I capitali che muovono i media hanno reso l’Olocausto ebraico il genocidio più tristemente noto del Novecento. Eppure nell’arco della storia dell’umanità i genocidi sono stati tragicamente numerosi e purtroppo anche ricorrenti.
Molte di queste stragi o sono del tutto sconosciute – soprattutto quando avvengono in Paesi poveri – oppure se ne parla poco come è avvenuto per il massacro di 100 milioni di nativi americani per mano dei colonizzatori europei, cosicché finiscono per essere dimenticate dalla Storia contemporanea quasi come se il dolore avesse un prezzo o un valore a seconda dell’etnia coinvolta.
Uno degli stermini di massa ignorati, avvenuto a due passi da casa nostra e “sotto gli occhi” della comunità internazionale, fu proprio quello subito dal popolo armeno, il primo genocidio del XX secolo secondo la recente definizione di Papa Francesco.
Gli armeni erano l’ostacolo da eliminare per portare a termine il sogno nazionalista dei Giovani Turchi. Le popolazioni cristiane – ufficiali nel territorio dall’anno 301 – dovevano sparire dal territorio. L’operazione di ‘pulizia etnica’ aveva pertanto una duplice finalità: occupare le terre appartenenti agli armeni situate tra Turchia e Caucaso e decimare la minoranza cristiana presente nelle stesse zone.
Il 29 ottobre del 1914 la Turchia entra in guerra al fianco della Germania con un’azione eclatante: con la sua flotta affonda un cacciatorpediniere russo ed attacca quattro città sulla costa settentrionale del Mar Nero. Gli arresti dei leader armeni e le prime uccisioni iniziano a Costantinopoli, nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915. Con una “legge speciale” e adducendo motivazioni legate alla sicurezza, viene autorizzata la deportazione della popolazione di Anatolia e Cilicia verso i deserti della Mesopotamia. Durante l’esodo forzato, a migliaia moriranno di fame, malattie e stenti o massacrati durante il cammino dai soldati ottomani. Molti, troppo pochi, riescono a fuggire in Occidente.
I massacri sono ricordati dagli armeni come il Medz yeghern, “il grande male”.
Immagine tratta dal documentario “Auction of souls” che ricostruisce il massacro delle giovani donne armene
Nell’ecatombe perdono la vita circa 1.500.000 armeni tra cui migliaia di intellettuali, giornalisti, scrittori, poeti e parlamentari. Dopo la sconfitta subita in guerra, l’impero ottomano viene smantellato dando vita alla Repubblica Democratica di Armenia che, negli anni ’20, finirà integrata tra le repubbliche socialiste dell’Unione Sovietica e ritroverà l’indipendenza soltanto nel 1991.
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Secondo l’avvocato e giurista polacco Raphael Lemkin che ha coniato il termine genocidio, quello subito dagli armeni è stato il primo genocidio della storia moderna finalizzato allo sterminio di un intero popolo. La Turchia tuttavia, pur ammettendo la propria responsabilità nella morte di “alcuni” armeni, non ne riconosce il termine. Secondo Ankara fu un’azione di repressione contro una popolazione che collaborava con la Russia zarista. La storiografia ufficiale turca infatti nega il genocidio tanto che la parola stessa può costare il carcere. E’ opinione comune di molti storici però, che la guerra fu usata per attuare un progetto già ideato in precedenza.
Il genocidio armeno è stato riconosciuto, in quanto tale, soltanto nel 1985 dalla sottocommissione dei diritti umani dell’Onu e successivamente dal Parlamento europeo. Ad oggi, sono 21 i Paesi – tra cui l’Italia – che aderiscono al riconoscimento.
Quando un genocidio assume carattere politico per coprire i più subdoli interessi economici, quando la morte viene strumentalizzata per propagandare un’ideologia a favore di un’altra, quando la vita delle popolazioni vessate e massacrate perde ogni valore e passa in secondo piano, quando i popoli decimati vivono in assenza di giustizia e il loro dolore finisce nell’oblìo, la Storia tornerà tristemente a ripetersi ancora, ancora e mille altre volte ancora.
E’ nostro dovere salvaguardare la memoria storica, affinché il ricordo del dolore che alcuni uomini hanno inflitto ad altri uomini, possa essere da monito e contribuire a cambiare il futuro di tutti.
Giornalista, addetta stampa, scrittrice, conduttrice, responsabile produzione di grandi eventi istituzionali e culturali, con esperienza trentennale nel settore dei media e dell’entertainment.
Appassionata di scienze storiche e sociali, vanta una formazione accademica poliedrica, un percorso di laurea in Culture e tecniche per la comunicazione e una laurea in Lettere moderne presso l'Università dell'Aquila.
Ha all’attivo interessanti contributi letterari e numerosi riconoscimenti giornalistici.