“Tutto si crea, nulla si distrugge, poco si trasforma”
Parafrasando un pensiero di Antoine-Laurent de Lavoisier, personaggio di spicco della Scienza nella Francia del ‘700, fino a poco tempo fa era impossibile spiegare ad un ignarus il danno irreversibile che la società moderna stava infliggendo all’intero pianeta. Finché non è arrivato il Covid-19 ad aprirci gli occhi. Con le brutte maniere.
La civiltà industriale, che definirla civiltà è un paradosso, ha provocato un crescente aumento dei beni di consumo e di conseguenza un folle aumento dei rifiuti. La matematica non è un’opinione, come non lo è neppure la medicina, visto che le discariche a cielo aperto sono aumentate a dismisura ed è evidente che hanno inciso negativamente sulla salute dell’uomo ed ovviamente sull’ambiente.
Abbiamo prodotto mezza tonnellata di rifiuti ogni anno a testa. Un numero impressionante se lo moltiplichiamo per tutti gli abitanti del mondo. Secondo l’ONU infatti, vengono prodotti annualmente circa 50 milioni di tonnellate di e-waste, ovvero di rifiuti elettronici, e purtroppo il numero sta aumentando vertiginosamente.
Nei Paesi dell’Unione Europea, nel prezzo di ogni oggetto elettronico che acquistiamo è compresa la tassa di smaltimento, il cosiddetto eco contributo per smaltire i Raee, ovvero i rifiuti di apparecchiature che contengono sostanze pericolose per l’ambiente e la salute. In Italia, purtroppo, viene trattato correttamente solo il 35% delle apparecchiature elettroniche presenti sul mercato, ed è ormai chiaro che smaltire i nostri rifiuti nelle aree più povere del mondo ci è costato meno che a casa. Ogni mese infatti, 600 container contenenti la nostra immondizia, di cui almeno la metà non riutilizzabile, con la giustificazione ufficiale che si tratta di prodotti di seconda mano destinati alle aree più povere del pianeta, sono partiti per essere ammassati in 50 discariche del mondo ed in particolare vengono riversati nel Ghana, ad Agbogbloshie come mostra questo servizio.
Nei secoli passati, non conoscendo la scellerata logica delle abitudini ‘usa e getta‘, la produzione di rifiuti era modesta e nella cultura contadina si usava riutilizzare i rifiuti alimentari, mentre quelli non inquinanti venivano bruciati.
Oggi produciamo, usiamo, rompiamo ed abbandoniamo tonnellate di televisori, cellulari, frigoriferi, lavatrici ed ogni sorta di congegno elettronico per spedirli nelle aree più povere del mondo in cui vengono lavorati per estrarre ferro, acciaio, rame e alluminio da bambini in tenera età.
I danni all’ambiente sono alla vista di tutti, quelli alla salute ormai incalcolabili. E’ scientificamente comprovato e sulla bocca di tutti, che la pandemia da Covid-19 sia stata aiutata dall’inquinamento dell’aria.
Amministrazioni ed amministratori hanno cercato soluzioni, fronteggiando il problema pensando a termovalorizzatori, impianti di compostaggio, raccolta differenziata, spazzando via definitivamente il concetto il concetto di economia lineare di “take, make and dispose”, a favore di una produzione a basso impatto ambientale e che protenda per l’azzeramento dei rifiuti. Fino a due mesi fa era ancora esiguo il numero di coloro che si preoccupavano di fronteggiare in prima persona un fenomeno dalle proporzioni colossali, anzi, per chi si metteva a disposizione delle tematiche ambientali inizia una vera e propria crociata. Cosa cambierà, adesso?
Riusciremo a lavorare quotidianamente sul riciclo e riutilizzo degli oggetti, sulla produzione delle materie a basso impatto ambientale?Perché se il benessere della società attuale è cresciuto dando vita alla follia degenerante del consumismo di massa, il buon senso è tragicamente diminuito. E adesso? Ciascuno di noi dovrebbe informarsi, pretendere prodotti con una maggiore facilità di riparazione, di riciclo, di rigenerazione. Mai più tornare a come eravamo prima.
Una discarica ci ha seppellito, oserei dire. Anzi, un coronavirus