IL CENTRO BENESSERE SU AREA VINCOLATA INGUAIA ANCHE IL PATRON DEL RIGOPIANO

L’inserimento dell’area dove sorgeva l’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) nella Zona di conservazione integrale del Piano paesistico regionale, che precludeva qualsiasi edificazione, avrebbe dovuto comportare l’immediato rigetto dell’istanza presentata dall’imprenditore Paolo Del Rosso per l’ampliamento della struttura ricettiva. Eppure il responsabile dell’ufficio tecnico comunale, Enrico Colangeli, il 22 dicembre 2006 rilasciava il permesso per la ristrutturazione “in area soggetta a vincolo idrogeologico”.

L’altra faccia della medaglia dell’inchiesta sulla tragedia che ha comportato la perdita di 29 vite umane, dopo quella che coinvolge dirigenti e funzionari pubblici negligenti nella redazione della Carta delle valanghe, riguarda clamorosamente lo stesso proprietario dell’hotel, che in quel crollo ha perso il fratello Roberto.

Il procuratore della Repubblica di Pescara Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia, ricostruiscono la storia dell’albergo che i fratelli Paolo e Roberto Del Rosso trasformarono in un resort di lusso con centro benessere e piscina riscaldata all’aperto.

Sul registro degli indagati, insieme al presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, al sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, al direttore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, a due funzionari della Provincia, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, al dipendente del Comune di Farindola Enrico Colangeli, all’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, all’altro funzionario della Regione Antonio Sorgi, al consulente della società di gestione Andrea Marrone, al geologo Luciano Sbaraglia, all’imprenditore Marco Paolo Del Rosso, agli ex sindaci di Farindola Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico, al tecnico della società di gestione dell’hotel Giuseppe Gatto, al comandante della Polizia provinciale di Pescara Giulio Honorati, al tecnico reperibile secondo il piano di reperibilità provinciale Tino Chiappino, e ai funzionari della prefettura Leonardo Bianco e Ida De Cesaris, sono finiti i dirigenti e funzionari regionali Pierluigi Caputi, Carlo Giovani, Vittorio Di Biase, Emidio Primavera e Sabatino Belmaggio.

“L’istanza per la realizzazione del centro benessere”, scrivono i magistrati, “non era, allo stato, assentibile in quanto l’area era qualificata zona agricola”, e su di essa gravavano vincoli “del Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga, vincolo paesaggistico, vincolo sismico di II categoria, nonché area rientrante nella perimetrazione del Piano stralcio difesa alluvioni”.

Colangeli, fanno però osservare gli inquirenti, omise di rilevarlo quando rimise gli atti dell’istanza presentata da Del Rosso al sindaco dell’epoca, Massimiliano Giancaterino.

Nell’ambito della conferenza dei servizi convocata da quest’ultimo, Antonio Sorgi “concedeva il nulla osta per la realizzazione del progetto attestandone la compatibilità, contrariamente al vero, con il piano paesistico che prevedendo in quell’area un regime di conservazione integrale ne escludeva in radice la realizzabilità”.

Entrambi i funzionari pubblici, Colangeli e Sorgi, dunque, secondo l’accusa “formavano gli atti non rispondenti al vero laddove attestavano falsamente che le opere fossero ammesse dal Piano regionale paesistico, nonché, sempre su istigazione di Del Rosso, procuravano (…) sia l’ingiusto vantaggio patrimoniale per il proprietario e i gestori dell’hotel Rigopiano conseguente alla maggiore attrattiva derivante dalla realizzazione del centro benessere”, sia il “danno al territorio di Rigopiano”.           

 

( Cicchetti Ivan )

 

 

Redazione - Il Faro 24

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