La conquista italiana dello Spazio. Annus mirabilis il 2018

L’Aquila / La lotta alle fake news della Scienza è possibile, praticabile e consigliabile per un sano sviluppo della democrazia della sovranità spaziale italiana e dell’autentica libertà consapevole nel Belpaese del 18% di laureati. Purchè questa resistenza in Italia corra di pari passo alla lotta contro l’arroganza di certi scienziati e politici che umiliano la Scienza e i giovani ricercatori spesse volte costretti alla fuga se non al suicidio come dimostrano i casi di cronaca. Nelle more di qualche scherzo goliardico istituzionale che serva di lezione e da scossa per il risveglio del Dormiente! Il fatto che in Groenlandia, sotto i ghiacci, sia stato scoperto un enorme cratere da impatto, originato dall’arrivo catastrofico sulla Terra di un raro meteorite ferroso che 12mila anni fa pare abbia liberato qualcosa come 3×10 alla 21ma potenza Joule di energia, dovrebbe far riflettere chi di dovere. C’è tanta Italia burocratica spaziale in giro per il Sistema Solare. Sì, poco prima di bruciare le sonde nelle atmosfere dei giganti gassosi. Il fascino di Marte e la sua esplorazione negli studi pioneristici degli astronomi italiani Giovanni Virginio Schiaparelli e Vincenzo Cerulli, autore quest’ultimo della famosa Teoria Ottica che smascherò la reale natura dei “canali” alieni di Marte, minacciando la nascita della fantascienza marziana! Se gli italiani perdono la loro cultura, cosa resta del Paese? La Scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. La Space Economy vale oggi all’Italia un giro di affari di ben 4,7 miliardi di euro. Molto più della navicella Cassini (https://www.youtube.com/watch?v=JT2an5Am1SM) da tre miliardi di euro, con tanta tecnologia italiana nel cofano, fatta suicidare in pompa magna nell’atmosfera di Saturno invece di essere spedita nello spazio profondo. Cronaca di un crimine scientifico. L’Articolo 4 del primo Trattato sullo Spazio del 1967, ratificato anche dall’Italia, stabilisce, inter alia, che “gli Stati contraenti utilizzano la Luna e gli altri corpi celesti a scopi esclusivamente pacifici”. Nessuno può imporre il suo “dominio” esclusivo sullo Spazio. Neppure gli Usa. Il “Tech Summit Italia-India 2018” vede protagoniste l’Italia e l’India nello Spazio con i telescopi SKA e ELT. Ma anche per sbarcare insieme sul pianeta Venere: Italia, Russia e India. Nella sua allocuzione per l’inaugurazione del nuovo Anno Accademico, il 416mo dalla costituzione della prestigiosa istituzione scientifica dove 95 anni fa nacque il CNR, il fisico Giorgio Parisi (https://www.youtube.com/watch?v=CTD54raQOAA&feature=youtu.be&a) Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, dichiara: “Viviamo in tempi che non sono facili per la cultura e per la scienza. Ci sono molte difficoltà, problemi nuovi sia in Italia che nel mondo. L’Accademia dei Lincei deve avere un ruolo cruciale nell’analizzare le cause di questa situazione e cercare di proporre soluzioni. Non è possibile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. La scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali) ma ha anche un altro ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata. Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i diffusissimi cellulari di adesso arrivano a una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo, più o meno come i mastodontici super-computer di venticinque anni fa). In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax o il negazionismo della Xylella come origine della malattia degli ulivi pugliesi) si diffondono largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico. Addirittura una prestigiosa università italiana è arrivata ad ospitare un corso sull’agricoltura biodinamica. I Romani hanno conservato la tecnologia greca senza curarsi molto della scienza greca e i fanatici cristiani, comandati dal vescovo Cirillo di Alessandria, hanno tranquillamente fatto a pezzi la matematica-astronoma Ipazia, senza curarsi affatto delle conseguenze a lungo termine, anzi rallegrandosi della scomparsa di un sapere profano, ritenuto inutile se non dannoso. La deindustrializzazione sistematica dell’Italia è il filo conduttore della storia italiana dagli Anni Sessanta in poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la ricerca”. L’Italia fin dall’Anno Domini 1938 del secolo scorso sta perdendo il fior fiore degli scienziati, dei tecnici e degli inventori. L’astrofisico Piero Benvenuti è il commissario straordinario dell’Asi. Decreto Spazio, spoil system governativo, nubi vorticose di Giove, missione italiana e russa su Marte nel 2020. Ma il lander InSight “ammarta” il 27 Novembre 2018 alle ore 9 italiane. La missione InSight (https://mars.nasa.gov/participate/send-your-name/insight/) della Nasa arriva su Marte con a bordo i nomi di 2.429.807 persone registrate sul microchip, tra cui il mio personale “pass” tra i 75.093 italiani. L’Italia è al sesto posto mondiale tra i partecipanti. Al primo in Europa. Il lancio è avvenuto il 5 Maggio 2018 alle 13.05 ora italiana, dalla base di Vandenberg in California. Obiettivo: esaminare nel profondo la struttura interna del Pianeta Rosso (www.youtube.com/watch?v=HZROh9zq0cY&feature=share) e i processi che hanno contribuito alla sua formazione. La missione Esa ultra decennale BepiColombo (www.youtube.com/watch?v=MBoP51BtWlI) su Mercurio. La sonda Parker “direct” della Nasa sfreccia sul Sole a velocità record. A differenza della Parker Solar Probe, il viaggio di BepiColombo, che studierà anche Venere, non sarà breve: passeranno 7,2 anni prima dell’arrivo nella regione più interna del nostro sistema planetario, a “pochi passi” dal Sole. Appena 58 milioni di chilometri. Tutti i rivelatori sono stati realizzati specificatamente per lo spettrometro Simbio-Sys dall’azienda americana Raytheon, la più grande industria americana per la costruzioni di armi da guerra con una piccola divisione spaziale. L’astronauta Maurizio Cheli nel CdA dell’Agenzia Spaziale Italiana. “In altri Paesi di antica Democrazia – osserva Giorgio Parisi – le Accademie sono interpellate ufficialmente dal Governo e dal Parlamento. Per esempio, la “National Accademy of the U.S.” ogni anno è convocata un centinaio di volte per audizioni al Congresso per presentare i risultati di studi commissionati dal Congresso durante il procedimento legislativo. Sarebbe ragionevole che anche in Italia l’Accademia dei Lincei venisse sistematicamente invitata in audizioni nel caso di leggi che coinvolgano questioni culturali e/o scientifiche”, sulla scia del nostro grande socio Galileo Galilei. Urge un Decreto Spazio del Premier Conte che metta ordine alle Politiche italiane dello spazio orbitale e nello spazio profondo: il Comitato interministeriale riuscirà a fare questa rivoluzione meritocratica, scientifica e tecnologica in nome del cambiamento, grazie alla liberalizzazione dell’impresa e dell’industria spaziale privata nel Belpaese? Le stupende immagini del film “Star Trek X” con l’Italia sorvolata da un’avveniristica Stazione Spaziale Mondiale nell’orbita alta terrestre, faccia riflettere chi di dovere. Un trattato giuridico di 350 pagine sullo Space Mining è già stato pubblicato perché è apparsa evidente la necessità di rivedere il Corpus Juris Spatialis in essere, cioè i Trattati sullo spazio e le convenzioni internazionali che governano lo spazio, a cominciare dall’Outer Space Treaty del 27 gennaio 1967. Questa revisione è in corso da parte della Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (Copuos,  United Nations Committee on the Peaceful Uses of Outer Space) creato nel 1958, subito dopo il lancio dello Sputnik, con la una risoluzione delle Nazioni Unite. L’esplorazione di Marte è una priorità assoluta per la Nasa. La scelta di Insight conferma che gli Usa continueranno a svelare i misteri del Pianeta Rosso e a gettare le basi per un’imminente missione umana grazie alla compagnia privata SpaceX. Curiosity ha galvanizzato l’interesse del pubblico per l’esplorazione dello spazio e l’annuncio di Musk precisa che ci saranno, in tempi brevi, entro 10 anni al massimo, molte emozionanti missioni umane su Marte e dintorni. L’avventura spaziale della missione Sojuz MS-10. Negli Usa, come in Italia, lo spazio è un settore strategico della difesa, della politica energetica, del governo e del parlamento, e soprattutto delle imprese. Lo spazio è energia, libertà, lavoro, prosperità. Non può essere lasciato a pochi fortunati. Tutti in Italia tacciono questa fondamentale verità che è anche alla base del successo della compagnia spaziale californiana SpaceX del magnate Elon Musk. La cui auto cosmica Tesla Roadster ha appena superato il pianeta Marte con “Space Oddity” nell’autoradio, lanciata dal nuovo potente vettore Falcon Heavy, lo scorso 6 Febbraio 2018. Poesia. Non c’è altro modo per descrivere l’incredibile incontro tra perfezione tecnologica ed estetica cosmica, edificata dalla liberalizzazione dell’industria spaziale privata. Un atto politico. Come la futura missione italiana e russa sul pianeta Venere, a bordo di una vera astronave interplanetaria, con lo sbarco dei primi astronauti sulla rovente superficie di un mondo alieno. Fantascienza? No, scienza e tecnologia al servizio dell’Umanità. Dolgozhivuschaya.

(di Nicola Facciolini)

“Sono contento che i nostri amici stiano bene. Grazie a più di 1000 soccorritori! Oggi si è dimostrato ancora una volta quanto sia grande la Soyuz: nonostante una falsa partenza, l’equipaggio è stato sicuramente riportato sulla Terra. I viaggi spaziali sono difficili. Ma dobbiamo andare avanti, a beneficio dell’Umanità” (Alexander Gerst). La lotta alle “fake news” della Scienza è possibile, praticabile e consigliabile per un sano sviluppo della democrazia della sovranità spaziale italiana e dell’autentica libertà consapevole nel Belpaese del 18% di laureati. Purchè questa resistenza in Italia corra di pari passo alla lotta contro l’arroganza di certi scienziati e politici che umiliano la Scienza e i giovani ricercatori spesse volte costretti alla fuga se non al suicidio, come dimostrano i casi di cronaca. L’Italia fin dall’Anno Domini 1938 del secolo scorso continua a perdere il fior fiore di scienziati, tecnici e inventori, nelle more di qualche scherzo goliardico istituzionale che serva di lezione e da scossa per il risveglio del Dormiente! Come dichiara il fisico Giorgio Parisi (https://www.youtube.com/watch?v=CTD54raQOAA&feature=youtu.be&a) Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, durante l’allocuzione del 9 Novembre 2018 nell’Adunanza pubblica a classi riunite, per la inaugurazione del nuovo Anno Accademico, il 416mo dalla costituzione della prestigiosa istituzione scientifica: “Viviamo in tempi che non sono facili per la cultura e per la scienza. Ci sono molte difficoltà, problemi nuovi sia in Italia che nel mondo. L’Accademia dei Lincei deve avere un ruolo cruciale nell’analizzare le cause di questa situazione e cercare di proporre soluzioni. Noi tutti qui presenti ci rendiamo conto che non è possibile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. La scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali) ma ha anche un altro ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata. Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i diffusissimi cellulari di adesso arrivano a una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo, più o meno come i mastodontici super-computer di venticinque anni fa). In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax o il negazionismo della Xylella come origine della malattia degli ulivi pugliesi) si diffondono largamente insieme a un vorace consumismo tecnologico. Addirittura una prestigiosa università italiana è arrivata ad ospitare un corso sull’agricoltura biodinamica. Non è facile capire fino in fondo quale sia l’origine di questo fenomeno; è possibile che questa sfiducia di massa nella scienza sia dovuta anche ad una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche nei casi in cui non lo è affatto. A volte l’arroganza consiste non nel cercare di far arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti. Proprio il rifiuto di non accettare i propri limiti può indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte sbandierano un’eccessiva sicurezza, che non è fondata, davanti a un’opinione pubblica che in qualche modo ne avverte la parzialità di vedute e i limiti. A volte i cattivi divulgatori presentano i risultati della scienza quasi come una superiore stregoneria le cui motivazioni sono comprensibili solo agli iniziati. In questo modo chi non è scienziato può essere spinto in una posizione irrazionale di fronte a una scienza percepita come magia inaccessibile e quindi a preferire altre speranze irrazionali: se la scienza diventa una pseudomagia, perché non scegliere la magia vera piuttosto che un suo surrogato? La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di prendere esempio da Robert Wilson che, nel 1969, di fronte ad un senatore americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermilab, vicino Chicago, e in particolare, se fosse utile militarmente per difendere il Paese, gli rispose: “il suo valore sta nell’amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia, come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri; non serve per difendere il nostro Paese, ma fa che valga la pena difendere il nostro Paese. Per affermare la scienza come cultura, bisogna rendere la popolazione (almeno quella colta) consapevole di cosa è la scienza, di come la scienza e la cultura si intreccino l’una con l’altra, sia nel loro sviluppo storico sia nella pratica dei nostri giorni. Bisogna spiegare in maniera non magica cosa fanno gli scienziati viventi, quali sono le sfide dei nostri giorni. Non è facile, specialmente per le scienze dure dove la matematica gioca un ruolo essenziale. Tuttavia con un certo sforzo si possono ottenere ottimi risultati. Bisogna anche abbattere, per quanto sia possibile, la separazione che c’è spesso tra gli studi umanistici e le altre discipline scientifiche. La nostra Accademia, che si divide equamente in una classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche e in una Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, è uno dei luoghi più adatti per colmare questa separazione. Spesso si dice che le scienze dure non sono comprensibili a chi non ha studiato la matematica. Ma lo stesso problema c’è anche con la poesia cinese, che è un miscuglio inseparabile di letteratura e di pittura: il manoscritto originale della poesia è un quadro dove i singoli ideogrammi cinesi sono gli elementi pittorici che vengono rappresentati ogni volta in maniera differente. Questa dimensione pittorica si perde completamente nella traduzione e la sua bellezza non è apprezzabile da chi non conosce bene il cinese. Come è possibile far apprezzare in italiano la bellezza delle poesie cinesi, così è possibile far comprendere anche la bellezza delle scienze dure a chi non conosce la matematica e non ha fatto studi scientifici. Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde che devono essere comprese a fondo allo scopo di poterle contrastare. Stiamo entrando in un periodo di pessimismo sul futuro che ha la sua origine da crisi di varia natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle risorse, inquinamento. In molti Paesi si aggiungono l’aumento delle diseguaglianze, il precariato, la disoccupazione, le guerre. Mentre una volta si pensava che il futuro sarebbe stato necessariamente meglio del presente, si è intaccata la fede nel progresso, nelle magnifiche e progressive sorti dell’umana gente: molti temono che le future generazioni staranno peggio di quelle attuali. E come la scienza aveva il merito del progresso, così adesso la scienza riceve il biasimo del declino (reale o solo percepito non importa). La scienza è a volte sentita come una cattiva maestra che ci ha portato nella direzione sbagliata e cambiare questa percezione non è facile. C’è una grande insoddisfazione verso tutti coloro che ci hanno portato in questa situazione e gli scienziati non sfuggono a questo biasimo. Non dobbiamo essere sicuri che lo sviluppo della scienza sia inarrestabile: confidare ciecamente sull’ineluttabilità del bisogno che lo sviluppo tecnologico ha dello sviluppo scientifico può essere un tragico errore. I Romani hanno conservato la tecnologia greca senza curarsi molto della scienza greca e i fanatici cristiani, comandati dal vescovo Cirillo di Alessandria, hanno tranquillamente fatto a pezzi la matematica-astronoma Ipazia, senza curarsi affatto delle conseguenze a lungo termine, anzi rallegrandosi della scomparsa di un sapere profano, ritenuto inutile se non dannoso. Ma se anche al livello planetario la scienza continuerà a svilupparsi e a trascinare la tecnologia, non c’è nessuna garanzia che questo accada anche in un Paese come l’Italia. La deindustrializzazione sistematica dell’Italia è il filo conduttore della storia italiana dagli Anni Sessanta in poi, assieme al sempre più marcato disinteresse della grande industria per la ricerca. È ben possibile che i nostri governanti decidano che l’industria e la ricerca italiana debbano avere un posto sempre più secondario e che il Paese debba lentamente scivolare verso il terzo mondo: in fondo i brevetti si possono sempre comprare dall’estero e i prodotti ad alta tecnologia si possono importare. Se consideriamo anche il lento decadere della scuola pubblica, il progressivo disinvestimento dell’impegno finanziario del Governo italiano nei Beni culturali (basti dire che il restauro del Colosseo è stato fatto con fondi privati e che il Fondo Unico per lo Spettacolo diminuisce ogni anno fino ad arrivare alla metà delle cifre stanziate venti anni fa) ci rendiamo conto che tutte le attività culturali italiane sono in lento, ma costante, declino. Il prestigio (e forse anche lo stipendio) degli insegnanti nelle scuole di tutti i livelli è calato sempre di più. Una volta nei piccoli paesi si dedicavano le vie agli insegnanti delle scuole elementari e i professori di Liceo erano grandemente rispettati. La scuola sta perdendo il ruolo di ascensore sociale che aveva una volta: le crepe che si aprono sul soffitto di molte aule scolastiche sono il segnale visivo dell’abbandono in cui è lasciata la nostra scuola. L’Università italiana ha assistito nell’ultima decina di anni a uno dei più grandi disinvestimenti nell’alta cultura che siano avvenuti in un Paese in tempo di pace, venti per cento in meno di finanziamenti, venti per cento in meno di insegnanti, venti per cento in meno di studenti. Bisogna difendere la cultura italiana su tutti i fronti, dobbiamo evitare di perdere la nostra capacità di trasmetterla alle nuove generazioni. Se gli italiani perdono la loro cultura, cosa resta del Paese? Bisogna che si costituisca un fronte comune di tutti gli operatori culturali italiani (dagli insegnanti degli asili ai professori universitari, dai programmatori ai poeti) per poter affrontare e risolvere l’attuale emergenza culturale”. Cosa può fare l’Accademia dei Lincei? “La scuola è certamente al primo posto nei nostri pensieri e la Fondazione scuola – dichiara il Professor Giorgio Parisi – è lo strumento principe con cui interveniamo in questo delicatissimo settore. Questa fondazione, che esiste dal 2015, si occupa dell’organizzazione dell’attività di formazione professionale e di aggiornamento dei docenti. Sono stati attivati 22 centri didattici (detti poli) con la collaborazione di una trentina di università e accademie L’anno scorso sono stati erogati corsi a più di 5.000 insegnanti per un totale di quasi 1.500 ore. Queste attività sono potute andare avanti grazie al finanziamento di 750.000 euro da parte del MIUR per il triennio 2016-2018 e dai contributi di tantissime istituzioni private, che sarebbe troppo lungo nominare, ma che hanno tutta la nostra gratitudine. L’Accademia deve rafforzare il suo ruolo centrale nel dibattito culturale italiano diventando il luogo privilegiato dove vengono dibattuti scientificamente i principali problemi del Paese: bisogna arrivare a soluzioni condivise che trovino poi la loro realizzazione. Questa Accademia ha una grande tradizione in proposito: a Palazzo Corsini novantacinque anni fa un grande Presidente dell’Accademia, Vito Volterra, ha tenuto la riunione di fondazione del CNR, ente del quale Volterra era diventato il primo presidente, designato dalla stessa Accademia dei Lincei. Sfortunatamente quando Volterra prese una posizione pubblica contro il Fascismo, fu rimosso da Presidente del CNR. Questa pratica sciagurata di scegliere i presidenti degli Enti di ricerca in base al colore politico e non alle competenze scientifiche è un mal costume prosperato alla grande durante il Fascismo: basti pensare che il Generale Badoglio fu nominato presidente del CNR dopo Marconi. Ritornando ai nostri compiti vorrei ricordare che nel nostro Statuto è scritto che la nostra Accademia ha lo scopo di promuovere, coordinare, integrare e diffondere le conoscenze scientifiche nelle loro più elevate espressioni nel quadro dell’unità e universalità della cultura. Inoltre fornisce – su richiesta e anche di sua iniziativa – pareri ai pubblici poteri nei campi di propria competenza; eventualmente formula proposte. L’Accademia dei Lincei ha quindi il compito di far sì che le competenze scientifiche di entrambe le sue due Classi possano essere al servizio dell’opinione pubblica e dei pubblici poteri per permettere loro di orientarsi, specialmente prima di prendere quelle decisioni che dovrebbero essere basate su un’analisi rigorosa delle conoscenze. In altri Paesi di antica Democrazia, le Accademie sono interpellate ufficialmente dal Governo e dal Parlamento. Per esempio, la “National Accademy of the U.S.” ogni anno è convocata un centinaio di volte per audizioni al Congresso per presentare i risultati di studi commissionati dal Congresso durante il procedimento legislativo. Sarebbe ragionevole che anche in Italia l’Accademia dei Lincei venisse sistematicamente invitata in audizioni nel caso di leggi che coinvolgano questioni culturali e/o scientifiche. L’Accademia ha un enorme prestigio, accumulato nei secoli, e i suoi interventi possono avere una grande influenza. L’Accademia deve avere un ruolo importante nel progettare il futuro della Cultura nel nostro Paese in tutti gli ambiti in cui ha competenze, a partire dall’educazione scolastica. L’Accademia non deve essere timida, ma, come già fatto nel passato, deve alzare la sua voce senza mai allontanarsi dal rigore scientifico che deve caratterizzare i suoi documenti. I suoi scritti devono affrontare anche, e forse soprattutto, temi controversi, temi sui quali la società ha bisogno di avere informazioni affidabili per prendere decisioni. In questi casi la scientificità si raggiunge illustrando i meriti e i demeriti delle varie tesi, provando e riprovando, approvando e disapprovando, sulla scia del nostro grande socio Galileo Galilei. È importante che la sua voce venga udita da una platea il più possibile ampia e a questo scopo l’Accademia dovrà usare tutti i possibili strumenti di comunicazione. Dobbiamo rimboccarci le maniche, forse cambiare il nostro modo di scrivere in maniera che la nostra voce possa raggiungere un vasto pubblico, dobbiamo essere presenti con i nostri scritti sui giornali, in edicola, in libreria, in maniera da poter incidere efficacemente sul dibattito pubblico. Non sarà facile raggiungere tutti questi obiettivi, ma come vi dicevo prima, conto moltissimo sul generoso aiuto non solo dei Soci, ma anche di tutti coloro che sono interessati allo sviluppo culturale nel nostro Paese. Autorità, care Consocie e cari Consoci, Signore e Signori. Desidero ringraziarvi per essere presenti all’inaugurazione del 416mo Anno Accademico dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rivolgo a tutti un cordiale saluto di benvenuto e, in particolare, ai nuovi Soci dell’Accademia che portano una nuova linfa nella nostra istituzione. Essendo questa la mia prima inaugurazione dell’anno accademico in veste di Presidente, avendo assunto quest’incarico lo scorso agosto, voglio innanzitutto ringraziare tutti i Soci della fiducia dimostratami. Per Statuto quest’Accademia è costituita dai Soci e volevo ringraziarli per tutto il loro impegno nella gestione di quella che, in fondo, è la loro casa. Il compito assegnatomi è difficile e impegnativo, ma conto sul generoso aiuto dei soci e di tutte le persone esterne all’Accademia che ci hanno sempre supportato, a partire dall’associazione Amici dell’Accademia dei Lincei e al suo Presidente Umberto Quadrino e alla Fondazione Scuola che sta per diventare un’ala dell’Accademia. È enorme il numero delle persone che ci hanno dato una mano nelle varie circostanze. Senza questi interventi le capacità dell’Accademia non sarebbero sufficienti a realizzare i suoi vasti programmi. A tutti va la mia gratitudine sia per quello che hanno fatto nel passato sia per quello che faranno nel futuro. Come Presidente dell’Accademia e Presidente della Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, cercherò di proseguire l’opera dei miei illustri predecessori a cui va il mio più sentito ringraziamento. Vorrei fare un particolare ringraziamento ai qui presenti Lamberto Maffei, Alberto Quadrio Curzio e Maurizio Brunori. Vorrei anche ringraziare per tutto l’eccellente lavoro fatto, il precedente Consiglio di Presidenza e in particolare gli altri membri uscenti, l’Accademico Amministratore Aggiunto Pietro Rescigno e l’Accademico Segretario della Classe di Scienze Fisiche Matematiche e Naturali, Giancarlo Setti per il loro più che decennale impegno. Ritengo che la direzione di questa Accademia debba essere condotta il più possibile in maniera collegiale. Sono gratissimo al Presidente della Classe di Scienze Morali, Roberto Antonelli, all’Accademico Amministratore, Renzo Piva e al suo Aggiunto Alessandro Roncaglia, per la loro validissima opera e per i loro, quasi quotidiani, preziosissimi consigli. Come mi sono reso conto in questi primi mesi, il Consiglio di Presidenza è un organo fondamentale per la guida dell’Accademia: volevo quindi ringraziare i membri più anziani Annibale Mottana e Fulvio Tessitore, i nuovi membri, Giuseppina Barsacchi e Antonio Gambaro, i revisori dei conti, le dottoresse Angela Adduce e Flavia Cristiano e, in particolare, il nostro Socio Natalino Irti che ci illumina con la sua profonda cultura giuridica. L’Accademia funziona solo per l’enorme dedizione di tutto il personale, a partire dal Cancelliere, che riesce a non farci quasi sentire gli effetti dei tagli di personale. A tutti loro va la gratitudine, non solo mia, ma di tutti i Soci”. In effetti, la “revoca del fisico Roberto Battiston dalla presidenza dell’Agenzia spaziale italiana è un problema politico in cui la scienza c’entra poco”, conferma il famoso divulgatore scientifico Piero Angela, a margine dell’evento Focus Live al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Piero Angela è tra i primi protagonisti del mondo scientifico a commentare la rimozione di Battiston voluta dal titolare del Miur, il ministro Marco Bussetti del Governo Conte. Piero Angela non vuole dare consigli al ministro su come gestire la questione, “è meglio che ognuno si dia i consigli da solo – osserva Angela con tono scherzoso – non conosco bene la vicenda, ci stiamo chiedendo quali siano le ragioni: vedremo il seguito. Sembra un problema politico naturalmente, e come tale va valutato. La scienza c’entra poco”. Dopo la defenestramento di Roberto Battiston, pronto il decreto di commissariamento dell’Agenzia spaziale italiana che designa l’astrofisico Piero Benvenuti come commissario straordinario dell’Ente e come sub commissario l’avvocato Giovanni Cinque. Il commissario straordinario dell’Asi prevede di essere subito al lavoro: “Ho accettato questo incarico con spirito di servizio per il Paese – osserva Benvenuti – porterò avanti questo incarico fino all’insediamento del nuovo presidente, comunque per un periodo non superiore a sei mesi. Tutto è accaduto in maniera velocissima: sono stato contattato martedì – rivela all’Ansa il prof. Benvenuti – e il decreto veniva firmato la sera di Giovedì 14 Novembre 2018. Sono stato contatto dal ministro, che mi ha chiesto la disponibilità e ho accettato, soprattutto considerando il vuoto nella dirigenza dell’Ente alla luce dei suoi tanti impegni a livello nazionale e internazionale”. Originario di Conegliano (Treviso) Piero Benvenuti ha dedicato tutta la vita alla ricerca in campo astronomico, prima come docente all’Università di Padova, poi per all’Agenzia spaziale europea (Esa) e all’Osservatorio Europeo Australe (Eso). Dopo la laurea in Fisica nel 1970 all’Università di Padova, Benvenuti inizia la sua attività professionale come Astronomo all’Osservatorio di Asiago nello stesso ateneo. Nel 1977 si trasferisce all’Osservatorio Spaziale Iue dell’Agenzia Spaziale Europea, a Villafranca del Castillo (Madrid) e nel 1981 diviene staff member dell’Agenzia Spaziale Europea e assume la carica di Direttore dell’Osservatorio Iue. Dal 1984 al 2003 è responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble”, nella collaborazione Nasa-Esa, per conto dell’Agenzia Spaziale Europea e dirige il Centro Esa per il Telescopio Spaziale Hubble (Space Telescope European Coordinating Facility ) allo European Southern Observatory (Monaco di Baviera, Germania). Dal 1986 al 2005 è professore Ordinario di Astrofisica al dipartimento di Scienze Fisiche dell’Università di Cagliari dove, fino al 2003 insegna Astrofisica. Nel 2005 si trasferisce al dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova come ordinario di Astrofisica delle Alte Energie. Nel Giugno 2003 è nominato Commissario straordinario per la riforma dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) per poi diventarne presidente nel 2004. Nell’Aprile del 2007 si dimette volontariamente dall’incarico per rientrare in servizio al dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova. Il professor Benvenuti si occupa anche di divulgazione dell’Astronomia. Dirige l’edizione Esa/Eso “Astronomy Exercise Series” e collabora con la pagina scientifica del Corriere della Sera e con il telegiornale scientifico “Leonardo” della Rai di Torino. Nel Giugno 2007 è nominato consigliere di amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, per quattro anni terrestri, e in seguito è segretario generale dell’Unione Astronomica Internazionale (Uai). “Quest’ultimo incarico si concluso in Agosto e posso dire di conoscere bene l’Asi, l’Esa e la Nasa. Cercherò – rileva Benvenuti – di traghettare l’Asi fino al suo prossimo presidente. Dal punto punto di vista scientifico l’Asi è un Ente di ricerca che si colloca ai primi posti a livello internazionale e ha ottenuto risultati veramente eccezionali. La mia preoccupazione principale – conferma lo scienziato – è dare continuità ai progetti in corso e agli accordi internazionali che si stanno studiando e completando. Quello che è importante è dare un segnale verso l’estero, verso i partner come l’Esa, che non c’è interruzione, non c’è vacanza di guida” dell’Agenzia spaziale italiana. Alla domanda se accetterebbe eventualmente di restare, allo scadere del commissariamento, sulla poltrona di presidente, Benvenuti risponde: “È prematuro, io sono professore emerito in quiescenza e se il bando avrà limiti di età dovrò tenerne conto. In Asi, che peraltro conosco bene perchè sono stato già sub-commissario, mi farò aggiornare sulla situazione e i progetti ed entrerò in piena attività al più presto possibile”. Nel 2015 il prof. Benvenuti è il primo italiano ad essere nominato Segretario Generale della maggiore organizzazione di astronomi a livello internazionale, la International Astronomical Union (IAU). I suoi interessi scientifici includono lo studio del mezzo interstellare diffuso, delle regioni di formazione stellare e dei resti di Supernovae. Inoltre da molti anni si interessa attivamente di applicazioni informatiche nel campo dell’Astrofisica digitale, in particolare nel progetto di realizzazione dell’Osservatorio Astrofisico Virtuale (AVO). In effetti, nessuna sospensione provvisoria e urgente del decreto con il quale il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il 31 Ottobre 2018 ha revocato il fisico Roberto Battiston dalla presidenza dell’Asi. L’ha deciso con un decreto monocratico il presidente della terza sezione bis del Tribunale amministrativo del Lazio, Riccardo Savoia. Già contestualmente fissata il prossimo 4 Dicembre la trattazione del ricorso proposto da Battiston davanti al Tar in sede collegiale. Il presidente di sezione del tribunale ha considerato che “il provvedimento urgente inibitorio presidenziale – si legge nel decreto – è riservato dalla mera valutazione della sussistenza di un pregiudizio di particolare rilievo, che va esclusa ove sia disposta la tempestiva trattazione collegiale della domanda cautelare, compatibilmente con i carichi di lavoro della sezione, che come noto, eccedono da tempo ogni ordinaria misura”. Ma nei giorni scorsi si è appreso che sta viaggiando oltre le 15.000 firme la petizione online che chiede al ministro Marco Bussetti il reintegro del fisico Roberto Battiston alla presidenza dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). Cose dell’altro mondo, inconcepibili nelle moderne democrazie! Certo non deve essere stato piacevole per Roberto Battiston apprendere dal ministro Bussetti di essere decaduto con effetto immediato dall’incarico di presidente dell’Asi. Il ricercatore, sostenuto dalla stima della comunità scientifica mondiale, stava in effetti seduto su una poltrona bollente per ragioni politiche. Battiston infatti era stato nominato dal ministro, senza laurea, Valeria Fedeli. Cosa non digerita dal nuovo Governo del cambiamento giallo-verde del Premier Conte. Ancora più bollente, la poltrona dell’Asi, per ragioni varie. Contrariamente ad altri Enti di ricerca che impiegano quasi tutte le risorse che ricevono dallo Stato in stipendi, l’Asi ha il privilegio di una forte autonomia gestionale che le consente di destinare la maggior parte dei fondi a programmi spaziali quali l’osservazione della Terra, l’esplorazione dell’Universo, la Stazione Spaziale Internazionale. Ma non ancora la “guida” scientifica autonoma nel settore strategico industriale spaziale italiano. Non al personale interno, dunque, bensì a programmi a forte integrazione europea e internazionale filo diretta dall’estero, Usa in primis, che ha come primo beneficiario l’Agenzia spaziale europea. Per fare quattro conti, a fronte dei 600 milioni di euro che l’Asi riceve dal MIUR e altri ministeri, e dei 150 milioni di euro frutto della vendita di servizi, l’Asi spende il 3% negli stipendi dei suoi 230 dipendenti e l’87% in programmi spaziali prevalentemente internazionali eterodiretti. L’Italia è infatti il terzo contributore dell’Agenzia spaziale europea dopo Germania e Francia, per 350 milioni euro l’anno. Molti soldi pubblici, in sostanza, vengono gestiti dall’Asi come Agenzia di finanziamento in parte autonoma dal MIUR. A questo si aggiunga che l’Asi ha svolto in questi anni un ruolo centrale, ma non ancora autonomo, nella promozione della “Space Economy” italiana. Si dice che ogni euro speso per l’Economia dello Spazio (si pensi solo al sistema di posizionamento satellitare europeo Galileo) renda attualmente 7 euro, e che i 600 milioni di euro di fondo governativo per l’Asi generino già oggi un ritorno economico di 1,6 miliardi di euro. Per questo l’Asi può contare su un interessante portafoglio di società controllate, vale a dire Altec, Egeos, ELV, Cira, e Asitel. Ma dove sono gli Space Shuttle italiani? Dove sono le missioni umane italiane nello spazio profondo? La “Space Economy”, insieme agli interessi dell’industria militare, è tanto strategica per le prospettive future dell’economia italiana dei prossimi decenni da aver indotto il Governo a istituire nel 2017 il Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca spaziale. L’attuale governo Conte (M5S-Lega) ha dato la delega di questo nuovo organismo di controllo politico della ricerca a Giancarlo Giorgetti. La prima riunione del Comitato interministeriale per le politiche relative a spazio e aerospazio, si è svolta nel pomeriggio del 6 Settembre 2018, nella Sala Verde di Palazzo Chigi. Vi hanno partecipato 12 Ministri e il Presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni. Nel corso della riunione è stato approvato il Regolamento interno del Comitato; si è condivisa l’opportunità di costituire una Struttura di coordinamento per le politiche relative allo spazio, all’aerospazio e ai correlati servizi applicativi, che fungerà da organo collegiale per le istruttorie e organo di coordinamento dell’attuazione delle decisioni assunte in seno al Comitato stesso e si è condivisa la necessità di definire al più presto gli indirizzi del Governo italiano in materia spaziale e aerospaziale e le priorità su cui il Paese graviterà per sostenere la ricerca, l’innovazione tecnologica e la competitività del settore produttivo nazionale. Il Comitato, in attuazione della Legge 11 gennaio 2018, n.7 che lo istituisce e riordina la governance delle politiche spaziali nazionali, si riunisce sotto l’alta direzione del Presidente del Consiglio dei Ministri, cui è attribuita la responsabilità politica generale e il coordinamento delle politiche dei Ministeri relative ai programmi spaziali. La riunione è stata presieduta dal Sottosegretario Giancarlo Giorgetti, a cui il Presidente Conte ha delegato le funzioni relative al coordinamento delle politiche relative ai programmi spaziali e aerospaziali (http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_controllo_enti/2018/delibera_48_2018.pdf). Una poltrona molto bollente, insomma, e un boccone molto grosso, quello dell’Asi, che necessita di un uomo di fiducia del Governo, com’è normale che sia in una democrazia matura. Giancarlo Giorgetti ha quindi portato a compimento quello che da mesi era nell’aria: giubilare un presidente non manovrabile, che ha sempre interpretato l’impegno italiano nello spazio in stretta relazione con l’Europa e in particolare con i cugini francesi. Il Movimento 5 Stelle, che pure non nutriva simpatie per Battiston, pare non si sia accorto di quanto stava accadendo, tanto che il sottosegretario MIUR alla ricerca, Lorenzo Fioramonti, ha vivamente protestato su “Twitter” di non essere stato informato della decisione! Nel saluto che Roberto Battiston ha riservato al personale dell’Asi, ricorrevano le parole: “Senza l’Asi lo spazio non si fa”, e il frequente inciso “Se l’Asi rimane…”. Urge un Decreto Spazio del Premier Conte che metta ordine alle Politiche italiane dello spazio e nello spazio profondo: il Comitato interministeriale riuscirà a fare questa rivoluzione meritocratica, scientifica e tecnologica in nome del cambiamento, grazie alla liberalizzazione dell’impresa e dell’industria spaziale privata nel Belpaese? Quelle stupende immagini di “Star Trek X” con l’Italia vista da un’avveniristica Stazione Spaziale Mondiale nell’orbita alta terrestre, completamente differente dalla più “bassa” Iss, faccia riflettere chi di dovere. Tutti ricordano la visita di una rappresentanza delle commissioni IV e X della Camera dei deputati al padiglione spazio nel Salone Internazionale di Farnborough, in Inghilterra, Giovedì 19 Luglio 2018. La rappresentanza era composta da Gianluca Rizzo Gianluca, Presidente della IV commissione, Emanuela Corda e Matteo Perego di Cremnago, Barbara Saltamartini Presidente della X, Alex Bazzaro e Gianluca Benamati. L’allora Presidente Roberto Battiston, ricevuta la delegazione accompagnata dal consigliere parlamentare Annalisa Cipollone e dall’addetto economico dell’Ambasciata italiana a Londra, Francesca Dellapa, illustrò loro le molte attività spaziali in cui è impegnata l’Italia attraverso l’Asi, soffermandosi in particolare sulle scelte strategiche legate alla Space Economy, che valgono un giro di affari di ben 4,7 miliardi di euro. Il giorno precedente era stata una delegazione della Commissione Difesa del Senato a visitare lo stand dell’Asi. Scrive Alfredo Roma, già presidente dell’Ente Nazionale Aviazione Civile (Enac) e dell’European Civil Aviation Conference (Ecac), ex coordinatore nazionale del Programma Galileo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su Affari Internazionali: “Le Mani Politiche sulla Scienza era il titolo dell’articolo di Carlo Rovelli, apparso sul Corriere della Sera del 9 novembre a difesa dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e del suo presidente Roberto Battiston, rimosso con decreto del ministro della Ricerca scientifica Marco Bussetti in base alla legge 145 del 2002, il cosiddetto spoil system. Recentemente Sabino Cassese ha messo in luce i danni che lo spoil system ha spesso procurato alla Pubblica Amministrazione, con la perdita di alte professionalità. Nel suo articolo Rovelli ricordava che Battiston è un astrofisico italiano di livello internazionale, professore all’Università di Trento, padre – insieme al premio Nobel Samuel C.C. Ting – dello strumento AMS-2, montato sulla Stazione Spaziale Internazionale, che fa misure di precisione dei raggi cosmici nello spazio (a caccia di Antimateria, NdA). Nei suoi quattro anni di presidenza, Battiston ha fatto fare un considerevole salto di qualità alle attività dell’Asi, ed è stato artefice, tra l’altro, dell’accordo tra l’Asi, l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) e l’americana Federal aviation administration (Faa) per la costruzione di uno spazioporto a Grottaglie, da cui potranno essere lanciati veicoli spaziali per voli sub-orbitali. Rovelli si è detto stupito per il fatto che a destituire Battiston fosse stato un ministro presumibilmente senza particolari competenze in materia spaziale. Dobbiamo purtroppo ricordare la triste storia della ricerca scientifica italiana, da sempre ignorata dai nostri governi. Quando negli Anni Sessanta e Settanta il Pil cresceva a tassi del 10-12%, permettendo quindi consistenti investimenti nella ricerca, i governi duravano sei mesi e non potevano avere quella visione di lungo termine che l’investimento in ricerca richiede. Quando i governi hanno cominciato ad avere una vita più lunga era troppo tardi perché i tassi di crescita erano modesti. Ma bisognava comunque rivedere la spesa pubblica e trovare le risorse per la ricerca, per restare almeno nella media europea dei tassi di investimento, che anche ora non riusciamo mai a raggiungere. La Space Economy sta avendo un grande sviluppo, soprattutto perché le attività spaziali, un tempo sviluppate solo dagli Stati sovrani, ora sono state aperte ai privati che hanno compreso l’enorme potenziale di sviluppo che questo settore può avere. Della Stazione spaziale internazionale (Iss) conosciamo ormai molte cose, grazie anche ai nostri astronauti, tra i quali Samantha Cristoforetti. Si costruiranno altre stazioni spaziali (ci stanno provando i cinesi) o una base lunare dalla quale partiranno missioni spaziali dirette verso altri pianeti. Il turismo spaziale con voli suborbitali è ormai alle porte e sono già programmati voli commerciali spaziali in orbite basse che potranno collegare Londra a Sydney in circa due ore. Questo anche grazie a SpaceX che ha aperto l’era dei lanciatori riusabili (spendable rockets). L’estrazione di minerali rari e preziosi dai meteoriti (space mining) è già allo studio da parte di imprese private. Un trattato giuridico di 350 pagine sullo Space Mining è già stato pubblicato. Nella Stazione spaziale internazionale sono in corso diversi esperimenti di botanica, biologia, su diversi metalli e per lo stoccaggio dell’energia solare. Negli ultimi 30 anni sono stati lanciati nello spazio diverse migliaia di satelliti e altri oggetti spaziali. Molti di questi satelliti sono arrivati alla fine della loro vita creando pericolosi detriti spaziali (space debris) che dovranno essere parcheggiati in un “cimitero per detriti” perché si tratta di oggetti che viaggiano a velocità elevatissime e che, anche se piccoli, in caso di collisione possono distruggere un satellite in funzione per attività importanti, come le telecomunicazioni, il posizionamento (Gps, Galileo, Glonass, Compass Beidou) o di osservazione della Terra (Copernicus). Per risolvere questo problema, l’Agenzia spaziale europea (Esa) lavora a due progetti complessi, ai quali partecipa anche l’Asi, essenziali per le future attività spaziali. Ultimamente si è parlato di “popolamento dello spazio”, della costruzione di un villaggio lunare (Moon Village) con costruzioni realizzate con la tecnica 3D (insieme alla Russia, NdA). Il  20 Ottobre dalla base di Kourou, nella Guiana francese, è partita la missione spaziale Bepi Colombo, nella quale l’Asi ha avuto un ruolo importante. L’obiettivo della missione è cercare di fare chiarezza circa il misterioso magnetismo di Mercurio e confermare alcune previsioni della Relatività Generale. Il nome della missione è un omaggio a Giuseppe (Bepi) Colombo, l’astronomo italiano che negli Anni Settanta indicò alla Nasa la traiettoria per la sonda Mariner 10. Questa breve descrizione delle attuali e future attività spaziali mostra chiaramente quali profonde conoscenze scientifiche siano necessarie per avere un ruolo nel contesto internazionale: una materia che è in costante evoluzione, sia scientifica che normativa. Infatti è apparsa evidente la necessità di rivedere il Corpus Juris Spatialis in essere, cioè i Trattati sullo spazio e le convenzioni internazionali che governano lo spazio, a cominciare dall’Outer Space Treaty del 27 gennaio 1967. Questa revisione è in corso da parte della Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (Copuos –  United Nations Committee on the Peaceful Uses of Outer Space) creato nel 1958, subito dopo il lancio dello Sputnik, con la una risoluzione delle Nazioni Unite. In questo scenario l’Agenzia spaziale italiana occupa il ruolo principale per difendere gli interessi del nostro Paese. Il ruolo dello Stato dovrebbe essere quello di coordinare l’azione dei diversi attori anche nei rapporti con gli organismi internazionali, come fu fatto per il programma Galileo, facendo quello che si chiama Sistema Paese, ma lasciando libera la ricerca. E soprattutto evitando di sostituire senza ragione uomini di scienza che hanno servito in modo eccellente il nostro Paese, solo perché nominati da un altro governo o, peggio ancora, per appropriarsi di un settore che promette un grande sviluppo. Dalle statistiche internazionali appare chiaro che il principale problema del nostro Paese è quello che riguarda la sottocultura e la sotto scolarità. Questa è una delle principali ragioni della nostra modesta crescita economica, perennemente al di sotto della media europea: perché è nella scuola, nella ricerca, nella cultura che si pongono le basi per l’innovazione, e quindi per un alto valore aggiunto, e la conseguente competitività del nostro sistema produttivo. Ai vertici delle principali agenzie spaziali in Francia, Germania, Gran Bretagna e Cina, ci sono scienziati. Per la prima volta Trump ha messo un politico al vertice della Nasa”. L’Articolo 4 del primo Trattato sullo Spazio del 1967, ratificato anche dall’Italia, stabilisce, inter alia, che “gli Stati contraenti utilizzano la Luna e gli altri corpi celesti a scopi esclusivamente pacifici”. Uno scienziato al vertice dell’Asi si potrebbe definire “costituzionale” in base alle leggi spaziali. E di certo sarebbe fortemente apprezzato da parte degli organismi delle Nazioni Unite e da parte degli altri Paesi membri dell’Agenzia spaziale europea, dell’Unione europea e della russa Roscosmos. Scrive l’AdnKronos l’11 Febbraio 2018: “La riforma della governance delle attività spaziali italiane è approdata in Gazzetta Ufficiale e il provvedimento, che segna una svolta significativa per l’Italia in orbita, entrerà in vigore il 25 febbraio, ad passo dall’appuntamento elettorale del 4 marzo. La norma tocca uno dei settori di punta del Paese con nuove misure per il coordinamento della politica spaziale e aerospaziale e importanti disposizioni sull’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia spaziale italiana. Di fatto, la nuova legge fa decollare politicamente la Space Economy nazionale, inserendola “nel quadro europeo con un punto di forza per il nostro Paese perchè come noi, in Europa, solo la Francia ha una cinghia di trasmissione così breve e strategica come richiedono le attività spaziali”, come ha scandito all’Adnkronos il Presidente dell’Asi, Roberto Battiston, quando la X Conferenza sulla politica spaziale europea del 23 gennaio scorso era nel vivo a Bruxelles. E proprio per “assicurare l’indirizzo e il coordinamento in materia spaziale e aerospaziale anche con riferimento ai servizi operativi” che ne derivano, con la nuova legge nasce “il Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale” che decolla dalla “Presidenza del Consiglio dei ministri”. Con una regia politica e scientifica ben precisa. In base agli obiettivi della nuova legge spaziale italiana, ancora bisognosa di un Decreto Spazio attuativo, la norma sancisce infatti che il “Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto da adottare entro quindici giorni” dalla data di entrata in vigore della disposizione, “individua il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche spaziali e aerospaziali e l’ufficio della Presidenza del Consiglio responsabile delle attività di supporto, coordinamento e segreteria del Comitato”. E quanti siederanno a quel tavolo avranno davanti un “orizzonte degli eventi” che può diventare cruciale per il Sistema Paese, visto che proprio l’Agenzia spaziale europea valuta che, per ogni euro investito nello spazio, l’economia registra 7 euro di ritorni economici. Inoltre il contesto della Space Economy vale ormai globalmente oltre 290 miliardi di euro, come più volte ha ricordato dal numero dell’Asi. Lo spazio, insomma, è scienza che produce conoscenza ma è anche una spinta per individuare tecnologie all’avanguardia che stanno cambiando il paradigma della vita dei cittadini. Un quadro chiaro alla Ue tanto che quest’anno il summit di Bruxelles ha acceso un faro proprio su “Economia e Società” e al panel per le industrie, a Palazzo d’Egmont, la Space Economy ha dato ulteriori segnali di vivacità”. È emersa con chiarezza, ad esempio, la crescita del mercato globale dei servizi e delle applicazioni spaziali, con un incremento dell’8-10% annuo per il settore dell’Osservazione della Terra, mercato più recente e giovane. Come conferma Luigi Pasquali, Coordinatore delle attività spaziali del Gruppo Leonardo e amministratore delegato della controllata Telespazio. Insomma, anche la norma della nuova governance spaziale traccia la strada della space economy come capitolo di competività. L’Italia, attraverso l’Asi è, dopo gli Stati Uniti d’America, la nazione con più strumenti su missioni che hanno osservato ed osservano i corpi del Sistema Solare. Con il lancio di BepiColombo, anche Mercurio sarà studiato grazie alla nostra capacità di realizzare ed usare strumenti innovativi. Sebbene accadrà tra molti anni. Perché non è una missione diretta. Ma una decelerazione controllata! Un’eccellenza scientifica e tecnologica che è cresciuta, anche in forza di un rapporto pluridecennale con la Nasa ed in particolare con il Jet Propulsion Laboratory. Questi grandi risultati sono stati conseguiti attraverso il lavoro lungo e costante e la competenza del personale che all’Asi lavora. Il JPL ha voluto dare un riconoscimento per gli oltre 30 anni di traguardi comuni raggiunti al prof. Enrico Flamini, ex Chief Scientist dell’Asi, ma anche Program Manager della partnership per la Missione Cassini, la sonda da tre miliardi euro fatta bruciare nell’amosfera di Saturno invece di essere spedita nelle profondità dello spazio interstellare, responsabile della partecipazione congiunta a varie missioni e chiamato da Nasa/Jpl a dare il suo contributo di esperienza al “Mars Program Exploration System Engineering Team” quando fu necessario superare i problemi incontrati con le missioni fallite nel tra il 1998 e il 2000. Nel corso di una breve cerimonia il Direttore del Jpl, dr. Mike Watkins, ha consegnato a Flamini una targa commemorativa che sotto l’immagine di Saturno riporta: “In appreciation of your outstanding leadership and years of collaboration in exploring the Universe”. Un apprezzamento personale certo, ma anche e soprattutto un’altra testimonianza dell’eccellenza dei rapporti con l’Asi e l’Italia. A proposito della Missione Cassini, il cui “suicidio” assistito è stato programmato nei minini dettagli con celebrazioni in pompa magna dagli ambienti scientifici italiani, tante lacrime e altrettanta incoscienza scientifica e culturale. Il 15 Settembre 2017 è un giorno storico che sarà difficile da dimenticare. A vent’anni dal suo lancio nello spazio, vengono ordinate e scritte le ultime pagine della celebre missione Cassini, dedicata a Saturno e al suo sistema di lune. Una storia iniziata il 15 Ottobre 1997 dalla base statunitense di Cape Canaveral (dove la sonda e il lander Huygens sono partiti a bordo del gigantesco vettore Titan IV-B/Centaur) e terminata quando la sonda con “successo” è stata fatta precipitare con un’ultima, estrema e pericolosa manovra. Il fatale “tuffo” atteso da 13 anni, cioè da quando nel 2004 la sonda è giunta nell’orbita del sesto pianeta del Sistema Solare, cancella dallo spazio profondo molta tecnologia made in Italy e tanta cultura scientifica del Belpaese. Il “Gran Finale”, come viene definito, è preceduto l’11 Settembre, dall’ultimo flyby (volo ravvicinato) attorno alla luna Titano, necessario per modellare adeguatamente l’orbita della sonda. Titano ancora una volta funge da fionda gravitazionale. Per questo “bacio d’addio”, come viene chiamato, la navicella spaziale Cassini passa a 119mila chilometri sopra la superficie di Titano. Tra il 13 e il 14 Settembre, Cassini scatta l’ultimo grandangolare di Saturno e dei suoi anelli, osserva Encelado dietro al pianeta e sbircia le nuvole di Titano. Si assicura che “Peggy”, un pezzo di materiale sul bordo dell’anello A, fosse al suo posto come sempre. Lo strumento italiano Vims (Visual and Infrared Mapping Spectrometer) che avrebbe dovuto navigare per sempre nello spazio cosmico, osserva il sito di impatto finale, sul lato notturno di Saturno. Il tuffo mortale è solo l’ultimo di un totale di 22 “immersioni” nell’atmosfera saturniana. Proprio l’ultima manovra comporta l’inevitabile fine della missione. La sonda può però inviare sulla Terra i suoi ultimi, importantissimi, dati scientifici sulla composizione chimica dell’atmosfera e del pianeta. La perdita segnale avviene alle 13:55:46 ora italiana, a 1510 chilometri sopra le nubi superiori di Saturno. Ovviamente i propulsori non erano stati progettati per un atterraggio, ma solo per un’ulteriore spinta nello spazio profondo: l’attrito con l’atmosfera brucia e distrugge il veicolo spaziale con a bordo l’Italia! La Cassini-Huygens è una missione robotica realizzata in collaborazione tra Nasa, Esa (Agenzia Spaziale Europea) e Asi (Agenzia Spaziale Italiana). La sonda consiste di due elementi: l’orbiter Cassini fornito dalla Nasa e la probe Huygens fornita dall’Esa. Dato che nessun lanciatore esistente all’epoca avrebbe potuto inviare direttamente su Saturno un manufatto di 5600 chilogrammi (tanto era il peso complessivo al lancio della sonda) la missione è riuscita ad arrivare nel sistema saturniano grazie alla tecnica di navigazione spaziale della “gravità assistita” (flyby). Per effettuare viaggi interplanetari è necessario sfruttare la cosiddetta fionda gravitazionale, cioè la spinta data da altri corpi nello spazio. La sonda Cassini ha usufruito di ben quattro spinte gravitazionali planetarie: due con passaggi ravvicinati su Venere, una sulla Terra e una su Giove. Il 1° Luglio 2004, dopo 7 anni di viaggio all’interno del Sistema Solare, la Cassini accende il suo motore principale per rallentare ed entra nell’orbita del pianeta Saturno dove inizia la prima fase di missione inizialmente prevista della durata di 4 anni, ma effettivamente andata avanti per 13 anni, dedicata allo studio del pianeta, delle sue lune, degli anelli e del suo campo magnetico. Nel corso di oltre un decennio, gli strumenti scientifici a bordo di Cassini hanno permesso di approfondire la conoscenza della composizione, della struttura e delle proprietà fisiche e dinamiche del sistema di Saturno. Durante il tour del sistema di Saturno, la sonda Cassini completa un gran numero di orbite intorno al pianeta e alla luna Titano, e numerosi flyby molto ravvicinati con le altre lune. Accendendo e puntando i numerosi strumenti di bordo, la sonda può raccogliere preziose informazioni su tutti questi obiettivi scientifici mai studiati prima. L’avventura della Cassini-Huygens comincia il 15 Ottobre 1997, a Cape Canaveral in Florida, quando un razzo Titan IV spedisce in orbita due tra i più costosi e sofisticati apparecchi finora mai costruiti dalla specie umana: un groviglio di sensori e apparecchiature per oltre due tonnellate di materiale, come un grosso Suv, alle quali vanno aggiunte altre tre tonnellate abbondanti di carburante. Poco più di sei anni dopo, compiuto un viaggio di un miliardo e mezzo di chilometri, la sonda Cassini e il lander Huygens raggiungono finalmente l’orbita di Saturno, e iniziano la loro missione di esplorazione. Durante i tredici anni successivi, Cassini invierà verso la Terra migliaia di immagini e di dati riguardo al complesso e delicato sistema di anelli e di lune attorno al più spettacolare gigante gassoso del “nostro” Sistema Solare. Le incredibili immagini di Saturno, di Encelado e della superficie di Titano hanno rotto la barriera che divide la comunità scientifica dal pubblico, e grazie alla loro bellezza sono entrate a far parte della cultura popolare, cambiando per sempre la nostra percezione del Sistema Solare ancora tutto da esplorare e scoprire, e la nostra posizione in esso. Scrive Nini D’Amico: “La giornata odierna rappresenta il coronamento non di uno, ma di ben due ambiziosi progetti scientifici: la sonda Cassini-Huygens si tuffa nell’atmosfera di Saturno, ultimo atto di un viaggio straordinario durato vent’anni e che ha enormemente ampliato la nostra conoscenza dell’Universo, e questo gran finale segna anche il debutto della Sardinia Deep Space Antenna (Sdsa), ovvero la configurazione del Sardinia Radio Telescope per il Deep Space Network a supporto di missioni interplanetarie, equipaggiando in modo adeguato lo straordinario telescopio realizzato dall’Inaf. Questo progetto, destinato allo studio dell’Universo e dei suoi misteri, è stato reso possibile dalla stretta collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, la Regione Sardegna che  rafforza sempre di più il suo ruolo nella rete mondiale dell’aerospazio, e il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca. Un lavoro che dimostra che l’Italia, quando fa squadra, è in grado di raggiungere risultati straordinari. La missione Cassini – osserva Nini D’Amico – segna la fine di un percorso, la configurazione per lo spazio profondo dell’Srt rappresenta l’inizio di un nuovo cammino. In comune c’è la scienza italiana che dimostra ancora una volta di essere ai vertici nel mondo. Gli accordi stipulati tra Asi e Inaf per l’utilizzo dell’Sdsa prevedono attività in comune su una molteplicità di possibili impieghi, capacità che sarà ulteriormente incrementata in fasi successive per dare al Paese una piena “deep space ground capability” che permetterà all’Italia di essere sempre più coinvolta nelle missioni interplanetarie in corso e future. Il Sardinia Deep Space Antenna a partire da gennaio diventerà ufficialmente operativo nell’ambito del Deep Space Network della Nasa, ma fornirà servizi di comunicazione e navigazione anche per le sonde interplanetarie europee, specializzandosi in particolare per quelle marziane, in vista della Human Exploration del pianeta. Un capitolo ancora tutto da scrivere nella storia dell’uomo. Il capitolo che si conclude oggi viene parte invece da molto lontano, quando un altro italiano, Giovanni Domenico Cassini, che fu professore di astronomia all’Università di Bologna e divenne nel 1671 il direttore dell’Osservatorio di Parigi, un precursore della collaborazione scientifica internazionale, scoprì quattro satelliti di Saturno. Scoprì inoltre la Divisione di Cassini negli anelli di Saturno, a lui intitolata. Oggi la sonda, che porta il suo nome per onorarne la memoria – spiega Nini D’Amico – sparirà nell’atmosfera del pianeta che fu oggetto delle sue osservazioni, ma nel nostro Paese la strada che Cassini ha aperto è percorsa da tantissimi scienziati, molti dei quali lavorano all’Inaf. Molte delle scoperte sensazionali fatte nel corso di questa lunghissima missione sono state rese possibili grazie al loro contributo alla strumentazione della sonda: quattro sono i membri del Team Scientifico dello spettrometro Vims e tre i participating scientists, tutti dell’Istituto di Astrofisica e planetologia spaziali di Roma dell’Inaf. Hanno prodotto circa il 20 per cento delle pubblicazioni scientifiche generate dai dati dello strumento, che si è dimostrato uno dei principali a bordo della sonda. Una grande soddisfazione per il nostro Istituto, viste le sbalorditive scoperte che è stato possibile fare nel corso di questi 10 anni grazie al contributo di Vims: dimostrare che Phoebe si è formato lontano dal Sole e che Saturno lo ha catturato nelle fasi primordiali del Sistema solare, dimostrare che i laghi di Titano sono formati da idrocarburi, supporre la presenza di un oceano liquido sotto la crosta ghiacciata di Encelado. E chissà quali altre sorprese ci attendono in questo ultimo tuffo che ci porterà un passo più avanti nella comprensione del nostro Universo”. Per “onorarne la memoria”, naturalmente, giunge il momento dell’addio e delle lacrime di “commozione” della scienza italiana! La Cassini, la navicella spaziale con tanta Italia nel “cofano”, che in vent’anni ci ha regalato tante scoperte ed emozioni su Saturno e il suo sistema di satelliti, viene suicidata con uno “storico” tuffo nell’atmosfera del Signore degli Anelli. Tuffo che comporta non solo la distruzione della sonda, ma anche della cultura scientifica popolare italiana. La sonda nucleare Cassini non era priva di carburante! Le numerose scoperte effettuate nei tredici anni di attività della sonda, tra cui quelle dell’acqua liquida sul satellite Encelado e dell’atmosfera simile a quella della Terra primordiale sul satellite Titano immortalato anche da Star Trek, rivelate anche dalla sonda secondaria europea Huygens sganciata dalla Cassini, suggeriscono come questi due mondi possano ospitare ambienti “abitabili”. Perché fu deciso che la tomba di Cassini dovesse essere Saturno? In quel della Nasa, dell’Esa e dell’Asi, dicono: “in modo da evitare la contaminazione delle due lune con radioisotopi rilasciati dalla sonda, in vista di studi futuri sulla loro abitabilità”. Il 25 Aprile 2017 inizia la manovra verso l’inesorabile “gran finale di Cassini”, una successione di 22 orbite spericolate tra gli anelli, durante le quali la sonda si avvicina sempre più al gigante gassoso, inviando dati ed immagini senza precedenti. Un vero spettacolo dall’inizio alla fine della missione, ma anche oltre, vista la scia di polemiche nucleari sparse su tutto il Sistema Solare. Ci sarà ancora tanto lavoro da fare per analizzare i dati di inestimabile valore raccolti dalla sonda nucleare. Insomma, possiamo consolarci: non finisce davvero qui. E il Decreto Spazio del Governo italiano dovrà tenerne conto per non permettere mai più che una navicella di tre miliardi di euro con tecnologia italiana venga distrutta in pochi istanti di “gloria”. Quando sappiamo che ben altre sonde più “venefiche” made in Usa viaggiano ancora regolarmente nel Cosmo con la bandiera americana in bella vista, l’unica finora piantata sulla Luna per ben sei volte! Per celebrare il suicidio della Cassini, il 15 Settembre 2017 sono previste alcune iniziative pubbliche a cura dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) o con la sua partecipazione! Una sequenza di immagini mozzafiato, raccolte dalla sonda Cassini della Nasa, mostra ciò che ha visto la sonda spaziale durante il suo primo storico tuffo tra Saturno e i suoi anelli, avvenuto il 26 Aprile. Il video raccoglie un’ora di osservazioni, a partire dal vortice al centro della struttura esagonale che si trova al Polo Nord saturniano, per arrivare oltre i bordi di questa intrigante formazione vorticosa. “Sono rimasto colpito nel vedere dei bordi così netti lungo l’esterno dell’esagono e del vortice – racconta Kunio Sayanagi, membro del team di imaging di Cassini alla Hampton University, che ha contribuito alla realizzazione del video – ci dev’essere qualcosa che impedisce alle diverse latitudini di mischiarsi, per avere dei bordi tanto precisi”. Verso la fine del filmato (https://www.youtube.com/watch?v=JT2an5Am1SM) il punto di osservazione della camera ruota, questo perché la sonda cambia orientamento per puntare la sua antenna verso la direzione in cui si sta muovendo. L’antenna infatti viene utilizzata come uno scudo protettivo durante l’attraversamento del piano degli anelli. Durante la raccolta delle immagini la sonda Cassini scende da una quota di circa 72.000 km a una distanza inferiore ai 7.000 km dalle nubi di Saturno. Questo si traduce in una risoluzione che passa da circa 8.7 km per pixel, nelle prime immagini, e arriva fino a 800 metri per pixel negli scatti finali. “Le immagini raccolte durante il primo passaggio sono meravigliose, ma c’è da considerare che siamo stati prudenti con le impostazioni della camera – spiega Andrew Ingersoll, membro del team di imaging al Caltech – abbiamo in programma di utilizzare un approccio differente per il 28 Giugno, quando si presenterà un’occasione simile. Riteniamo di poter ottenere immagini ancora migliori”. Gli ultimi mesi di attività della sonda Cassini si prospettano ricchi di emozioni e immagini spettacolari. Gli ingegneri orientano l’orbita in modo da aumentare la sua inclinazione rispetto all’equatore di Saturno e dei suoi anelli. Il 30 Novembre 2016, grazie a una spinta gravitazionale da parte della luna Titano, Cassini entra ufficialmente nella fase finale della sua lunga e incredibile missione. Tra la fine di Novembre e la seconda metà di Aprile 2017, la sonda sorvola i poli di Saturno, compiendo 20 orbite complete, una ogni 7 giorni. “Durante questa fase della missione sorvoliamo il bordo esterno degli anelli – ricorda Linda Spilker, projects scientist di Cassini al Jet Propulsion Laboratory della Nasa – abbiamo a disposizione anche due strumenti in grado di raccogliere le particelle e i gas incontrati dalla sonda mentre attraversa il piano degli anelli”. Nel corso dei vari passaggi, gli strumenti a bordo di Cassini cercano di campionare direttamente le particelle degli anelli e le molecole di gas presenti sul loro tragitto. A fine Marzo la sonda attraversa le zone più esterne e polverose dell’anello F, che segna il confine ultimo del sistema principale di anelli. Le immagini raccolte finora mostrano che questo anello è in continua evoluzione, con bagliori, filamenti e zone oscure che si muovono lungo la sua struttura (circa 800 km di larghezza) variando in tempi scala di ore. Oltre allo studio dettagliato degli anelli, le orbite dei mesi successive permettono alla Cassini di osservare da vicino le lune che orbitano nei pressi o all’interno degli anelli stessi, come Pandora, Atlas, Pan e Dafni. Alcune delle immagini arrivano a un livello di dettaglio confrontabile solo con quanto ottenuto nei primi mesi successivi al suo arrivo, ovvero circa 1 km per pixel. Inoltre, a Marzo, quando viaggia nel cono d’ombra di Saturno, Cassini ha l’occasione di osservare gli anelli retroilluminati dal Sole. La speranza era di catturare sbuffi di polvere espulsi da impatti meteorici. In seguito a questa serie di orbite ravvicinate, da una quota di circa 90mila km, la sonda inizia un’ulteriore discesa, portandosi a una distanza di circa 1600 km dalle nubi di Saturno. Dopo 20 anni passati nello spazio la missione si conclude il 15 Settembre 2017. “Questo atto finale è dovuto al fatto che la sonda sta terminando il proprio carburante”, spiegano alcuni scienziati, ignorando l’appello di altri a indirizzarla altrove, nello spazio profondo, verso i confini esterni del Sistema Solare! Il team responsabile delle operazioni di volo pianificano accuratamente le manovre per portare la sonda a tuffarsi nell’atmosfera del pianeta Saturno, “proteggendo così le lune potenzialmente abitabili del suo sistema”, ribattono altri scienziati che evidentemente ignorano le prossime missioni umane di esplorazione mineraria diretta in situ con sonde e trivelle di perforazione potenzialmente “contaminate”! Il “4 dicembre prossimo è in programma una breve accensione del suo motore. Sarà la 183esima e ultima accensione del motore principale – spiega Earl Maize, project manager di Cassini – avremo comunque la possibilità di utilizzarlo di nuovo, ma il piano è di completare le manovre restanti utilizzando solo i razzi propulsori”. A riprova del fatto che il carburante della sonda nucleare Cassini non era affatto esaurito. Per prepararsi al meglio al suo tuffo finale, Cassini osserva l’atmosfera di Saturno durante tutta la fase di sorvolo degli anelli. In questo modo può determinare con precisione quanto l’atmosfera del pianeta sia estesa, dato che negli anni gli scienziati hanno notato che la regione più esterna si espande e si contrae con il cambiare delle stagioni. Lo studio dettagliato di questa variabilità consente al team Cassini di determinare quale sia la quota ottimale per far volare la sonda in tutta sicurezza. Beh, nello spazio profondo il periodo dei tuffi non è neanche cominciato. La fine di Settembre del 2016 e del 2017, segna un periodo di addii per due missioni che abbiamo imparato ad amare negli ultimi anni. Rosetta e Cassini. Il 30 Settembre la sonda Rosetta dell’Esa affronta la manovra più importante nonché la più rischiosa dell’intera missione, anche se di momenti mozzafiato ce ne sono stati già parecchi durante questi anni: orbitare sempre più vicino fino a toccare la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. E anche per la Cassini, in cui l’Italia gioca un importante ruolo scientifico, che getta letteralmente alle ortiche la presenza italiana tra gli anelli di Saturno, per “immolarsi” nell’atmosfera del pianeta che la distrugge. In questi anni, la sonda Cassini ha raccolto circa 600 giga di dati, scoperto 10 nuove lune, inviato circa 380mila immagini, e ha percorso 2,2 miliardi di miglia dal suo arrivo nell’Anno Domini 2004. Linda Spilker, a capo del progetto Cassini per il Jet Propulsion Laboratory, parlando del “Gran Finale” dichiara che “si tratta di una nuova missione dal valore scientifico inestimabile”. La missione Cassini descrive orbite petalose intorno a Saturno ed alla sue lune fin dal 2004. La maggiore attenzione è stata riservata a Titano, la più grande luna di Saturno, che è stato sorvolata oltre 120 volte. Durante il passaggio del Gennaio 2005, la Cassini era stata di supporto alla sonda europea Huygens che, durante la discesa e appena dopo essersi posata sulla gelida superficie sabbiosa, aveva avuto bisogno del suo aiuto per inviare i dati sulla Terra. La grande antenna di Cassini, costruita in Italia dall’Agenzia spaziale italiana, aveva ricevuto e rispedito i dati con la prima emozionante foto della superficie di Titano, prima di spegnersi per sempre. Le immagini della discesa avevano anche rivelato un complesso sistema idrologico con delta di fiumi che sfociano in laghi. Quale liquido modella la superficie? Su Titano fa un freddo gelido e a meno 180 gradi Celsius l’unica cosa che può scorrere è il Metano liquido, insieme ad altri idrocarburi. Il Metano è presente su Titano anche allo stato gassoso e conferisce il classico colore giallastro all’atmosfera di questo corpo celeste primordiale. I molti passaggi successivi hanno poi rivelato cambi stagionali sulla superficie della grande luna di Saturno, i cui laghi si espandono e si contraggono probabilmente a seguito di precipitazioni di Metano legate ai cicli stagionali. In mondo alieno, nuovo e affascinante come Titano, il corpo più lontano sul quale si sia posato con successo un oggetto terrestre opera dell’industria europea, bisogna tornare con una spedizione umana! Ancora più spettacolari i risultati ottenuti da una ventina di fuggevoli incontri con Encelado, un satellite di algida bellezza coperto di uno spesso strato di ghiaccio che racchiude e protegge un vasto oceano salato. L’interazione gravitazione con Saturno, deforma la superficie ghiacciata di Encelado. Lo stress fessura il ghiaccio e causa la formazione di lunghe spaccature caratterizzate da un colore diverso rispetto al ghiaccio circostante. Immagini che avevamo sognato guardando la serie televisiva Star Trek Voyager. Dai crepacci che tagliano lungo linee parallele il Polo Sud del satellite naturale di Saturno, sono state visti emergere pennacchi di gas e vapore che hanno affascinato gli scienziati insieme al pubblico. Si estendono per centinaia di chilometri e riforniscono di materiale fresco l’ultimo degli anelli di Saturno, quello noto come E. Sorvolando la superficie ad altezza di 50 km, la Cassini ha attraversato le colonne di gas e le ha analizzate per capirne la composizione. I getti rappresentano una eccezionale finestra sull’oceano sottostante e possono dire cosa succede sotto la spessa coltre di ghiaccio. Lo spettrometro di massa della Cassini ha pesato le molecole, riconoscendo l’Acqua, il Metano, l’Anidride Carbonica, i Composti Organici e l’Idrogeno molecolare. La ricetta base della vita aliena! È su quest’ultimo che si è focalizzata l’attenzione perché la presenza di Idrogeno molecolare punta verso le reazioni chimiche che avvengono in prossimità dei camini idrotermali dei nostri oceani terrestri in piena oscurità. Visto che queste zone del fondo del mare, pur completamente prive di luce solare, pullulano di vita che ricava la sua energia dal calore vulcanico e dalle reazioni chimiche che avvengono tra i metalli liberati e l’acqua, è immediato immaginare che qualcosa di simile potrebbe accadere anche negli oceani di Encelado. Anche qui una missione umana dovrebbe essere programmata al più presto. Ospitare l’unico altro esempio di attività idrotermale del Sistema Solare, ha fatto assurgere Encelado agli onori della cronaca scientifica con l’annuncio delle misurazione dell’Idrogeno molecolare. Questo non significa che su Encelado si sia vista prova di vita sottomarina aliena, ovviamente. La Cassini non era equipaggiata all’uopo. Quella che si è vista è la sorgente di energia che potrebbe sostenere la vita aliena, così come succede nel fondo dei nostri mari. Un ottimo motivo per tornare a visitare direttamente Encelado in situ, con una missione umana, a bordo di una vera Astronave interstellare dotata di strumenti e sonde adatti alla ricerca di vita sottomarina. La Cassini poteva fare molto di più. Dopo 13 anni di onorato servizio, la sonda non aveva finito il carburante fondamentale per controllare la sua traiettoria e farle descrivere le orbite a petalo pensate per permettere gli incontri ravvicinati con le lune di Saturno ed i suoi anelli. E, invece, si è preferito il Grand Finale articolato in 22 passaggi sempre più ravvicinati fino al 15 Settembre 2017 quando, con le ultime gocce di carburante, la sonda nucleare è stata diretta nell’atmosfera di Saturno. Il  22 Aprile, la Cassini aveva sorvolato per l’ultima volta, la 127esima, Titano, utilizzando la gravità per l’ennesima manovra di fionda gravitazionale atta a deviare la sua traiettoria finale. Ora è il momento della verità per questo genere di missioni burocratiche suicide.  Perché una sonda da tre miliardi di dollari, quanto sarebbero costate tre Astronavi interstellari super accessoriate, non merita una simile fine. Proprio un Grand Finale per le obsolete politiche spaziali italiane, per la cultura scientifica e tecnologica italiana vecchio stile che finora ci ha fatto solo sognare sia lo spazio profondo sia il Tricolore italiano sulla Luna, 50 anni dopo la storica missione Nasa dell’Apollo 8. Questa è la cronaca di un crimine scientifico contro la Cassini e l’Italia, che non dovrà mai più ripetersi. Altro che “continuità”! Al vertice di collaborazione scientifica e tecnologica fra l’Italia e l’India, di qualche giorno fa, erano presenti anche il Premier indiano, Narendra Modi attivissimo sui “social”, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, l’avv. Giuseppe Conte, che cita tra i progetti di grande rilevanza strategica per l’Italia, i grandi telescopi SKA ed ELT. Nel suo resoconto, Luca Valenziano, rappresentante della Presidenza Inaf, scrive: “Il 29 e 30 Ottobre 2018 si è svolto a New Delhi un importante vertice di collaborazione scientifica e tecnologica tra India e Italia: due giorni densi di incontri ad altissimo livello per sviluppare collaborazioni fra i due Paesi. E le prospettive sono molto interessanti. L’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), le sue collaborazioni scientifiche e le tecnologie legate all’osservazione dell’Universo, era, per la prima volta, tra gli enti invitati a partecipare al “Tech Summit Italia-India 2018”. Evento prestigioso e unico nel suo genere, il Tech Summit si è rivelato anche estremamente strategico in vista di future collaborazioni nel campo dell’Ict, dell’aerospazio e dell’alta formazione. Tutti campi in cui l’Inaf gioca da sempre un ruolo chiave. L’India è un paese in grandissima espansione economica, con sfide formidabili che saranno affrontate, secondo quanto dichiarato dai rappresentanti del Governo indiano, con il ricorso massiccio all’innovazione tecnologica. L’età media dei suoi 1.3 miliardi di abitanti è di appena 27 anni. Praticamente ogni persona è dotata di uno smartphone e ha accesso ad Internet. Il premier indiano, Narendra Modi, ha presentato la sua visione per il futuro dell’India: miglioramento delle condizioni di vita per tutta la popolazione da realizzare attraverso l’educazione diffusa, soprattutto nelle discipline Stem, lo sviluppo di fonti di energia sostenibile e una grande attenzione all’ambiente (grande progetto di pulizia del fiume Gange). Giovani, tecnologia, crescita sociale ed economica: l’India ha investimenti in crescita nelle attività scientifiche e tecnologiche. Ricercatori indiani vantano grandi competenze soprattutto nel campo computazionale e informatico. I Ceo delle più grandi imprese al mondo nell’alta tecnologia sono di origine indiana. L’Inaf può mettere in campo una solida esperienza in tutti i campi dell’Astrofisica e nella strumentazione, ma anche nella divulgazione scientifica. Questa combinazione ha le potenzialità di generare interessanti collaborazioni nel prossimo futuro. Al summit, la delegazione dell’Inaf, formata da Gabriele Cremonese, Riccardo Smareglia e da chi scrive – ha presentato i grandi progetti dell’ente, e in particolare la partecipazione allo Square Kilometer Array (SKA), le attività di esplorazione del Sistema Solare e la collaborazione sui grandi progetti di Astronomia da Terra, oltre che l’infrastruttura di calcolo ad essi collegata. Riccardo Smareglia è stato tra i membri del panel di discussione sull’Ict. L’evento è stata l’occasione per potersi confrontare con colleghi indiani per avviare collaborazioni nel campo dello sviluppo tecnologico di strumentazione scientifica, di collaborazione nell’alta formazione, nella promozione della cultura scientifica e tecnologica. L’esplorazione dell’Universo è stata presentata da Marica Branchesi che ha evidenziato la complementarietà delle osservazioni di onde gravitazionali, in cui l’India sta costruendo un osservatorio collegato a Ligo, e multi-messenger, citando l’Inaf tra i protagonisti a livello globale. L’evento è stato concluso dagli interventi del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e del Primo Ministro indiano, Narendra Modi. Presenti anche il sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci, il vice-presidente di Confindustria Giulio Pedrollo, il direttore generale dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice) Piergiorgio Borgogelli, il direttore generale per la Promozione del Sistema Paese del Maeci, Vincenzo De Luca, molti esponenti del Governo indiano e i vertici del sistema imprenditoriale. In particolare, il Presidente Conte, nel suo intervento, ha sottolineato l’importanza della collaborazione scientifica tra i due Paesi e ha citato tra i progetti di grande rilevanza strategica per l’Italia SKA e l’Extremely Large Telescope. In un incontro dedicato alla delegazione italiana, il premier ha ringraziato in modo particolare gli scienziati che hanno partecipato a questo importante incontro, auspicando lo sviluppo di collaborazioni scientifiche e tecnologiche tra i due Paesi. Le potenzialità di eventuali collaborazioni Italia-India sono apparse chiare anche negli incontri bilaterali con il ministero della ricerca indiano, in cui si definiscono i protocolli di collaborazione scientifica. Le due delegazioni erano concordi nel confermare che le tematiche di Astronomia, Astrofisica e Cosmologia sono di grande interesse comune. Nel prossimo futuro questi promettenti semi saranno coltivati per far crescere una significativa collaborazione di interesse comune per l’Inaf, i centri di ricerca indiani e le aziende tecnologiche attive nei settori della ricerca tecnologica in Astrofisica”. Perché non sbarcare insieme sul pianeta Venere: Italia, Russia e India? Venera come Венера (Venere in cirillico). E “D” come l’iniziale di Dolgozhivuschaya, parola russa che significa “lunga vita”. Venera-D è il nome della futura missione verso la sorella della Terra che esperti della Nasa e dell’Istituto di ricerca spaziale dell’Accademia delle Scienze russa, stanno progettando da anni. Tre volte lunga, la vita di Venera-D, visto che la missione, per ora solo allo studio, aspira a mandare verso il secondo pianeta del Sistema Solare tre diversi oggetti in un colpo solo. Un “orbiter”, dunque una sonda che giri attorno al pianeta, con durata prevista di tre anni. Un “flyer”, ovvero una sorta di aereo, pensato per volare in modo autonomo nella bassa atmosfera di Venere raccogliendo dati per tre mesi. E poi l’oggetto più ardito, un “lander” che si vuole veder atterrare sul suolo di Venere, il più infernale del Sistema Solare, dove un effetto serra senza rivali porta a temperature sufficienti a fondere il piombo. Per lander è comprensibile quanto a “lunga vita” occorrerà accontentarsi: tre ore. Comunque un’eternità, dato il contorno. E se costriuiamo una vera astronave per la prima missione umana di sbarco, potremo fare anche meglio! Fra gli scopi scientifici della missione, perché è di questo che stanno ora ragionando i ricercatori americani e russi, la solita enorme domanda: scoprire se nel passato di Venere ci siano mai state le condizioni per sostenere la vita. Sono le domande “giuste”, quelle alle quali potrebbe rispondere Venera-D opportunamente modificata. Per Giuseppe Piccioni, astrofisico all’Inaf Iaps di Roma e “principal investigator” di Virtis, uno degli strumenti a bordo della sonda Venus Express dell’Esa, dal 2005 al 2014 inviata speciale attorno alla nostra vicina di casa, “come è intuibile, il rapporto di missione pubblicato dalla collaborazione tra Nasa e Iki arriva dopo diversi anni di preparazione ed è basato sulle discussioni scientifiche, le linee guida e i suggerimenti diretti o indiretti soprattutto dalla passata missione Venus Express. Molti membri del gruppo di studio di Venera-D, tra l’altro, hanno fatto anche parte del team di Venus Express e quindi sono ben informati sulle questioni scientifiche che ci aspettiamo di risolvere attraverso le future missioni su Venere. Venera-D si pone l’obiettivo di rispondere a molte domande ancora aperte che riguardano soprattutto la conoscenza dettagliata della composizione atmosferica, della superficie e della loro interazione chimica e dinamica. Certo è che non potrà rispondere a tutto, ma la definizione della strumentazione a bordo è ancora in una fase di trade-off tecnologico e quindi restiamo in attesa di sviluppi”. Stranamente la missione senza sbarco umano sulla superficie di Venere, è giudicata “ambiziosa” nel suo taglio “ambitious” come definito nel rapporto! “Penso tuttavia che l’ambizione sia importante nelle missioni spaziali – rivela Giuseppe Piccioni – soprattutto nella prima fase di studio, per poi dar il giusto spazio alla realizzabilità tecnica. Il punto di forza è la modularità della missione che, in caso di complicazioni eventuali per certi sottosistemi, permette di non compromettere totalmente il ritorno scientifico dell’intera la spedizione. Dire se sarà tutto realizzabile a oggi è praticamente impossibile ma, come sempre in questi casi, molto dipenderà dalle risorse impiegate e disponibili, soprattutto per la parte tecnologica del lander e della piattaforma aerea volante, le cui condizioni operative sono più critiche per le condizioni ambientali estreme del pianeta Venere”. Nasa e Accademia delle Scienze russa insieme, a cui possono unirsi India e Italia. “Il progetto Venera-D in realtà inizia quasi 15 anni fa come missione completamente russa. La sua storia è stata un po’ travagliata per diversi motivi, soprattutto a causa di alcune missioni russe fallite, in particolare quella delle due Phobos che ha stravolto completamente tutta la pianificazione futura”. Grazie al Presidente Putin della Federazione Russa, “il programma poi ha ripreso il suo corso pochi anni fa, quando lo stimolo degli scienziati ha sollecitato attivamente la collaborazione tra Nasa e Iki. Poi, la crisi di Crimea e Ucraina (non provocata dalla Russia ma dall’Occidente, Nato e Ue in primis, NdA) ha di fatto interrotto tutte le collaborazioni tra Usa e Russia, incluse purtroppo anche quelle prettamente scientifiche. Fortunatamente i rapporti si sono recentemente riammorbiditi e quindi il tutto sembra essere finalmente ripartito. L’Esa nello specifico è rimasta a guardare, non certo per mancanza di interesse ma, come purtroppo tendenza ormai consolidata, per un’eccessiva indipendenza nel suo programma di esplorazione che, in un modo o nell’altro, impegna tutte le risorse disponibili a lungo termine e riduce significativamente le capacità di collaborazione con le altre agenzie. Penso che una maggiore attenzione al contesto internazionale sia la vera necessità di cui abbiamo bisogno che venga intrapreso da Esa, per essere più pronti alle sfide sempre più competitive del domani”. Sarà infatti Oxia Planum il luogo marziano dove far scendere, nel Marzo dell’Anno Domini 2021, il rover europeo ExoMars. Il programma di esplorazione marziana, realizzato in collaborazione tra Agenzia spaziale europea e l’Agenzia russa Roscosmos, prevede il lancio della sonda nel 2020. Determinante è il ruolo svolto dall’Italia attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana che è il principale sostenitore del programma ExoMars con il 40 percento dell’investimento totale. La località è stata scelta alcuni giorni fa nel corso di una riunione durata due giorni tenutasi al National Space Center a Leicester nel Regno Unito, che ha visto la partecipazione di esperti della comunità scientifica, dell’industria e del progetto ExoMars su Marte, per discutere non solo i meriti scientifici, ma anche i vincoli tecnici ed ingegneristici che presentavano i vari siti. La proposta sarà esaminata internamente dall’Esa e da Roscosmos ed è prevista una conferma ufficiale per la metà del 2019. “I circa 40 scienziati indipendenti dal programma ExoMars, si sono divisi in modo quasi equo: i sostenitori di Oxia Planum e quelli di Mawrth Vallis – rivela Raffaele Mugnuolo, responsabile Asi per la partecipazione scientifica italiana alla missione e “chair” del ExoMars Risc (Rover Instrument Steering Committee) – sono stati due giorni nei quali i tecnici si sono sfidati a colpi di analisi di livello scientifico elevato. La discussione che si è sviluppata, è stata interessantissima, e ha consentito di riflettere su numerosi aspetti scientifici che caratterizzano le due aree candidate. Sebbene le argomentazioni scientifiche esposte dai due gruppi contrapposti sono validissime, non possiamo trascurare che Oxia Planum presenta meno rischi rispetto a Mawrth Vallis per la fase di discesa e “landing” e per la fase di mobilità con il rover europeo. Come responsabile Asi, non posso però non sottolineare che l’Europa non è ancora riuscita a scendere con successo sulla superficie marziana. Non abbiamo mai fatto muovere un rover e non abbiamo mai provato a perforare fino a 2 metri di profondità il suolo di Marte. Sono sfide, quindi, molto ambiziose e prioritarie per il raggiungimento degli obiettivi della missione”. Secondo Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica e “principal investigator” dello spettrometro italiano Ma_Miss (Mars Multispectral Imager for Subsurface Studies) a bordo della missione ExoMars 2020, “il sito scelto è davvero affascinante poiché mostra evidenti segni della presenza in passato di acqua allo stato liquido, che può aver giocato un ruolo determinante per ospitare forme elementari di vita. I nostri strumenti studieranno così una regione che potrebbe darci delle risposte decisive su questo tema e sull’ambiente odierno di Marte. Non vediamo l’ora che ExoMars raggiunga il pianeta ed inizi l’esplorazione, fiduciosi che faremo un ottimo lavoro”. Al cuore della missione ExoMars c’è la ricerca per determinare se la vita sia mai esistita su Marte, un pianeta che ha chiaramente ospitato l’acqua nel passato, ma che oggi è caratterizzato da una superficie asciutta ed esposta a forti radiazioni (www.youtube.com/watch?v=HZROh9zq0cY&feature=share). Mentre “ExoMars Trace Gas Orbiter”, lanciato nell’Anno Domini 2016, ha dato inizio alla sua missione scientifica all’inizio del 2018 alla ricerca di minuscole quantità di gas nell’atmosfera che potrebbero essere collegate all’attività biologica o geologica, il rover esplorerà luoghi diversi e scaverà fino a due metri sotto la superficie marziana alla ricerca di indizi di vita passata o presente preservata sottoterra. Trasmetterà quindi i suoi dati verso Terra utilizzando la sonda Trace Gas Orbiter attualmente in orbita intorno al Pianeta Rosso. Dal punto di vista tecnico, il sito di atterraggio deve trovarsi ad un livello di elevazione adeguatamente basso, in modo che ci siano atmosfera e tempo sufficienti per aiutare a rallentare la discesa del paracadute del modulo di ammartaggio. Quindi, le ellissi di 120×19 km non dovrebbero contenere caratteristiche che potrebbero mettere in pericolo l’atterraggio, lo spiegamento delle rampe della piattaforma di superficie per l’uscita del rover e la sua successiva guida. Ciò significa scrutare la regione per pendii ripidi, materiale sciolto e grandi rocce. Dal punto di vista scientifico, l’analisi doveva identificare i siti in cui il rover avrebbe potuto usare il trapano per recuperare campioni da sotto la superficie e definire i possibili traversi da poter raggiungere entro 5 km dal sito di atterraggio per raggiungere il numero massimo di luoghi interessanti. La campagna di prova del rover per Marte è in pieno svolgimento. I test sul modello strutturale e termico sono stati completati con successo e un test di qualifica della durata di sei settimane sul cassetto del laboratorio analitico di bordo, in cui i campioni del trapano del rover verranno elaborati e analizzati, è in fase di completamento. Il test ha incluso la verifica della funzionalità dei meccanismi di elaborazione del campione utilizzando campioni analoghi di Marte in condizioni ambientali simulate di Marte, una bassa pressione, atmosfera di anidride carbonica e un determinato intervallo di temperature. I test per caratterizzare la capacità del rover di affrontare diversi tipi di terreno, sono anche in corso con il modello di verifica della locomozione. La consegna dell’hardware di volo (compresi i nomi di coloro che sbarcheranno su Marte nel microchip del rover: amber.wilson@airbus.com per info) è iniziata, incluso il computer del rover, la batteria e l’albero dispiegabile, insieme alla maggior parte degli strumenti scientifici. L’Italia grazie alla collaborazione dell’industria ed in particolare della Thales Alenia Space e Leonardo ha realizzato alcuni strumenti scientifici e il trapano che perforerà la superficie del Pianeta Rosso fino ad una profondità di 2 metri alla ricerca di segni di vita passata o presente grazie all’analisi dei campioni di sottosuolo raccolti. Per la missione ExoMars 2020 il centro di controllo Rocc (Rover Operational Control Center) per le attività del rover è situato nella sede Altec di Torino. La missione Nasa “InSight” (https://mars.nasa.gov/participate/send-your-name/insight/) è in arrivo su Marte con a bordo i nomi di 2.429.807 persone registrate sul microchip, tra cui il mio personale “pass” tra i 75.093 Italiani. L’Italia è al sesto posto mondiale tra i partecipanti. Al primo in Europa. Il lancio della InSight è avvenuto il 5 Maggio 2018 alle 13.05 ora italiana, dalla base di  Vandenberg in California. Obiettivo della missione è di esaminare nel profondo la struttura interna del Pianeta Rosso e i processi che hanno contribuito alla sua formazione; studiare per la prima volta le profondità di Marte e trovare la soluzione ai misteri ancora irrisolti sull’origine dei pianeti interni e rocciosi del Sistema Solare. Questi i principali goal della nuova missione della Nasa con il lander “Interior Exploration using Seismic Investigations, Geodesy and Heat Transport”. L’avvio della missione era previsto a Marzo 2016, ma problemi tecnici hanno portato a una battuta di arresto. La InSight è partita a bordo di un razzo Atlas V-401 della compagnia “United Launch Alliance”, per intendersi quella della navetta privata Cygnus attualmente adibita in automatico al rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale, in compagnia di un altro esperimento della Nasa, il Mars Cube One (MarCO), due mini-satelliti della famiglia “CubeSat” che studieranno lo spazio profondo. Il razzo ha portato il prezioso carico oltre la costa della California, continuando la sua scalata del cielo sul Pacifico. InSight ha raggiunto l’orbita terrestre circa 13 minuti dopo il lancio, quando il razzo si trovava a circa 1900 km a Nord-Ovest dell’Isola Isabella, in Ecuador. Poco più di sei mesi il tempo di volo fino a Marte e 728 giorni terrestri la durata complessiva della missione. La sonda fissa InSight atterra il 26 Novembre 2018 (in Italia il giorno 27 alle ore 9 AM) ma, non essendo un rover dotato di ruote, non potrà muoversi liberamente sulla superficie del Pianeta Rosso, come Curiosity e Opportunity: se dovesse sbagliare l’obiettivo, non potrà mai essere spostato! Si tratta di una missione molto attesa dalla comunità scientifica, perché InSight sarà in grado di esaminare il sottosuolo marziano, analizzare l’attività sismica e geodesica per raccogliere importanti indizi sull’evoluzione dei pianeti rocciosi del Sistema Solare. A differenza di Venere e Terra, Marte ha mantenuto la sua struttura geologica praticamente inalterata per più di 3 miliardi di anni. Per questo l’area scelta per l’ammartaggio è “Elysium Planitia”, una regione vulcanica che si trova in prossimità dell’equatore marziano: un mastodontico complesso vulcanico, il secondo su Marte, il cui picco arriva a 16 chilometri d’altezza (il monte Everest, la vetta più alta sulla Terra, non arriva a 9 chilometri). Secondo gli esperti, è il luogo ideale per studiare il mantello e il sottosuolo marziano, vista la sua storia geologica e la sua bizzarra composizione chimica. Dotato di due grandi pannelli solari e pesante 360 chili, in piena fase di volo InSight è largo circa 6 metri. Dopo qualche settimana dall’ammartaggio, il lander attiverà il suo braccio robotico e tutti gli strumenti scientifici, tra cui il sismometro francese, l’esperimento della Nasa di radioscienza e la sonda termometrica tedesca, saranno pienamente operativi. Il sismometro “Seismic Experiment for Interior Structure” (Seis) percepirà le onde sismiche per studiare la crosta di Marte: i cosiddetti “martemoti” che affliggono il Pianeta Rosso da 4 miliardi di anni sono causati dai meteoriti che colpiscono la superficie, dal magma che si muove a grandi profondità e da movimenti tellurici lungo le faglie. Le sonde attualmente in orbita su Marte assistono regolarmente agli smottamenti del terreno con le rocce che, nonostante la bassa gravità, precipitano per migliaia di metri, alzando nuvole di polvere! Lo studio della crosta di Marte con il sismometro indicherà agli scienziati la temperatura, la pressione e la composizione di quel mondo alieno durante la sua lunga storia. Lo “Heat Flow and Physical Properties Probe” (HP3) arriverà a 5 metri di profondità e avrà la funzione di “cucchiaio” per la raccolta di campioni, di trapano e di termometro: indagherà su quanto calore sta ancora scorrendo nelle cavità del freddo Marte e gli scienziati saranno in grado di capire se la Terra e il quarto pianeta del Sistema Solare sono fatti o meno della stessa “sostanza”, visto che entrambi sono mondi rocciosi ma molto diversi tra loro. Il “Rotation and Interior Structure Experiment” (Rise) misurerà i minimi cambiamenti nella posizione del lander per rivelare contemporaneamente come Marte si stia muovendo nella sua orbita: queste misurazioni forniscono informazioni sulla natura chimica e geologica del suo profondo nucleo. “Ho assistito a diversi lanci di razzi, ma è tutto molto diverso quando c’è qualcosa su cui hai lavorato per anni in attesa di essere scaraventato oltre la nostra atmosfera – ricorda Bruce Banerdt, a capo del gruppo di scienziati di InSight al Jpl – ma per quanto entusiasmante sia la giornata di lancio, è solo un primo passo in un viaggio che dovrebbe dirci non solo come Marte si sia formato, ma come i pianeti prendono forma in generale”. È indubbio che la missione Curiosity e soprattutto la spettacolarità dei suoi sette minuti di terrore imposti dalla difficoltà del suo ammartaggio, abbiano riproposto, in tutto il suo splendore, il fascino di Marte e la sua esplorazione, grazie agli studi pioneristici degli astronomi italiani Giovanni Virginio Schiaparelli e Vincenzo Cerulli, autore quest’ultimo della famosa Teoria Ottica che smascherò la reale natura dei “canali” alieni di Marte, minacciando la nascita della fantascienza marziana! Ma la scelta della missione Insight non è una diretta conseguenza di questo fervore marziano, in quanto selezionata nel 2011, quanto piuttosto la conferma di una scelta politica, quella statunitense, di investire le proprie risorse finanziarie pubbliche e private prima di tutto in missioni targate Usa con la loro bandiera nazionale, in nome del ben noto “Usa First” scientifico e tecnologico del Presidente repubblicano Trump. E che l’Italia da sempre contribuisce ad alimentare. Insight ha lo scopo di fornire utili indicazioni sugli strati più profondi di Marte: attualmente operano all’uopo due radar, il MARSIS a bordo della missione Mars Express dell’Esa e lo ShaRAD sulla sonda Mars Recoinassance Orbiter della Nasa, entrambi di realizzazione italiana. L’obietttivo è capire perché il Pianeta Rosso si sia evoluto in modo così diverso dalla Terra: si cercherà di indagare se il suo nucleo sia solido o liquido come quello della Terra, e il motivo per cui il pianeta non sembri suddiviso in placche tettoniche che scorrono, anche se recenti studi sembra dimostrino altro. L’esplorazione di Marte è una priorità assoluta per la Nasa. La scelta di Insight conferma che gli Usa continueranno a svelare i misteri del Pianeta Rosso e a gettare le basi per un’imminente missione umana grazie alla compagnia privata SpaceX di Elon Musk. Curiosity ha galvanizzato l’interesse del pubblico per l’esplorazione dello spazio e l’annuncio di Musk precisa che ci saranno, in tempi brevi, entro 10 anni al massimo, molte emozionanti missioni umane su Marte e dintorni. Insight fa parte del programma Discovery della Nasa ed è una delle tre missioni selezionate nel Maggio 2011. Si basa sulla tecnologia utilizzata per la missione Phoenix sul Pianeta Rosso. Tra le missioni a basso costo: mezzo miliardo di dollari tutto compreso. “Insight potrebbe arrivare al cuore della struttura di Marte e più in profondità di quanto siamo stati in grado di fare dall’orbita e dalla superficie”, osserva John Grunsfeld del “Science Mission Directorate” della Nasa. L’area scelta è un’ellisse di 130 chilometri di lunghezza per 27 chilometri di larghezza e un fondamentale contributo è arrivato dalla Thermal Emission Imaging System (THEMIS) montata a bordo dell’orbiter Odyssey della Nasa. Si tratta di uno strumento che lavora dal 2002 sia all’infrarosso sia nell’ottico ed è stato utilizzato per mappare la superficie di Marte, le rocce, la sabbia e la polvere. Tutto per poter arrivare alla scelta di quattro luoghi potenzialmente adatti dove far arrivare il lander. La regione Elysium Planitia è quasi interamente coperta da antichissime colate laviche. Secondo Jonathon Hill della Arizona State University, “per far atterrare in modo sicuro una sonda su Marte, è necessario scegliere un luogo pianeggiante e liscio e ciò significa che il sito non può essere pieno di rocce o coperto da uno spesso strato di polvere”. A cosa è servita la camera THEMIS? Misurando quanto velocemente scendono le temperature su Marte, la camera ha potuto rivelare ai ricercatori la proporzione tra roccia e polvere sul terreno, per poi riuscire a capire a cosa andrà incontro il lander. Non è la prima volta che la camera THEMIS si occupa della perlustrazione di Marte per scegliere un luogo adatto all’atterraggio di qualche strumento scientifico. “Prima che Curiosity arrivasse nel cratere Gale nel 2012, THEMIS ha scandagliato i materiali sulla superficie di dozzine di siti di atterraggio candidate – ricorda Philip Christensen – THEMIS ha anche scelto l’area di atterraggio del lander Phoenix Mars, lanciata nel 2008, analizzando rocce e polvere di molti siti candidati”. InSight è stato progettato proprio come il lander Phoenix. Il fatto di non potersi spostare non è totalmente positivo, perché se il lander dovesse atterrare su una location inadatta alla missione, troppo sassosa e polverosa, non potrebbe più spostarsi. Proprio per questo è fondamentale che il luogo scelto da THEMIS sia quello giusto. Il lander, una volta arrivato, ci si aspetta che lavori a pieno regime per due anni consecutivi, quindi tutto deve andare al meglio. Grande come un’utilitaria, InSight è la prima missione dedicata alla comprensione della struttura interna del Pianeta Rosso. Esaminando il sottosuolo marziano, analizzando attività sismica e geodesia, il lander Nasa potrebbe raccogliere importanti indizi su come si sono formati ed evoluti tutti i pianeti rocciosi del Sistema Solare, compresa la Terra. E tecnologia e conoscenze acquisite per InSight sono ovviamente cruciali per il volo umano che SpaceX e Nasa hanno in cantiere. Mentre l’Italia dorme o “emigra” su altre piattaforme tecnologiche! “I robot esploratori aprono oggi la strada a future missioni umane, portando a casa importanti risultati – rileva Jim Green della Planetary Science Division dell’Agenzia spaziale statunitense a Washington – insieme, uomini e robot saranno i pionieri di Marte e del Sistema Solare”. Il lander viaggia verso Marte nella capsula Aeroshell per tutta la tratta. Poi il tuffo nell’atmosfera rossa per l’ammartaggio. Ovviamente più lo si strapazza mentre si è qui sulla Terra, più c’è modo di correggere eventuali difetti di progettazione. La Lockheed Martin ci tiene a fare bella figura e a consegnare un prodotto perfettamente funzionante. In Italia possiamo fare di meglio con i nuovi Space Shuttle Nucleari adatti per le missioni umane nel Sistema Solare: ma ci crediamo? “È bello seguire il processo di configurazione della navicella per il lancio – spiega Tom Hoffman, InSight Project Manager al Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena in California – ingegneri e ricercatori di tutto il mondo hanno lavorato molte ore per ottenere questo risultato”. Addotti da Marte unitevi! Con la missione diretta verso le lande marziane, la InSIght ha aperto una straordinaria opportunità: quella di aggiungere il proprio nome su un microchip di silicio trasportato nello spazio profondo a bordo della sonda Nasa fino all’ammartaggio sul Pianeta Rosso. “Il nostro prossimo passo nel viaggio dell’uomo verso Marte è un’altra affascinante missione di superficie –  spiega Jim Green – dando la possibilità a tutti di inserire il proprio nome fra i dati trasportati dalla sonda InSight verso il Pianeta Rosso, vogliamo dimostrare che tutti possono partecipare al viaggio verso Marte e al futuro dell’esplorazione spaziale”. Iniziative che in Europa non sono sufficientemente divulgate. È più facile farlo con le sonde americane che europee. InSight non è stata certo la prima occasione per imbarcare il vostro nome su un treno per Marte. Accade regolarmente dai primi Anni Duemila. Recentemente anche per il test di volo della capsula Orion, grazie al motto “verso l’infinito e oltre”: sono state un milione e 38mila persone ad iscriversi sul sito della Nasa. E saranno tante altre le occasioni nei prossimi anni per partecipare da protagonisti a una missione marziana, gioviana e venusiana. Anche il test di volo del nuovo e potente vettore “Space Launch System” della Nasa, che con la Orion dovrebbe costituire l’accoppiata “giusta” per volare su Marte con un team di astronauti, regalerà una simile occasione. Registratevi! Nell’attesa, concentriamoci su InSight. In Europa, grazie alla Russia, consoliamoci con la missione ExoMars. Prima di volare su Giove. Dove nubi vorticose creano suggestivi effetti visivi nella banda temperata Nord-Nord della sua atmosfera. Una foto è stata catturata il 29 Ottobre 2018 dalla JunoCam, la fotocamera a bordo della sonda Juno della Nasa, progettata per acquisire immagini ad alta definizione nella luce visibile. Lo scatto è stata realizzato mentre la Juno compiva il sedicesimo sorvolo ravvicinato di Giove a una distanza di circa 7000 chilometri dalle nubi gioviane. Nella foto si distinguono con chiarezza diverse nuvole di colore bianco brillante e una tempesta anticiclonica di forma ovale. L’immagine è stata processata da Gerald Eichstädt e Seán Doran, due “citizen scientist” che partecipano al progetto didattico e divulgativo della Nasa. L’obiettivo è il coinvolgimento diretto del pubblico nell’elaborazione delle immagini della JunoCam. La missione Juno è iniziata il 5 Agosto 2011, quando la sonda ha lasciato la base di Cape Canaveral a bordo di un razzo di Atlas V. La Juno è entrata nell’orbita del gigante del Sistema Solare il 5 Luglio 2016 e da quel momento si è dedicata allo studio dei vari aspetti che caratterizzano Giove. Tra questi, l’origine, l’evoluzione del pianeta, lo studio della sua struttura interna e della magnetosfera, e la caratterizzazione delle aurore boreali. A bordo, due strumenti realizzati in Italia grazie al contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana: Jiram  (Jovian InfraRed Auroral Mapper) è lo spettrometro che  permette di acquisire simultaneamente immagini ed informazioni spettrali nell’infrarosso attraverso l’uso di un doppio piano focale; KaT (Ka-Band Translator) è lo strumento di radioscienza che ha il compito di determinare la struttura interna del pianeta attraverso la misura del suo campo di gravità. Gerald Eichstädt e Seán Doran hanno portato a casa un risultato spettacolare elaborando i dati raccolti dalla JunoCam a bordo della Juno. L’immagine corrisponde inconfondibilmente a Giove e alla moltitudine di nubi che disegnano i vortici nella banda temperata Nord-Nord. I due scienziati amatoriali sono riusciti a catturare nuvole di un bianco brillante e la tempesta anticiclonica di forma ovale e biancastra chiamata Ws-4. “JunoCam non è stata concepita come uno strumento scientifico – spiega Alberto Adriani, a guida dello strumento italiano Jiram per l’Inaf-Iaps – quanto piuttosto di supporto alla missione per avere immagini del pianeta da diffondere al pubblico. Tuttavia JunoCam è in grado di fornire immagini interessantissime e stupende che hanno una grande utilità nel documentare i fenomeni atmosferici di Giove e integrare le osservazioni di altri strumenti che puntano allo studio dell’atmosfera gioviana”. Nel frattempo il “Parker Solar Probe” è giunto a “toccare il Sole”, il 6 Novembre 2018. La sonda della Nasa, lanciata l’11 Agosto 2018 con rotta diretta, ha raggiunto a velocità da record il suo primo perielio, il punto sulla sua orbita più vicino al Sole. Volando attraverso un materiale che raggiunge quasi due milioni di gradi Celsius, alle ore 4:28 il veicolo spaziale è arrivato a 24 milioni di chilometri dalla superficie solare, raggiungendo una velocità massima, relativa al Sole, di oltre 340mila chilometri l’ora. Questo è solo un target intermedio: per studiare lo strato esterno dell’atmosfera solare, la corona, nel corso delle sue 24 orbite la sonda della Nasa si avvicinerà fino a 6,1 milioni di chilometri di distanza dalla fotosfera,  arrivando nell’Anno Domini 2025 a sfiorare i 692mila chilometri orari, quanto basta per coprire la distanza Roma-Napoli in un secondo! Una velocità che qualsiasi astronave interstellare, degna di questo nome, dovrà facilmente raggiungere con la “prima marcia”! I record a questo servono. La Parker Solar Probe “made in Usa” è già la sonda più veloce ad aver mai viaggiato attraverso il Sistema Solare nella storia dell’esplorazione spaziale umana. Durante il perielio e per qualche istante successivo, la sonda dedicata a Eugene Parker, l’astrofisico eliofisico che negli Anni ‘50 sviluppò la Teoria sul Vento Solare, è stata completamente fuori contatto a causa delle interferenze causate dalle potenti emissioni radio provenienti dal Sole. Nonostante le elevatissime temperature, la sonda non ha subìto alcun danno grazie al leggero scudo termico da 2,4 metri di diametro, rivolto verso il Sole, che ha il compito di proteggere gli strumenti di bordo, mantenendoli sul lato “fresco” della sonda a una temperatura attorno ai 30° C. Le pareti esterne dello scudo termico sono realizzate in fogli di fibra di Carbonio, un materiale leggero con proprietà meccaniche eccellenti, particolarmente adatte alle alte temperature. Spessi circa 2,5 millimetri, i due fogli sono separati da 11 centimetri di schiuma di Carbonio, materiale in genere utilizzato nel settore medico per la sostituzione delle ossa. Questo design “a sandwich”, che si rivelerà utile anche sulle astronavi interplanetarie, rinforza la struttura e allo stesso tempo alleggerisce il peso dello scudo termico: solo 72 chilogrammi. Solo così la sonda potrà sopravvivere i prossimi 7 anni a oltre 1300° C. Con questo perielio, la Nasa supera il precedente record di 42,73 milioni di chilometri di distanza dal Sole detenuto dalla sonda “Helios 2” lanciata nel 1976. Annus mirabilis è stato il 2018. Ha preso il via dalla base spaziale europea di Kourou nella Guyana Francese, la missione BepiColombo, con obiettivo l’esplorazione e lo studio del pianeta Mercurio. Il decollo è avvenuto alle 3:45 ora italiana a bordo del vettore Ariane V per la missione V245. La BepiColombo, il cui nome è un tributo al matematico, fisico, astronomo e ingegnere padovano Giuseppe Colombo, è frutto della collaborazione tra l’Agenzia spaziale europea e l’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa) con leadership europea. La navicella è composta da due sonde complementari che volano unite tra loro con l’obiettivo di svelare i più profondi segreti di Mercurio, il pianeta più vicino al Sole e tra i meno esplorati nel Sistema Solare. Dopo Mariner 10 e Messenger, entrambe missioni della Nasa, oggi sono l’Europa e il Giappone a fare il grande balzo verso il cosiddetto “pianeta degli estremi”. Ma non è una missione diretta come la Parker Solar Probe. L’Agenzia spaziale italiana ha realizzato 4 dei 16 strumenti ed esperimenti a bordo dei due orbiter, grazie al contributo della comunità scientifica italiana, tra cui i ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e un gruppo dell’Università “La Sapienza” di Roma. Le sonde sono l’europea “Mercury Planetary Orbiter” (Mpo) che avvicinandosi a Mercurio avrà il compito di analizzarne la superficie e la composizione; e la giapponese “Mercury Magnetospheric Orbiter” (Mmo) che studierà in dettaglio l’ambiente magnetico di Mercurio, l’interazione del pianeta con il vento solare e la chimica della sua impalpabile esosfera. Sul Mercury Planetary Orbiter sono imbarcati gli strumenti italiani: l’accelerometro “Isa”, i rilevatori di particelle “Serena” e la suite “Simbio-Sys” composta da tre strumenti ottici, mentre il quarto, il “trasponder More”, misurerà i segnali di onde elettromagnetiche in banda Ka che saranno inviati dal trasponder a terra e viceversa. Il contributo italiano si amplia anche con la partecipazione allo strumento francese “Phebus”, lo spettrometro dedicato all’indagine della composizione e della dinamica dell’esosfera di Mercurio. La partecipazione è regolata da un accordo bilaterale Asi-Cnes e riguarda le attività di calibrazione mirate a definire un modello radiometrico completo dello strumento svolte dal team del Cnr e dell’Università di Padova. “BepiColombo – ricorda Roberto Battiston – è una missione tra le più affascinanti perché ci porta a esplorare Mercurio, un pianeta estremo di cui conosciamo ancora poco, il più vicino al Sole, difficile da raggiungere ma importantissimo dal punto di vista della planetologia per capire l’origine e l’evoluzione del nostro Sistema Solare. Il contributo italiano ai vari strumenti è dei più importanti nel solco di quell’eccellente tradizione scientifica che caratterizza la planetologia italiana. Grazie al supporto dell’Asi, l’Inaf e la comunità scientifica nazionale hanno realizzato questi straordinari strumenti, potendo contare su una filiera di eccellenza che comprende l’industria a cui si deve l’implementazione e l’integrazione non solo della parte strumentale ma della sonda nel suo complesso”. Per Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, “è l’inizio di una nuova grande avventura per l’Inaf che vede, come principal investigator coinvolti, numerosi ricercatori del nostro istituto: ciò dimostra che l’Italia è al centro dell’Astrofisica mondiale anche nelle missioni spaziali. Scienziati e ingegneri dell’Inaf saranno in prima linea anche nei prossimi anni, quando arriveranno i primi dati riguardanti questo pianeta ancora così misterioso”. A differenza della Parker Solar Probe, il viaggio di BepiColombo non sarà breve: passeranno 7,2 anni prima dell’arrivo nella regione più interna del nostro sistema planetario, a “pochi passi” dal Sole. Appena 58 milioni di chilometri. Le due sonde saranno accompagnate grazie ad un modulo trasportatore, Mercury Transfer Module (Mtm), che userà i suoi piccoli propulsori per indirizzarle nelle rispettive orbite attorno a Mercurio, prima che queste si separino per posizionarsi ognuno sulla propria orbita più vicina al pianeta. L’arrivo intorno a Mercurio è previsto per Dicembre 2025 con data fine missione, salvo possibile auspicabile estensione, fissata a Maggio 2028. Le due sonde opereranno autonomamente una volta giunte nell’orbita di Mercurio. Il modulo di trasferimento che le porterà sull’obiettivo è stato progettato e costruito in Europa, e funge unicamente da “mezzo di trasporto” durante la fase di viaggio e per l’inserimento in orbita. Anche se non ha carico scientifico, è un elemento chiave per arrivare su Mercurio. Il modulo utilizzerà una combinazione di propulsione ionica e chimica in aggiunta a numerose spinte gravitazionali durante il lungo percorso: la sonda effettuerà infatti un flyby (volo ravvicinato) attorno della Terra, due attorno a Venere e sei attorno Mercurio prima di effettuare le manovre di frenata e posizionamento orbitale. BepiColombo è la quinta missione “cornerstone” del programma “Horizon 2000+” adottata dallo Science Programme Committee dell’Esa per il programma del Direttorato scientifico. Com’è facile immaginare, è una delle missioni di esplorazione interplanetaria più ambiziose mai programmate dall’Esa, nonché una delle più articolate perché composta da tre moduli e uno scudo solare (il Mosif, Mmo Sunshield and Interface Structure). L’industria italiana ha collaborato alla realizzazione della missione, in particolare Leonardo e Thales Alenia Space (Thales-Leonardo). Quest’ultima è stata il subcontraente principale del satellite costruito dalla francese “Airbus Defence and Space” in qualità di “prime contractor” guidando le 35 aziende europee coinvolte. È già stato dispiegato con successo il braccio lungo 2 metri e mezzo che trasporta i sensori del magnetometro a bordo della sonda Mercury Planetary Orbiter (Mpo) della missione euro-nipponica BepiColombo. Lo strumento risulta così pronto per mettersi al lavoro e misurare il campo magnetico nel lungo cammino verso Mercurio. L’operazione, completata in circa un minuto, è stata documentata da una delle tre fotocamere di monitoraggio che producono immagini in bianco e nero da 1024×1024 pixel, installate a bordo di un altro modulo della missione, il Mercury Transfer Module (Mtm). Da otto fotogrammi della sequenza, l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha ottenuto un’animazione. Le camere di monitoraggio verranno utilizzate in varie occasioni durante la fase di crociera di sette anni. La fotocamera ad alta definizione di cui è dotato il Mpo, così come la maggior parte degli strumenti installati sull’orbiter europeo, potrà essere essere utilizzata solo dopo la separazione dal modulo di trasferimento, all’arrivo nell’orbita di Mercurio nel Dicembre 2025. Il magnetometro, dal canto suo, una volta arrivato a Mercurio misurerà il campo magnetico del pianeta, l’interazione con il vento solare e la formazione e la dinamica della sua magnetosfera. Insieme alle misure realizzate da strumenti simili a bordo del modulo giapponese Mercury Magnetospheric Orbiter (Mmo), posizionato su un’orbita più esterna, la sonda fornirà agli scienziati un quadro completo dell’origine, evoluzione e stato corrente del campo magnetico di Mercurio e nonché della stuttura interna del pianeta. Da Siena a Mercurio il viaggio è davvero lungo, ma è quello che, dal suo ufficio, ha compiuto Valentina Galluzzi, geologa planetaria del’Inaf-Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma. La giovane scienziata fa parte del folto gruppo di ricercatori italiani che partecipano alla missione BepiColombo. Valentina, con alle spalle un dottorato all’Università Federico II di Napoli con una tesi in Geologia Planetaria e un premio dal Gruppo Italiano di Geologia Strutturale, si è specializzata in questi anni nello studio di Mercurio e sta supervisionando un progetto di cartografia geologica globale del pianeta, finalizzato alla selezione di target scientifici per la camera italiana Simbio-Sys a bordo di BepiColombo. Mercurio è la sua passione sin da bambina, quindi questa missione sembra proprio essere davvero il suo destino! “Le due sonde scientifiche di BepiColombo, l’orbiter planetario europeo Mpo e l’orbiter magnetosferico giapponese Mmo, insieme al loro modulo di trasferimento Mtm, cioè il mezzo di trasporto che le accompagnerà verso Mercurio – ricorda Valentina Galluzzi – a fine Agosto 2018 sono stati montati uno sopra l’altro in configurazione di partenza: immaginate di vedere una torre di moduli alta circa 6 metri e pesante circa 3 tonnellate. Una volta inserito il propellente, le tonnellate saliranno a 4, ma si può dire che lasciata la Terra, saranno come piume nello spazio. Tutti gli italiani coinvolti nella missione erano in fermento per il lancio. Gli ingegneri impegnati a sviluppare i software per il controllo ed il monitoraggio da terra dei dati provenienti dalla sonda. Noi scienziati invece continuiamo a svolgere il nostro normale lavoro di routine sullo studio di Mercurio per trovare target di studio interessanti per il futuro, senza scordarci però di Venere, che per alcuni di noi sarà il primo obiettivo scientifico di missione grazie ai due flyby di BepiColombo. Sul lato scientifico, per Simbio-Sys, stiamo continuamente aggiornando la lista dei target sulla superficie di Mercurio di cui le sue tre le camere (alta risoluzione, stereo e iperspettrale) potranno fornirci i dati. Per la missione ed il mio strumento in particolare, sto coordinando l’attività di cartografia geologica globale di Mercurio. Stiamo usando i dati di Messenger per ottenere una carta geologica alla migliore scala possibile del pianeta. Grazie a questo lavoro, ogni cartografo impara a conoscere una o più regioni di Mercurio come le proprie tasche ed ad ottenere risposte scientifiche su vari aspetti del pianeta tra cui vulcanismo, tettonica, stratigrafia, interazione della superficie con esosfera e magnetosfera. Com’è normale, da ogni studio nascono sempre nuove domande: noi cerchiamo di tradurre queste domande in target di missione. Gli altri tre strumenti italiani, Isa, More e Serena, sono tutti impegnati nello sviluppo di software per il monitoraggio dei dati, in quanto ci attende un’intensa attività di test per verificare il corretto funzionamento degli strumenti dopo il lancio. Oltre che per dei “check” di salute, il monitoraggio post-lancio è essenziale anche per motivi pratici. Per fare un esempio, un accelerometro tipo Isa, non può essere testato pienamente qui sulla Terra a causa della gravità. Le masse, per funzionare nominalmente, infatti, hanno bisogno della condizione di assenza di peso (caduta libera) possibile solo nello spazio. Sono più di 6 anni che lavoro per BepiColombo, ho conosciuto la geologia planetaria grazie a Mercurio e ho preso il dottorato esattamente il giorno che Messenger, la sonda Nasa su cui ho basato la mia tesi, ha finito la missione schiantandosi sul pianeta! In più, confesso che quella per Mercurio è un’ossessione che mi segue sin da piccola, quando ero una fan di Sailor Mercury, un personaggio di un anime giapponese (Sailor Moon) molto famoso negli Anni ’90. Inutile dire che da scienziata non credo nell’astrologia, ma Mercurio è decisamente il mio pianeta! Quindi, sono sensazioni indescrivibili quelle che si provano in questi momenti, dall’emozione, all’ansia. Non oso immaginare quei miei colleghi che ci lavorano da 15 anni. Questi momenti sono il coronamento di passioni e sacrifici di una vita”. L’Europa e il Giappone potranno, dopo anni di progettazione, arrivare su Mercurio per integrare, non completare in assenza di una missione umana, la sola in grado di farlo, il lavoro iniziato dalla Nasa con le sonde Mariner10 e Messenger. Le due missioni americane non hanno fatto che stuzzicare l’appetito dei ricercatori di tutti il mondo. Il primo pianeta del Sistema Solare è ricco di ricchezze minerarie e di sorprese e le domande irrisolte si sono moltiplicate. L’Italia è fortemente coinvolta in questa missione. A guidare il team di esperti dello spettrografo Simbio-Sys è Gabriele Cremonese, ricercatore dell’Inaf di Padova. Cremonese ha avuto negli anni la responsabilità di diversi studi di camere per potenziali missioni dell’Esa e della Nasa. Attualmente è “co-pi” di Cassis, la stereo camera a Bordo di ExoMars Tgo, ma è anche “deputy-pi” e “project scientist” di Janus, la camera bordo di Juice. Lavora per la missione BepiColombo ormai dal 2000. “Mercurio fino a qualche anno fa rappresentava il pianeta meno noto, sebbene piuttosto vicino alla Terra – spiega Gabriele Cremonese – poi è stata selezionata la missione della Nasa Messenger, ma ormai l’Esa aveva già deciso si lanciare BepiColombo insieme ai giapponesi. Malgrado i dati raccolti dalla Nasa, ci sono ancora molte incognite su Mercurio. La sua struttura interna non è stata svelata dagli ultimi dati, molte novità sono state scoperte sulla sua superficie come gli “hollow”, ma è impossibile capirne l’origine e l’evoluzione perché mancano dati per esempio sulla composizione. Essendo il pianeta più vicino al Sole rappresenta un “end-member” del Sistema solare e quindi è molto importante conoscerlo meglio, anche perché l’origine della Terra è legata alla conoscenza di Mercurio. La sonda Messenger ci ha fatto capire che Mercurio non è un pianeta morto come pensavamo, anzi c’è stata un’intensa attività vulcanica recente, che neanche immaginavamo, però non sappiamo come mai. Forse dobbiamo rivedere alcuni modelli sull’origine ed evoluzione del Sistema Solare, soprattutto quello interno, ma i dati a nostra disposizione non sono ancora sufficienti. Simbio-Sys è un insieme di 3 strumenti ottici che fornirà immagini, anche 3D, e spettri di tutta la superficie. Certamente ha reso e rende molto complessa la pianificazione delle osservazioni e delle varie fasi e le operazioni, ma i risultati saranno unici in quanto quasi tutto quello che c’è da sapere sulla superficie di Mercurio lo fornirà Simbio-Sys. Il fatto che siano stati progettati e realizzati insieme, condividendo l’elettronica principale, e che ci sia un unico team scientifico che lavora su tutti i dati sono dei vantaggi enormi. Non ci sono problemi di calibrazione e registrazione dei dati dei 3 strumenti, la pianificazione e interpretazione scientifica è comune e condivisa da tutto il team. E il team è abituato sin dall’inizio a lavorare insieme ed è pronto a lavorare sia sulle immagini che sugli spettri. L’interazione sarà praticamente con tutti gli strumenti a bordo, in quanto ci verranno richieste le immagini per conoscere il contesto delle misure di altri e la composizione fornita dallo spettrometro sarà utile a tutti. Per esempio le misure della librazione, cioè l’oscillazione dell’asse di rotazione del pianeta, importanti per conoscere la struttura interna mettendo insieme i dati di altri 3 strumenti hanno bisogno delle immagini ad alta risoluzione. Il laser altimetro Bela potrà calibrare lo strumento solamente con le immagini 3D che gli forniremo noi con Stc e Hric. Inoltre lo stesso satellite ha chiesto i nostri dati in quanto le immagini ad alta risoluzione, ottenute in determinate circostanze, sono importanti per verificare il comportamento termico di tutto il sistema. È importante sottolineare che l’ambiente in cui lavorerà BepiColombo, e quindi tutti gli strumenti, è molto difficile a causa dell’elevata dose di radiazioni a cui sono sottoposti e per l’elevata temperatura dovuta sia alla vicinanza del Sole che della superficie illuminata del pianeta che è molto calda, non essendoci un’atmosfera e avendo una rotazione molto lenta. Tutti e 3 gli strumenti sono stati progettati con limitate risorse, come massa e volume. La camera ad alta risoluzione (Hric) si basa su un classico schema ottico, il Ritchie-Chretien, con alcune modifiche, necessarie per l’ambiente in cui lavorerà e per essere il più compatto possibile. La struttura meccanica e il baffle esterno, tubo che limita la luce diffusa dall’esterno e blocca parte del calore, sono stati disegnati proprio per HRIC e realizzati in Invar. Nell’apertura del baffle si è inserito un filtro per riflettere la luce infrarossa e far passare solo il visibile, per limitare il riscaldamento dello strumento. La stereo camera (Stc) si basa su un disegno ottico originale che è stato realizzato a Padova, ed è costituita da due canali che osservano la superficie da due angoli di vista diversi, per poter poi generare il Dtm, posti a 40 gradi. Quindi la superficie verrà osservata a più e meno 20 gradi dalla perpendicolare alla superficie. Le altre novità di Stc sono l’acquisizione stereo che sfrutta la tecnica “push-frame” invece del “push-broom” comunemente adottato, cioè si acquisiscono immagini e non solo singole linee di pixel, e i due canali focalizzano su un unico rivelatore, realizzato con tecnologia Cmos e uguale a quello di Hric. Lo spettrometro Vihi si basa sul disegno di un telescopio Schmidt accoppiato a uno spettrometro a reticolo Littrow. Questo strumento deriva da una lunga esperienza di spettrometri realizzati per diverse altre missioni, ma in questo caso si ha un solo canale e un solo rivelatore, realizzato proprio per noi in Mercurio-Cadmio in grado di coprire un intervallo spettrale molto ampio da 400 nm a 2200 nm, cioè dal visibile al vicino infrarosso. Tutti i rivelatori sono stati realizzati specificatamente per Simbio-Sys dall’azienda americana Raytheon, la più grande industria americana per la costruzioni di armi da guerra con una piccola divisione spaziale. Gli obiettivi scientifici delle tre camere sono veramente tanti in quanto tutto quello che si vuole conoscere in dettaglio della superficie di Mercurio dovrà utilizzare i nostri dati. Le immagini ad alta risoluzione e in 3D, che in termini tecnici chiamiamo Digital Terrain Model (Dtm), verranno utilizzati per studiare i processi tettonici, l’attività vulcanica, i crateri d’impatto e così via. Chiaramente l’interpretazione delle immagini è completa se possiamo avere le informazioni sulla composizione, che purtroppo Messenger non è riuscita a fornire con sufficiente dettaglio in quanto lo spettrometro non ha funzionato bene, e che fornirà Vihi. A mia conoscenza è la prima volta che in una missione spaziale si hanno 3 strumenti di remote sensing insieme. In genere nelle altre missioni ci sono team diversi per diversi strumenti e spesso non si parlano tra loro, a parte qualche sporadica collaborazione, che in genere avviene verso la fine della missione. Non esiste una pianificazione comune e una conoscenza delle performance condivisa. Non è facile esprimere le emozioni che si provano in questi momenti. Ho iniziato a pensare a BepiColombo nel 2000 quando ho chiesto il primo finanziamento all’Asi per lo studio di una camera, prima ancora di sapere se la missione veniva selezionata. L’Asi attese l’Ottobre del 2000 quando l’Esa selezionò BepiColombo e mi concesse il finanziamento. Pochi mesi dopo, all’inizio del 2001, entrai a far parte del comitato dell’Esa per la definizione degli strumenti a bordo. Questo importante inizio, grazie ad Asi ed Esa, mi hanno consentito di entrare nel vivo della missione da subito. Sono quindi passati 18 anni e dopo fasi alterne siamo arrivati a consegnare e provare, negli ultimi anni, uno strumento che funziona bene in accordo con i requisiti. Non riesco ancora a pensare che Simbio-Sys, insieme a tutti gli altri strumenti, ha lasciato la Terra alla volta di Mercurio, forse lo realizzerò un po’ di giorni dopo il lancio”. Nel team di Simbio-Sys, Gabriele Cremonese è affiancato dai tre responsabili delle camere: Pasquale Palumbo dell’Università Parthenope di Napoli per la camera ad alta risoluzione Hric; Maria Teresa Capria di Inaf-Iaps per la stereo camera Stc; Fabrizio Capaccioni di Inaf-Iaps per la camera iperspettrale Vihi. Alta sensibilità e tecnologia all’italiana di cui andar fieri. L’Italian Spring Accelerometer (Isa) è uno degli strumenti italiani che sono decollati alla volta di Mercurio a bordo di una delle due sonde che compongono la missioneBepiColombo di Esa e Jaxa. Con Simbio-Sys, Serena e l’esperimento More, Isa è a bordo della sonda europea Mpo (Mercury planetary orbiter). Isa è un accelerometro a tre assi in grado di misurare le più piccole accelerazioni che agiranno sulla sonda e sarà in funzione per tutta la durata della fase di crociera. Il suo ruolo, insieme a More, è quello di aumentare le prestazioni della determinazione orbitale per misurare il campo gravitazionale di Mercurio. Francesco Santoli dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali (Iaps) dell’Inaf di Roma, è “deputy principal investigator” dello strumento Isa. Santoli si occupa di “system engineering”, ovvero della gestione tecnica dei sistemi per applicazioni spaziali, definizione di esperimenti di fisica fondamentale a terra e nello spazio, analisi delle prestazioni di sistemi complessi e di progettazione meccanica e termica di strumentazione scientifica e delle relative facility di test e calibrazione. Il gruppo di Isa è composto da otto persone, con competenze tecniche e ingegneristiche che spaziano dalla fisica della gravitazione, necessarie allo sviluppo, calibrazione e utilizzo di uno strumento scientifico spaziale. Per conoscere meglio questo gioiello della tecnologia italiana, Francesco Santoli rivela: “l’Agenzia spaziale europea si è prefissa obiettivi molto ambiziosi con la missione BepiColombo, che hanno comportato un lungo periodo di sviluppo tecnologico sia dei due satelliti (uno europeo e uno giapponese) di cui è composta, che degli strumenti scientifici. Le sonde opereranno infatti in un ambiente estremamente ostile per la forte intensità della radiazione solare e le grandi escursioni termiche. Possiamo dire che Giuseppe Colombo, il matematico Italiano a cui la missione è intitolata, sia già stato su Mercurio, in quanto ha dato un contributo fondamentale alla riuscita della prima missione Nasa, la Mariner10, escogitando il modo di far eseguire alla sonda tre sorvoli del pianeta, invece dell’unico previsto inizialmente. Isa è uno strumento in grado di misurare l’accelerazione del satellite dovuta alle forze che lo spingono dall’esterno. La più intensa di queste forze è quella dovuta alla radiazione del Sole, che ha un effetto sul satellite pari a quello di un debolissimo soffio, ma comunque in grado di deviarne l’orbita. Mettendo insieme le misure di Isa, con quelle dell’orbita effettivamente seguita dal satellite, fornite dal sistema di “tracking”, sarà possibile calcolare con grande accuratezza il campo gravitazionale di Mercurio. L’accelerometro permetterà inoltre di correggere le misure del sistema di tracking per tener conto della dinamica interna del satellite, dovuta al moto delle appendici e del carburante. Le misure di Isa, insieme a quelle del sistema di tracking, sono la base per l’esecuzione degli esperimenti di radioscienza, che hanno tre obiettivi primari: la misura del campo gravitazionale di Mercurio, la determinazione del suo stato rotazionale e la verifica di alcune previsioni della Relatività Generale di Einstein. La scelta di Mercurio per il perseguimento di quest’ultimo obiettivo è dovuta alla maggiore intensità del campo gravitazionale del Sole che, amplificando gli effetti relativistici, ne rende possibile una misura accurata. Isa è uno degli strumenti che avrà la possibilità di operare durante i sette anni di crociera per arrivare a Mercurio; in questo periodo è prevista l’esecuzione di un esperimento in congiunzione solare superiore, per la misura della curvatura dello spaziotempo indotta dalla massa del Sole; è inoltre prevista l’esecuzione di misure scientifiche durante i due sorvoli di Venere previsti. Il concetto dello strumento e i primi prototipi sono stati sviluppati dal gruppo di gravitazione sperimentale dell’Inaf Iaps basandosi sull’esperienza pluridecennale nello sviluppo di sensori per antenne gravitazionali a barra risonante. L’ingegnerizzazione e lo sviluppo dell’accelerometro da volo è stato un lavoro congiunto dello Iaps con la Thales Alenia Space di Milano sotto la guida dell’Agenzia spaziale italiana. Possiamo quindi affermare con orgoglio che si tratta di uno strumento tutto italiano, e che è il primo del suo genere a volare su una missione interplanetaria. La principale differenza rispetto a strumenti analoghi, è la possibilità di essere calibrato e caratterizzato a terra, in presenza della gravità terrestre, che è un miliardo di volte più intensa del segnale che Isa dovrà misurare. Ho iniziato a lavorare per questo progetto nel 2003, per la preparazione della proposta scientifica all’Agenzia spaziale europea. Ora siamo al giro di boa, l’emozione è tanta, ma non è il momento di rilassarsi perché per raggiungere il traguardo a Mercurio mancano ancora 7 anni, e poi altri 2 per completare le misure scientifiche”. È un veterano di BepiColombo, Luciano Iess, professore al Dipartimento di ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza e responsabile del “Mercury Orbiter Radioscience Experiment” (MORE), lo strumento per esperimenti di radioscienza a bordo della sonda dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Nato a Padova, laurea a Pavia e da allora a Roma, alla Sapienza, Iess ha cominciato a lavorare su BepiColombo sin dal 1997, quando la missione un nome ancora non l’aveva, come membro dello “Science Advisory Group” dell’Esa. “Sono ventun anni – ricorda Luciano Iess – certo, avrei voluto vederlo partire prima, nel 2013, però insomma, via. È stata un’attesa molto lunga. MORE è uno strumento che permette di determinare come la sonda spaziale BepiColombo cade nel campo di gravità di Mercurio o del Sole. E questo consente di compiere test sulla Relatività Generale”. Occorre una premessa: non c’è nessuno strumento a bordo di un satellite in grado di misurare la gravità di un corpo. È una conseguenza del Principio di Equivalenza: tutti i corpi in un campo di gravità (piume, martelli, sonde spaziali, pianeti) cadono con la stessa accelerazione. “Quindi, se io voglio misurare la gravità con uno strumento, per esempio con un accelerometro come potrei fare qui sulla superficie terrestre – avverte Luciano Iess – questo a bordo di un satellite non funziona, perché misurerei un perfetto zero. Questo perché la massa di prova di questo accelerometro cade nel campo di gravità di Mercurio, del Sole, di tutto quello che c’è, con la stessa accelerazione con cui cade la sonda spaziale. Un accelerometro, o un gravimetro, che qui sulla Terra misurano l’accelerazione di gravità, nello spazio misurano un bello zero. E non c’è nessuno strumento a bordo di un satellite che possa misurare la gravità di un corpo. Ma c’è una via d’uscita, attraverso misure differenziali. Devo vedere come BepiColombo cade nel campo di gravità di Mercurio stabilendo un punto di osservazione che deve essere il più lontano possibile, per esempio la Terra. Quindi io da Terra misuro velocità e distanza di BepiColombo e in questo modo determino la gravità di Mercurio. Non proprio un ecografo. È semplicemente un sistema che ci permette di misurare, via radio, velocità e distanze con grandissima precisione. Quindi noi da un’antenna di terra mandiamo un segnale radio verso la sonda spaziale. C’è uno strumento, il “KaT” (Ka-band transponder) di More che lo ritrasmette coerentemente verso la Terra. E noi a terra misuriamo l’effetto Doppler, quindi lo spostamento di frequenza che ci dà la velocità relative, e anche il tempo di volo di una modulazione, se vogliamo di un fotone, di una modulazione radio, che ci dà invece la distanza. Da questi dati, grazie ai codici di determinazione orbitale, riusciamo a ricostruire una posizione tridimensionale e una velocità tridimensionale. Le antenne sono due: una è l’antenna dell’Esa, a Malargüe in Argentina, un’antenna da 35 metri; l’altra è l’antenna Dss 25 della Nasa, al Deep Space Network che si trova a Goldstone in California. Sono le uniche due antenne al mondo che oggi possono essere impiegate per le misure di More. Per la parte scientifica, le frequenze in gioco sono a 32-34 GHz, quindi sono frequenze molto elevate, quella che si chiama “banda Ka”. Invece per la navigazione standard e le telecomunicazioni standard si usa la “banda X” oppure in “down link” la banda Ka. Però il “link” di precisione, quello stabilito da More, è Ka-Ka. Contiamo di raggiungere precisioni, nella misura di velocità, a livello di qualche micron al secondo. Per quanto riguarda invece la misura della distanza relativa, dovremmo arrivare a 20 cm con le misure in “single shot”, mentre se ne acquisiamo parecchie in un giorno dovremmo scendere addirittura a un paio di centimetri. I dati di velocità più o meno ogni secondo, per quanto riguarda invece il “ranging” diciamo una misura di distanza ogni dieci minuti. È stato impiegato un sistema simile, abbastanza simile, per la Cassini nella fase di crociera, attorno al 2001-2002, però in quel caso non era possibile la misura di distanza, era possibile solo la misura di velocità. Val la pena ricordare che la sonda Cassini detiene tuttora il record mondiale di precisione nelle misure di velocità, parliamo di meno di un milionesimo di millimetro al secondo. Però, appunto, disponendo anche del ranging il nostro è un sistema nuovo. Tra l’altro questo strumento, il KaT che è la chiave per lo “specchio radio”, diciamo così, che sta a bordo, e che in realtà è un trasponder che riceve e ritrasmette il segnale, è stato costruito qui in Italia da Thales Alenia Space. La gran parte degli strumenti vedono quello che succede nelle superfici o nelle atmosfere planetarie. Se noi vogliamo invece andare sotto la superficie, vedere attraverso la superficie, abbiamo bisogno di forze a lungo raggio. La radiazione elettromagnetica, per esempio, non va bene: si blocca sulla superficie del pianeta, la prima cosa opaca diventa un ostacolo insormontabile. Per vedere che cosa c’è dentro abbiamo dunque bisogno di forze a lungo raggio, forze che passano attraverso la materia. Una di queste forze è certamente la gravità. La gravità del pianeta ci dice come sono distribuite le masse internamente, seppur con una certa ambiguità, perché purtroppo la gravità è intrinsecamente ambigua. Quindi dalla gravità del corpo non è possibile in maniera univoca risalire alla distribuzione delle masse, però con l’aiuto di modelli geofisici questo diventa possibile. L’altra forza importante, che viene dal profondo di un pianeta, è quella dei campi magnetici. Queste sono le due sorgenti principali per ottenere informazioni sugli interni planetari. E gli interni planetari contengono la chiave dei processi di formazione di un pianeta: ci dicono se ha un nucleo, se c’è un nucleo interno ed esterno, qual è la sua densità e così via”. Un po’ come, se Mercurio fosse un corpo umano, riuscissimo a capire che in una certa regione c’è una cavità, e dunque potrebbe essere lo stomaco, mentre poco al di sotto c’è una regione densa che potrebbe essere il fegato. Nulla esclude che un giorno queste tecnologie (campi magnetici e gravità insieme) possano essere utilizzate anche in campo medico per la diagnostica quantistica ad altissima precisione. “Diciamo che si potrà vedere se c’è un nucleo interno, si potrà misurare con maggiore precisione la densità, lo spessore della crosta, questo anche con l’aiuto del laser altimetro, che è il nostro strumento gemello, quello con cui lavoreremo maggiormente. Sostanzialmente More è uno strumento che, assieme ad altri, ci permetterà di effettuare una sorta di tomografia precisa di Mercurio. Ma questa non è l’unica cosa che farà: uno degli obiettivi più importanti di More riguarda la parte relativistica della gravità: consentirà di compiere test sulla Relatività di Einstein, osservando come i fotoni dei segnali radio si propagano in prossimità del Sole, che è la massa più grande del Sistema solare, e come Mercurio si muove attorno al Sole. Per esempio misureremo con grande precisione la precessione del perielio di Mercurio, che è stato il primo successo sperimentale, se vogliamo, della Relatività Generale. Faremo anche un test del Principio di Equivalenza forte, misureremo appunto la velocità di propagazione dei fotoni in prossimità del Sole, il cosiddetto “time delay”. Quindi c’è tutta una parte relativistica che si farà anche nel periodo di crociera, prima che la sonda arrivi a destinazione”. Questo è possibile perché anche le onde radio scambiate tra More e le antenne a Terra vengono in qualche modo deflesse dai campi gravitazionali che attraversano. “Deflesse, ritardate e spostate in frequenza dalla gravità solare. In più, grazie al nostro sistema di ranging molto accurato, saremo in grado di seguire il moto di Mercurio attorno al Sole e di misurare con grande precisione tutti gli effetti relativistici connessi. In sostanza More ci permetterà di vedere di quanto è violato il teorema di Pitagora in prossimità del Sole”. E quanto sia perturbata la piattezza dello spaziotempo. “Sì, a me piace vederla proprio in questi termini. In uno spazio piatto vale il teorema di Pitagora, e la somma degli angoli interni di un triangolo dà 180 gradi, ma oggi noi sappiamo che lo spazio non è piatto: ci sono delle violazioni a livello di 10 alla meno 8, una parte su 100 milioni, vicino al Sole e di una parte su 10 miliardi vicino alla Terra. E noi vogliamo misurarle, perché è chiaro che la Relatività, con ogni probabilità, è quasi certo, ormai lo credono quasi tutti, non è la teoria finale della gravità. Questo per la sua incompatibilità con la meccanica quantistica: è proprio incompatibile. Ma non sappiamo a quale cifra decimale verrà violata. Ora ci sono due missioni, BepiColombo e Gaia, la missione astrometrica dell’Esa, che misureranno, per esempio, la deflessione, oppure il ritardo dei segnali radio. E se arrivassimo a ottenere due misure indipendenti, effettuate con due metodi completamente diversi, che indicano lo stesso livello di violazione, la cosa verrebbe presa in maniera estremamente più seria”. Con Nobel annesso! Da anni studia le relazioni tra il Sole, la Terra e gli altri pianeti del Sistema Solare e partecipa a importanti missioni spaziali europee come Mars Express e Venus Express. Ma tra tutte, BepiColombo, quella destinata all’esplorazione di Mercurio, che coronerà la sua carriera, metà della quale dedicata proprio a BepiColombo. Stefano Orsini, primo ricercatore dell’Inaf Iaps di Roma, è il responsabile scientifico di Serena, una suite di quattro rivelatori di particelle a bordo di BepiColombo. “Mercurio, oltre ad essere il pianeta più vicino al Sole, è anche provvisto di un campo magnetico simile a quello terrestre, anche se 100 volte più debole. A causa di questa peculiare posizione nel nostro sistema planetario – rivela Stefano Orsini – Mercurio diventa facile bersaglio delle perturbazioni solari che lo colpiscono violentemente. Le trasformazioni a cui il pianeta è soggetto a causa di questo continuo bombardamento sono il risultato di una complessa dinamica, con il campo magnetico del pianeta praticamente legato a quello del vento solare. Tutti i fenomeni che si osservano sulla Terra sono su Mercurio più intensi, estremi: in tal modo se ne possono studiare le conseguenze, così da comprendere meglio quelle indotte dagli stessi fenomeni sull’ambiente terrestre, più difeso di quello di Mercurio, ma certamente egualmente aggredito. Serena (Search for Exosphere Refilling and Emitted Neutral Abundances) include quattro sensori localizzati in quattro diversi punti del satellite Mercury Planetary Orbiter, e un centro di controllo di sistema, Scu (Ohb-I, Milano & Amld, Roma). Elena (Inaf-Iaps, Roma, Italia) è un rivelatore di particelle neutre energetiche emesse dalla superficie del pianeta come effetto dell’impatto di ioni energetici provenienti sia dal vento solare che dalla magnetosfera. La rilevazione di tali particelle è affidata a Picam (IWF, Graz, Austria) e a Mipa (IRF, Kiruna, Svezia). Strofio (SwRI, San Antonio, TX, Usa) misurerà invece la composizione e l’intensità del gas che circonda il pianeta (esosfera). Scu si trova all’interno della scatola di Elena. La sonda Messenger della Nasa che ha raggiunto il pianeta negli scorsi anni non conteneva strumentazione atta a fare le misure che farà Serena: nessuno strumento era dedicato allo studio diretto delle particelle neutre, e gli strumenti dedicati agli ioni non potevano rilevare con precisione le particelle cariche negli intervalli energetici propri del vento solare, né la loro direzione di propagazione. Da questo punto di vista le misure che si effettueranno avranno carattere di assoluta originalità e, unite a quelle effettuate dall’altro satellite giapponese Mmo, consentiranno per la prima volta  di ottenere un quadro completo della dinamica delle particelle nell’ambiente di Mercurio. Serena è un progetto internazionale a guida italiana. I sensori realizzati dai nostri partner europei ed americani sono e saranno riutilizzati in varie altre missioni, quali Juice e Solar Orbiter. Per quanto riguarda l’esperienza italiana, è allo studio l’utilizzo di strumentazione Ena su “CubeSat” a bassa quota per il monitoraggio dell’ambiente circumterrestre nell’ambito dello “space weather”, una rete informatica che si serve di vari strumenti a Terra e nello spazio, che ha lo scopo di prevedere l’arrivo di tempeste magnetiche che potrebbero compromettere il funzionamento delle apparecchiature tecnologiche per energia e telecomunicazioni. Il team guidato da me in Iaps si è occupato di curare lo sviluppo del rivelatore Elena con il finanziamento di Asi e il supporto di Inaf. Il gruppo scientifico e tecnologico, composto da dieci unità, tra ricercatori esperti sia di fisica spaziale che di sviluppo strumentale in laboratorio, tecnologi e tecnici, ha attivamente collaborato e affiancato il gruppo industriale Ohb-I di Milano e la Amdl srl di Roma nella realizzazione dei vari modelli necessari. I prototipi di Elena e Scu sono stati realizzati, provati e verificati dal mio team in stretto contatto con l’industria, che poi ha curato direttamente la realizzazione dei modelli da volo. Tutti i test ambientali e di verifica funzionale hanno avuto luogo sotto la guida del team dello Iaps, utilizzando anche una “facility” di termovuoto disponibile presso il nostro istituto. Alla realizzazione di Elena hanno attivamente partecipato anche i due istituti Isc e Ifn del Cnr di Roma. La realizzazione di Serena ha impegnato quasi metà della mia vita professionale iniziata nel 1978, dato che ho partecipato al progetto fin dal suo nascere, nelle commissioni scientifiche dell’Esa che cominciarono ad occuparsi di BepiColombo a partire dalla fine degli Anni ’90. Un’onda impetuosa di passione, impegno, fascino, una grande esperienza umana, con colleghi che progressivamente hanno costituito una famiglia professionale, alla quale si sono aggiunti anche i colleghi coinvolti nello sviluppo degli altri sensori. Un’ondata di passione, ma anche di notevoli responsabilità che mi hanno costretto a prendere infinite decisioni, spesso anche critiche, nella consapevolezza che anche un solo errore strategico avrebbe potuto compromettere la buona realizzazione degli strumenti. Una passione che ha avuto successo e che si è infine riunita alla mia vita artistica-amatoriale di cantautore, con la realizzazione della Bepi-song, alla quale hanno partecipato con entusiasmo vari colleghi di Esa e Jaxa, accomunati con me nella passione per la musica: un canto liberatorio e di speranza che questo sforzo professionale così grande e ingente possa servire da esempio per l’avventura dell’umanità sul nostro pianeta: niente può sostituire la passione, l’abnegazione, il lavoro di gruppo come autentica espressione di amore per il genere umano”(www.youtube.com/watch?v=MBoP51BtWlI). La missione russa Soyuz MS-10 fotografata da Alexander Gerst, astronauta tedesco dell’Esa e attuale comandante della Stazione Spaziale Internazionale, postata su “Flickr”, testimonia i pericoli insiti nell’esplorazione dello spazio cosmico. Ma siamo pionieri! L’autore scrive: “Sono contento che i nostri amici stiano bene. Grazie a più di 1000 soccorritori! Oggi si è dimostrato ancora una volta quanto sia grande la Soyuz: nonostante una falsa partenza, l’equipaggio è stato sicuramente riportato sulla Terra. I viaggi spaziali sono difficili. Ma dobbiamo andare avanti, a beneficio dell’Umanità”. Doveva trattarsi di una missione di routine. La Sojuz MS-10 avrebbe dovuto portare il cosmonauta russo Alexey Ovchinin e l’astronauta statunitense Nick Hague a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per integrarne l’equipaggio attualmente composto dal tedesco Alexander Gerst (Esa), dal russo Sergey Prokopyev (Roscosmos) e dalla statunitense Serena Auñón-Chancellor (Nasa). Qualcosa, però, è andato storto e il lancio è stato abortito dopo nemmeno due minuti di volo. Fortunatamente, nessuna conseguenza per l’equipaggio, ma inevitabili interrogativi e possibili ricadute sui prossimi voli che stanno riprendendo regolarmente anche con i razzi Proton dalla nuova base spaziale russa inaugurata dal Presidente Putin. Quello in calendario l’11 Ottobre 2018 era il 139mo lancio di una Sojuz-Fregat e non c’era motivo di dubitare dell’ormai proverbiale affidabilità di questa navetta spaziale russa, una delle più rodate e utilizzate della storia delle esplorazioni spaziali umane. Per imbattersi in un suo incidente, infatti, si deve ritornare al 26 Settembre 1983, quando la fuoruscita di carburante e la sua istantanea accensione appena prima del decollo della Sojuz T-10A impose di abortire il lancio. Dopo attimi di grande apprensione, si attivarono le procedure di sicurezza e il modulo con i due cosmonauti venne separato dai booster: a parte il dover sperimentare un’accelerazione di 17 G, l’equipaggio giunse a terra sano e salvo. Per dare un’idea di cosa possa significare tale valore, basterà citare i dati relativi alle più brusche frenate sperimentate da una vettura di Formula Uno. Secondo Brembo, la frenata più impegnativa sarebbe quella della prima variante del circuito di Monza, caratterizzata da una decelerazione di circa 6 G. Il che significa che l’equipaggio della Sojuz T-10A sperimentò un’accelerazione quasi tripla. Sull’affidabilità delle Sojuz, per trovare un incidente in volo si deve andare al 5 Aprile 1975, quando la salita della Sojuz 18-A verso l’orbita prevista venne interrotta dopo neppure cinque minuti di volo. Anche in quell’occasione per i due cosmonauti non vi furono tragiche conseguenze, ma dovettero comunque affrontare una violentissima accelerazione di 21,3 G che causò un serio trauma al comandante Vasilij Lazarev, imponendogli di rinunciare a ulteriori voli nello spazio. Altrettanto affidabile anche il sistema russo di spinta, equipaggiato con quattro booster incaricati di fornire la poderosa spallata necessaria al decollo. Il vettore Sojuz-FG, dal suo primo utilizzo nel Maggio 2001, poteva vantare ben 64 decolli effettuati con il 100 per cento di successi. Assolutamente nessun problema per la Sojuz MS-10 durante il conto alla rovescia e neppure, dopo il via libera del direttore di volo, durante la fase iniziale della sua ascensione. Le immagini del decollo della Sojuz, trasmesse in diretta anche dalla Nasa, non evidenziano nessuna anomalia. Normalmente, al vettore occorrono 8 minuti e 45 secondi per depositare la Sojuz nella sua orbita per il volo diretto sulla Iss, ma la corsa della MS-10 termina molto prima. Neppure due minuti dopo il “lift off”, infatti, ecco il guaio. Le immagini dell’interno della navetta mostrano che i due astronauti sono sottoposti a un brusco e anomalo scossone. Nel piano di volo, quello è il momento in cui i quattro booster, esaurito il loro compito, vengono sganciati e interviene la spinta del motore del “core stage”, un momento certamente delicato ma che non aveva mai dato nessun problema. Quando l’inquadratura ritorna alla telecamera a lungo raggio, si nota la presenza di detriti nei pressi della Sojuz, chiaro segnale che qualcosa in quel volo era andato storto. Immediato è stato l’intervento del sistema di emergenza che, separando l’abitacolo dal resto del vettore, lo immette su una traiettoria balistica, il modo più rapido, ma anche più violento, per il ritorno sulla Terra. La capsula con a bordo Ovchinin e Hague tocca il suolo a 400 chilometri da Baikonur e quando le squadre di soccorso, un’ora e mezza più tardi, raggiungono il punto di atterraggio, i due astronauti avevano già abbandonato la capsula. La prova che stavano bene. Tragedia evitata, dunque. Ma la vicenda non può certo chiudersi qui. Immediata la decisione dell’Agenzia russa Roscosmos di istituire una commissione d’inchiesta che, in tempi rapidi, possa stabilire la dinamica e le cause dell’incidente. Ancora non sono stati diffusi risultati ufficiali definitivi, ma si è già comunque circoscritta la possibile causa del disastro. Nel corso di una conferenza stampa, Sergei Krikalev, responsabile del programma spaziale russo di volo con equipaggio, ha spiegato che il problema manifestatosi con la Sojuz MS-10 è da ricondurre a una collisione tra frammenti dei booster con il core stage del razzo. I primi dati indicherebbero che la separazione di uno dei booster non sia avvenuta correttamente e alcuni frammenti abbiano danneggiato la sezione inferiore del core stage. A quel punto, come previsto, il sistema di sicurezza della Sojuz avrebbe automaticamente attivato le procedure di aborto della missione. Possibili conseguenze di questo incidente? Quali scenari nell’immediato futuro? Bisogna anzitutto ricordare che, attualmente, i vettori russi sono l’unico mezzo di trasporto degli astronauti da e per la Stazione Spaziale Internazionale. Questo comporta che, mentre non vi sono problemi per i collegamenti con navette cargo pubbliche e private, quando si deve dare un passaggio a un astronauta verso la Stazione Spaziale Mondiale la faccenda si complica. Dopo lo scellerato definitivo pensionamento degli Space Shuttle nell’era repubblicana del Presidente G.W. Bush A.D. 2004 (l’ultima missione fu quella di Atlantis nel Luglio 2011) la Nasa non ha ancora attivato un sistema per il volo umano che possa rimpiazzare quelle gloriose navette. Da molti anni all’ente spaziale americano stanno lavorando alla capsula Orion e al nuovo lanciatore SLS, ma il progetto non si è ancora concretizzato e si parla di un primo test di volo nel 2020 e l’impiego con equipaggio due anni più tardi. Sembrano molto più prossimi a vedere la luce, invece, i progetti di SpaceX, Boeing, Blue Origin, Virgin Galactic e altre compagnie private. C’è poi il nuovo Space Shuttle “VentureStar” della Lockheed Martin che vedrà molto presto la “luce” con una collaborazione europea. Ma solo negli Usa dove la liberalizzazione dell’industria spaziale procede a gonfie vele, con attori sempre nuovi, grazie all’imput politico del Congresso. Basta dare un’occhiara su YouTube. Stando alle dichiarazioni ufficiali, già il prossimo anno potremmo assistere sia al primo volo con equipaggio di Space Dragon, la navetta della società di Elon Musk, sia a quello di CST-100 Starliner, la nuova capsula nata dalla collaborazione tra Nasa e Boeing, progettata proprio per fare la spola con la Stazione Spaziale Internazionale. Sempre in orbita bassa. È pur vero che, parlando di voli umani, da qualche anno a questa parte anche la Cina sta mietendo grandi successi, ma è necessario ricordare come l’attuale posizione politica esclusiva Usa per il “dominio” dello Spazio, in violazione di ogni legge, norma e trattato, impedisca di fatto una simile collaborazione o leale concorrenza a beneficio dell’Umanità. In Italia abbiamo geni capaci di tutto. Ma “volano” sempre via! I Russi hanno effettuato con successo un lancio verso la Stazione Spaziale con il razzo Proton, un cargo Progress senza equipaggio. A Dicembre seguirà la missione Soyuz MS-11, grazie agli esiti dell’inchiesta. Assolutamente nessun problema per i tre astronauti attualmente a bordo della Stazione spaziale. Le scorte disponibili a bordo erano in grado di garantire una permanenza di circa 200 giorni senza bisogno di rifornimento. Nessun problema grazie alla Russia, anche nel caso nel caso sorgesse la necessità di abbandonare improvvisamente la Stazione. Eventualità per la quale già esistono piani alternativi, tra cui l’invio di un modulo automatico in grado di garantire una navetta affidabile per il corretto ritorno a terra. Giornata speciale per l’Italia, lo scorso 6 Novembre 2018, nella comunità del “San Marco Project” che ha ospitato la prima visita del nuovo Ambasciatore d’Italia in Kenya, recatosial Centro “L. Broglio” a soli due mesi dall’inizio del proprio mandato. L’Ambasciatore ha visitato tutte le “facility” tecniche del centro, con particolare attenzione alle stazioni per il controllo delle operazioni satellitari che stanno per essere ampliate grazie all’arrivo della nuova antenna. L’installazione, che nei codici internazionali è identificata con la sigla “MLD 2 B”, consentirà al Broglio Space Centre di ampliare le sue capacità nei servizi TT&C (Telemetry, Tracking & Command). Negli ultimi mesi la stazione dell’Agenzia Spaziale Italiana di Malindi ha sostenuto una frenetica attività, essendo coinvolta in tutti i lanci più importanti, come BepiColombo e Saocom1A. Nel suo saluto al personale italiano e keniano della base, l’Ambasciatore Pieri ha sottolineato come la base spaziale italiana “L. Broglio” rappresenti un centro di eccellenza per l’Italia e un asset di grande importanza nell’ambito dei rapporti tra Italia e Kenya, con particolare riferimento all’aspetto della formazione e dell’addestramento per i giovani keniani impegnati nelle nuove applicazioni spaziali. La base di Malindi è stata infatti individuata dall’International Space Forum dello scorso Febbraio 2018 di Nairobi, come il futuro centro regionale per lo sviluppo delle applicazioni di osservazione della Terra. Africa e Italia sono sempre più vicine nelle missioni spaziali congiunte. E, magari, con astronauti africani sulla Iss, grazie ai futuri space shuttle italiani.
Circa la sicurezza, il responsabile della base Francesco Dominici ha dichiarato: “Gli interventi di ammodernamento e sviluppo, in parte realizzati e in parte in corso di completamento, e l’innalzamento dei livelli di sicurezza della struttura, mettono il Broglio Space Centre ai massimi livelli di sicurezza nell’ambito delle strutture civili”. Dominici ha poi descritto il nuovo modello di partnership che prevede, a fianco delle consolidate attività istituzionali, una serie di contratti commerciali con i più importanti “player” del settore spaziale. Malindi non solo è un asset importante dell’Agenzia Spaziale Italiana, ma di tutto il sistema istituzionale nazionale. Il centro rappresenta al meglio l’evoluzione della nostra storia spaziale nazionale, che a partire dalla geniale intuizione del Generale Broglio ha messo a sistema l’insieme delle competenze tecnico scientifiche presenti nelle università, nei centri di ricerca e nelle industrie. Proprio in Africa potrebbe essere costruito e lanciato il primo space shuttle italiani per le missioni sia in orbita bassa sia nello spazio profondo. Maurizio Cheli entra nel frattempo del Cda dell’Agenzia Spaziale Italiana. La designazione di Cheli è stata fatta da Luigi Di Maio, come Ministro dello Sviluppo, in occasione della prima riunione del Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale, l’organismo a cui la nuova legge affida il compito di definire gli indirizzi del Governo italiano in materia spaziale e aerospaziale. Astronauta, pilota collaudatore, imprenditore del settore aeronautico, Maurizio Cheli aveva volato nel 1996 a bordo dello Space Shuttle Columbia partecipando alla missione STS-75 “Tethered Satellite”. Da Maggio 2018 è componente del Cda del CIRA di Capua. Annunciando il nome dell’astronauta, Di Maio ha sottolineato che “Cheli è un’eccellenza italiana e il nostro governo ha deciso di valorizzare al massimo le sue competenze. Un piccolo passo per Maurizio Cheli, un grande passo per la meritocrazia in questo Paese. Finalmente le persone giuste al posto giusto. Facciamo i migliori auguri a Maurizio per il nuovo incarico!”. Il fatto che in Groenlandia, sotto i ghiacci, sia stato scoperto un enorme cratere da impatto, originato dall’arrivo catastrofico sulla Terra di un raro meteorite ferroso che migliaia di anni fa ha liberato qualcosa come 3×10 alla 21ma potenza in Joule di energia, dovrebbe far riflettere chi di dovere. Il cratere misura più di 31 chilometri di diametro e per questo è stato collocato tra i 25 più grandi crateri da impatto sulla Terra. È rimasto sotto il ghiaccio per migliaia di anni. Le tracce dei violenti impatti che hanno modellato la Terra sono ancora evidenti sopra e sotto la superficie del “nostro” pianeta. Di recente, infatti, è stato svelato un enorme cratere da impatto di 31 chilometri di diametro nella Terra di Inglefield in Groenlandia settentrionale. Il responsabile pare essere un meteorite ferroso di un chilometro di diametro che ha colpito la Terra ben 12mila anni fa, verso la fine del Pleistocene. Il cratere è descritto nello studio “A large impact crater beneath Hiawatha Glacier in northwest Greenland”, di Kurt H. Kjær, Nicolaj K. Larsen, Tobias Binder, Anders A. Bjørk, Olaf Eisen, Mark A. Fahnestock, Svend Funder, Adam A. Garde, Henning Haack, Veit Helm, Michael Houmark-Nielsen, Kristian K. Kjeldsen, Shfaqat A. Khan, Horst Machguth, Iain McDonald, Mathieu Morlighem, Jérémie Mouginot, John D. Paden, Tod E. Waight, Christian Weikusat, Eske Willerslev e Joseph A. MacGregor. Pubblicato su Science Advances, entra a pieno titolo nella classifica dei 25 crateri da impatto più grandi del pianeta. Il ghiacciaio continentale che lo ha “protetto” in questi millenni è quello di Hiawatha. Scoperto sotto un chilometro di ghiaccio e studiato con i dati raccolti dai radar Nasa dal 1997 al 2014, nel 2016 il cratere è stato nuovamente analizzato con un sistema radar di nuova generazione, il “Multichannel Coherent Radar Depth Sounder”. “Il cratere è eccezionalmente ben conservato e questo è sorprendente, perché il ghiaccio è un agente erosivo incredibilmente efficiente che avrebbe rapidamente rimosso le tracce dell’impatto”, osserva Kurt H. Kjær del Centro di Geogenetica al Museo di storia naturale di Danimarca. Il cratere è relativamente “giovane” dal punto di vista geologico. “Non è stato possibile datarlo direttamente, ma il suo stato suggerisce che si sia formato dopo che il ghiaccio ha cominciato a coprire la Groenlandia, verso la fine dell’ultima era glaciale”, rivelo lo scienziato. Casualmente, un gigantesco meteorite ferroso di 20 tonnellate trovato in Groenlandia, non lontano da Hiawatha, viene conservato nel giardino del Centro di Geogenetica di Copenhagen. Da lì la prima intuizione dei ricercatori, ma mancavano le prove concrete. Torna alla memoria il film “Il senso di Smilla per la neve” (1997) del regista Bille August, con un impatto cosmico mozzafiato come l’attrice protagonista! La presenza del cratere è confermata da alcune mappe. Presenta una struttura circolare, ma non è semplice da individuare sorvolando la zona. Solo grazie all’incrocio di dati satellitari e dei radar è stato possibile confermare le coordinate e la forma. Il team di scienziati ha poi effettuato successivi studi a terra di sedimenti glaciofluviali mostrando la presenza di quarzo “scioccato” e altri grani tra cui anche il vetro, prodotti dalla fusione generata dal violent impatto (http://advances.sciencemag.org/content/4/11/eaar8173). Si legge nello studio: “The diameter of an impact crater constrains the kinetic energy of the impactor. The formation of a 31-km-wide impact crater in crystalline target rock requires ~3 × 1021 J of energy. Assuming that the Hiawatha impactor was iron with a density of 8000 kg m−3 and its impact velocity was 20 km s−1, the required impactor diameter was ~1.5 km. The impact would initially produce a bowl-shaped cavity ~20 km in diameter and ~7 km deep, which would quickly collapse (within ~1 min) to form a complex crater more than 31 km in diameter and ~800 m deep with a central uplift. This impact scenario would have melted and vaporized up to ~20 km3 of target rock, approximately half of which would have remained within the crater, forming a melt sheet up to ~50 m deep”. Negli Usa, come in Italia, lo spazio è un settore strategico della difesa, della politica energetica, del governo e del parlamento, e soprattutto delle imprese. Lo spazio è energia, libertà, lavoro, prosperità. Non può essere lasciato a pochi fortunati. Tutti in Italia tacciono questa fondamentale verità che è anche alla base del successo della compagnia spaziale californiana SpaceX del magnate Elon Musk. La cui auto cosmica Tesla Roadster ha appena superato il pianeta Marte con “Space Oddity” nell’autoradio, lanciata dal nuovo potente vettore Falcon Heavy, lo scorso 6 Febbraio 2018. Poesia. Non c’è altro modo per descrivere l’incredibile incontro tra perfezione tecnologica ed estetica cosmica, edificata dalla liberalizzazione dell’industria spaziale privata. Un atto politico. Come la futura missione italiana e russa sul pianeta Venere, a bordo di una vera astronave interplanetaria, con lo sbarco dei primi astronauti sulla rovente superficie di un mondo alieno. Fantascienza? No, scienza e tecnologia al servizio dell’Umanità. Dolgozhivuschaya.

© Nicola Facciolini

Redazione - Il Faro 24

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