di Valentina Di Cesare *
L’AQUILA – Cos’è la fortuna di uno scrittore? I riconoscimenti e il successo che gli vengono conferiti, dipendono soltanto dal valore dei suoi scritti o ad influire sono anche altre variabili? Nessuna risposta certa ma solo molte ipotesi, ognuna diversa dall’altra, eppure vi sono casi di inspiegato oblio che fanno più clamore di altri. L’ombra caduta sulla figura e sull’opera di Fausta Cialente, scrittrice giornalista e traduttrice, è imputabile alla combinazione di molti eventi e continua ancora a sorprendere. Nonostante il giudizio favorevole di molti critici del tempo, nonostante una carriera ricca di grandi intuizioni, di successi e riconoscimenti, nel nostro paese in pochi la conoscono e l’hanno letta, e chi volesse farlo ai giorni nostri troverebbe difficoltà a reperire anche uno solo dei suoi titoli, pressoché spariti dal mercato.
Un silenzio mai completamente compreso quello che si è imposto sulla Cialente, nata nel 1898 dall’unione di una ricca donna triestina ed un ufficiale di fanteria aquilano. Donna intelligente, eterodossa, coraggiosa, scrittrice raffinata e traduttrice, giornalista attiva e anticipatrice di importanti tematiche sociali predilette dal femminismo moderno, Fausta Cialente vive sin da piccola di continui spostamenti con la sua famiglia, a seguito della carriera militare del padre. Nata a Cagliari e cresciuta tra Ancona, Roma, Firenze, Genova e altre città, da scrittrice affermata un giorno dichiarò di sentirsi “straniera dappertutto”, a causa forse della mancanza di radici e di un “nomadismo” culturale che caratterizza la sua vita sin dai primi anni e che si intensificherà ancora di più, dopo un lungo trasferimento all’estero e un’intensa serie di viaggi.
Nel 1921 sposa il compositore ebreo e antisionista Enrico Terni, uomo colto, già sposato con figli e molto più anziano di lei, con il quale si trasferisce in Egitto, prima ad Alessandria e poi a Il Cairo, un matrimonio che anni dopo la Cialente definì una vera e propria “fuga”. Come molte altre donne del tempo, Fausta lascia la casa paterna e si “emancipa” solo a patto di formare un nuovo nucleo familiare, lo fa senza troppe difficoltà o sentimentalismi e in un colpo solo, a poco più di 20 anni, lascia famiglia e paese, spinta soprattutto dalla voglia di vivere liberamente e allontanarsi da un rapporto genitoriale fallimentare, tenuto in piedi solo dagli obblighi sociali.
Scrittrice per passione sin da ragazzina, per Fausta l’esordio narrativo arriva nel 1929 con il romanzo Natalia, una storia coraggiosa incappata nelle grinfie della censura fascista a causa di due protagoniste donne un po’ troppo complici per i tempi, romanzo che incanta Massimo Bontempelli fino a farle conferire l’allora prestigioso Premio dei Dieci e che sarà ristampato in Italia, in versione originale, solo dopo 50 anni, versione originale che invece in altri paesi europei è tradotta e venduta con successo . Il secondo libro, Marianna, pubblicato sulla celebre rivista “La Fiera Letteraria”, le vale invece Premio Galante, riconoscimento riservato alle scrittrici.
Con il trasferimento ad Alessandria d’Egitto, nel frattempo già avvenuto, Fausta può alimentare la propria ispirazione alle ricche fonti della letteratura internazionale, francese ed inglese in particolare, che aveva larga circolazione in Egitto e inizia così a fare tesoro di un’esperienza che segnerà per sempre la sua esistenza di donna e di scrittrice, per quello che sarà chiamato il filone dei suoi “romanzi alessandrini” o “levantini”. La Cialente infatti assiste, seppur da una posizione privilegiata, alle colpe della borghesia occidentale sulle enormi differenze sociali tra il popolo e i pochi benestanti del posto, al distacco tra questi mondi così lontani seppur confinanti e alla spietatezza che levantini ed europei adoperavano sugli autoctoni.
Nascono, dall’essere stata spettatrice vivente di infinite contraddizioni, romanzi di indiscutibile bellezza, ambientati in quelle città ormai perdute e cosmopolite dove convivevano europei e asiatici, ebrei e musulmani: Cortile a Cleopatra, Ballata Levantina, (classificatosi terzo al premio Strega nel 1961 che ripercorre scenari mediterranei in prospettiva femminile) e Il vento sulla sabbia, ai quali alterna romanzi e raccolte di racconti di ispirazione postbellica, ambientati in un’ Italia povera e distrutta dalla guerra, come la Milano di Un inverno freddissimo, (che ispirò anche uno sceneggiato televisivo con protagonista Giulietta Masina) e infine Le quattro ragazze Wieselberger, vicenda di una famiglia borghese ambientata a Trieste, vasto affresco sociale che propone un severo giudizio sulla borghesia europea, rea di aver scatenato le due guerre mondiali e di aver messo in piedi, attraverso il colonialismo, un sistema sociale razzista e iniquo, romanzo con cui finalmente la scrittrice si aggiudica, nel 1976, il Premio Strega.
Negli anni della seconda guerra mondiale fino all’inizio del 1960, la produzione letteraria della Cialente attraversa una lunga pausa, durante la quale si sedimentano in lei le questioni appena elencate che diverranno in futuro temi dei suoi romanzi più maturi. In questo lungo periodo di interruzione, Fausta si dedica maggiormente all’attività giornalistica che la vede impegnarsi concretamente in un servizio di informazione e di battaglia sociale. Amica di Giuseppe Ungaretti e di Sibilla Aleramo, (con quest’ultima specifica “non sul piano letterario”, pur intrattenendo con lei una corrispondenza molto intensa, il cui carteggio è conservato all’Università di Pavia nell’Archivio del Centro Manoscritti), nel corso del soggiorno egiziano Fausta è un’instancabile animatrice culturale e promotrice di attività legate all’antifascismo, come dimostra l’esperienza del “Giornale d’Oriente” (la prima delle sue attività giornalistiche), la direzione e la conduzione quotidiana di un programma su Radio Cairo dal 1940 al 1943, che ribatte alla radio ufficiale del partito fascista italiano e mette in stretto contatto la scrittrice con Palmiro Togliatti e altri fuoriusciti durante il secondo conflitto mondiale e infine, la fondazione sempre nel ’43, della rivista “Fronte Unito”, settimanale di informazione per i prigionieri di guerra italiani distribuito in Egitto e in Tripolitania che poi diventerà “Il mattino della domenica”.
Nel 1947, dopo 26 anni di matrimonio e una figlia, Fausta si separa dal marito e torna in Italia dove inizia a collaborare tra gli altri con L’Unità, Rinascita nuova, Il Contemporaneo, Noi donne e segue da vicino il dilemma della ricostruzione di un paese dilaniato dalla guerra, occupandosi molto dello sfruttamento del lavoro femminile negli anni della cosiddetta ripresa economica. Si stabilisce prima dalla madre a Roma e poi in provincia di Varese, continuando di frequente a fare viaggi che la portano dalla figlia Lily in Kuwait ed in Inghilterra. Non di meno, va ricordata la sua attività di traduttrice raffinatissima dall’inglese: sono celebri, tra gli altri suoi lavori, la versione italiana di “Giro di vite” di Henry James e la traduzione delle “Piccole donne” e “Piccole donne crescono” di Louise May Alcott.
Fausta Cialente è stata una dei primi intellettuali europei a riflettere in sede narrativa sulla necessità di avviare un processo di decolonizzazione; la portata di un messaggio così importante, espresso inoltre dalla voce di una donna, la forza e la lucidità con cui la Cialente affronta sulla pagina temi sociali di libertà e di uguaglianza, forse sono sufficienti a spiegare in parte il perché di tanto oblio, ma in questa sede né in altre si desidera fare processi a fantasmi e a meccanismi spesso incontrollati . Dopo una vita da apolide, in continuo contatto con mondi e prospettive diverse, dedicata ad una scrittura precisa eppure fiabesca, lucida e a tratti esoterica, impegnata e nel contempo semplice, Fausta Cialente si spegne nel marzo del 1994, in un piccolo villaggio della campagna inglese, lasciandoci in eredità romanzi, racconti e diari di rara bellezza, istantanee affascinanti, autentiche e di grande umanità che un paese civile ha il dovere di celebrare e ricordare degnamente.
*docente e scrittrice