Nessuno ha mai dimenticato il podio sui Campi Elisi del Tour de France 1989. Soprattutto il povero Laurent Fignon. Vi siete mai chiesti cosa significhi perdere per soli 8 secondi? Di certo il Professore ha già conosciuto l’amarezza di una vittoria sfumata all’ultimo secondo: il ricordo della cronometro di Verona del Giro ‘84 è ancora un fastidioso compagno di viaggio del talentuoso transalpino, che dovette inchinarsi a Francesco Moser in un’edizione della Corsa Rosa contrassegnata dalle polemiche. 8 secondi tra inferno e paradiso, da una parte Fignon dall’altra Greg LeMond, corridore americano che fin lì aveva vissuto una carriera in un’altalena di emozioni. Iridato ad Altenrhein 1983, primo americano a vincere il Tour tre anni più tardi, LeMond ha dovuto lottare soprattutto contro la morte. Nell’inverno ‘87 fu colpito accidentalmente da un colpo di fucile sparato dal cognato durante una battuta di caccia, due stagioni di stop forzato e ritorno all’attività soltanto nel 1989. Il parterre della Grande Boucle di quell’anno recita solo grandi nomi, da Fignon a Delgado passando per Hampstean, Roche e Kelly. LeMond parte senza particolari ambizioni, data soprattutto la lunga inattività alla quale è tato costretto. Un cast perfetto per uno show che si apprestava a diventare tra i più grandi della storia.
Che la leggenda abbia inizio – Il primo colpo di scena arriva già nel prologo iniziale in Lussemburgo: Pedro Delgado, vincitore dell’edizione precedente, si presenta al via della prova con 2’54” di ritardo. Episodio clamoroso che finirà per condizionare non poco l’intero Tour dello spagnolo della Reynolds. La prima sfida diretta tra i pretendenti alla Maglia Gialla va in scena nella cronometro da Dinard a Rennes, 73 km che segnano il definitivo ritorno di LeMond. L’americano corre su una bicicletta futuristica dotata di un manubrio da triathlon per favorire una miglior posizione aerodinamica. La trovata di Boone Lennon, meccanico di LeMond, ex sciatore ed uno dei massimi esperti di aerodinamica, paga e l’alfiere della ADN distanzia Fignon di 56 secondi. L’americano, dopo aver lottato per la vita, torna a vestire di giallo.
La rivincita del Professore si concretizza sui Pirenei, a Superbagneres, dove strappa il simbolo del primato a LeMond per 7 secondi. Ma è ancora una volta la cronometro a dare un altro, ennesimo scossone alla classifica generale. Da Gap si scalano Col de Mans e Orcieres-Merlette per un percorso di 39 km favorevole più agli scalatori che ai cronoman. La vittoria va all’olandese Steven Rooks, che rifila 57” a LeMond e 1’44” a Fignon. L’americano, grazie ancora alle lancette e alla bici da fantascienza, si riprende il simbolo del primato con 40” di vantaggio sul francese.
Il Professore sale in cattedra – Dopo il giorno di riposo, in programma c’è la scalata all’Izoard prima del classico arrivo a Briancon. Mentre lo svizzero Pascal Richard si invola solitario al traguardo, i big se ne danno di santa ragione. Fignon va in crisi sull’Izoard ma recupera il gruppo maglia gialla in discesa. Nell’ultimo chilometro, il Professore va nuovamente in difficoltà ed accusa 13” da LeMond. La battaglia si apprestava a diventare leggenda. Il palco della storia non poteva essere dei migliori: l’Alpe d’Huez. Lungo i tornanti più famosi della storia del ciclismo, Fignon dà vita ad un prova tutta cuore e coraggio, attacca insieme a Delgado rifilando 1’19” a LeMond. L’Alpe consegna la maglia gialla al padrone di casa Laurent, incitato come non mai lungo i 14 km che ogni ciclista sogna di percorrere. Non pago del risultato ottenuto, Fignon attacca anche nella frazione successiva vincendo in solitaria a Villard de Lans guadagnando ulteriori 24” su un LeMond che pare accusare la forza e il coraggio straripante del rivale. Adesso l’americano è lontano 50” dalla Maglia Gialla. E mancano soltanto 24,5 km… a cronometro.
Il dramma – Per il gran finale del Tour de France numero 76, gli organizzatori hanno pensato ad una suggestiva prova contro il tempo da Versailles ai Campi Elisi di Parigi, poco più che una passerella. Ma la Grande Boucle ‘89 ha qualcosa di magico nel DNA, un film romantico e thriller allo stesso tempo, un ossimoro, un mix di emozioni contrastanti che fanno sprofondare all’inferno o risalire in paradiso, il purgatorio è bandito, non esistono mezze misure. Sulla bicicletta venuta dal futuro, LeMond vola alla media di oltre 54 km/h; Fignon arranca, è in ritardo ad ogni intertempo. Il rettilineo finale davanti la Tour Eiffel, vestito a festa dai tricolori francesi, si trasforma in una discesa agli inferi. Fignon rischia seriamente di perdere il Tour per una manciata di secondi, i telecronisti francesi inscenano un drammatico conto alla rovescia interrotto soltanto da un emblematico “Laurent Fignon a perdu le Tour de France”. Il Professore, non appena tagliato il traguardo, si lascia cadere a terra stremato dalla fatica e dalla disperazione. Cala il gelo sui Campi Elisi, Greg LeMond ha vinto il Tour per 8 secondi. Mai la Grande Boucle era stata decisa per così poco.
Il missile contro il codino – La sfida leggendaria del Tour ‘89 ha messo in luce differenti aspetti dei due pretendenti alla Maglia Gialla. Fignon, l’ultimo dei poeti romantici del ciclismo, contro LeMond, uno dei primissimi a fare affidamento sulla componente tecnologica oltre che sui watt, vera e propria ossessione anche in quell’epoca. La sintesi del duello epico tra i due è rappresentata da un ulteriore elemento della cronometro finale verso Parigi: casco super aerodinamico per l’americano, folta chioma bionda al vento per il transalpino. Qualcuno si è persino divertito a quantificare quanto effettivamente abbia perso Fignon a causa del mancato uso del casco (16 secondi), fatto sta che quel codino biondo che cascava a pennello sulla Maglia Gialla è diventato un simbolo, di caparbietà, tenacia e, forse, anche un po’ di sfortuna.
“Quel giorno sul podio sono stato male per lui”. Greg LeMond lo ha confessato nel giorno in cui Laurent se ne è andato per sempre. Il 31 agosto 2010 la grande sfida è finita per sempre, senza vincitori né vinti. Perché quei 8 miseri secondi non potranno mai dividere due strade destinate alla gloria. Sempre che il Professore la percorra ancora con la chioma al vento. Al diavolo l’aerodinamica.
di Luca Pulsoni