) Theodor Saevecke, a cui sottostavano anche le bande fasciste della città, definì varie destinazioni per i prigionieri, applicando spesso la divisione tra ebrei e non ebrei: per i carri che trasportavano esclusivamente prigionieri ebrei la meta era sempre Auschwitz, o comunque un altro campo di sterminio; ma a volte l’itinerario prevedeva delle tappe intermedie presso uno dei tre campi di transito italiani prescelti, ossia quelli di Bolzano, Verona e Fossoli in Emilia (quest’ultimo era anche una meta finale per altri treni, perché fungeva a sua volta da campo di concentramento). Per gli altri deportati, l’arrivo più frequentemente scelto dagli occupanti era il campo di concentramento di Mathausen-Gulsen in Austria, e secondariamente quelli di Fossoli e Bergen-Belsen in Germania.
Per via della segretezza e della portata delle operazioni, non è stato possibile ricostruire il numero preciso dei deportati che partirono dal Binario 21. Sappiamo che di tutti i viaggi che si susseguirono fino alla Liberazione nel 1945, il più impressionante e disumano fu quello che lasciò la stazione il 30 gennaio 1944, quando la soluzione finale era a pieno regime. Nei vagoni vennero stipati 605 cittadini italiani di famiglia ebrea. Il giorno stesso in cui raggiunsero il lager di Auschwitz-Birkenau, 477 di loro vennero uccisi nelle camere a gas. Gli altri 128 vennero immessi nel campo di concentramento. Di questi sopravvissero 14 uomini e 8 donne. Tra loro c’era anche Liliana Segre, che il 19 gennaio 2018, in occasione del settantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali, è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Mattarella.
Ci sono anche i suoi racconti nella Sala delle Testimonianze, una delle stanze del Memoriale, inaugurato nel 2013. Per la sua progettazione e direzione è stata creata una Fondazione apposita, che ha deciso di lasciare intatti alcuni degli elementi originali. L’area ospita anche un Muro dei Nomi, che riporta l’identità di tutti i “passeggeri” conosciuti, una biblioteca, un auditorium e altri spazi. Il proposito di chi ha voluto e finanziato il progetto era che il Memoriale non fosse un museo, ma un luogo di riflessione sulle persecuzioni e sull’indifferenza che ne permise l’attuazione, coerentemente con quanto affermato dallo Yad Vashem (l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah d’Israele): “Nella tradizione ebraica l’ordine di ricordare è categorico”.
” c’è chi parte e chi arriva, da quel binario non vi erano arrivi, solo partenze con un unica destinazione……. la morte, l’unica stazione aperta per quei treni, i treni del binario 21 ” Luis Gabriel Garcia Ortega