Questa mostra, “La Scienza del fare”, che si inaugurerà all’Aquila il 25 settembre alle ore 18 al Palazzetto dei Nobili, è dedicata a Leonardo da Vinci, colui che seppe unire Arte e Scienza. Leonardo fu il perfetto esempio di come l’Arte e la Scienza possano formare un sodalizio umano tutt’altro che contrastante: e non si tratta solamente di congiunzione degli opposti, si tratta di un qualcosa di più, che potremmo definire vera e propria armonia. Nonostante, nella modernità, tante contrarietà nei confronti di una fusione tra Scienza e Arte, troviamo molti intellettuali che si sono battuti per unire queste due discipline della conoscenza.
In tal senso molto influente è stato Primo Levi che affermava: “Le due culture sono, in realtà, una sola” e questo in contrapposizione alle affermazioni dell’inglese Charles Percy Snow che invece asseriva l’avvenuta e per lui giusta separazione tra le due discipline, quella appunto scientifica da quella umanistica. Il nostro scrittore/chimico Levi dava per innaturale la divisione tra le due culture perché sosteneva che l’Arte e la Scienza sono manifestazioni diverse, sono linguaggi diversi, ma profondamente interpretati da un unico sapere, appunto quello umano. Snow, al contrario, ribadiva che bisognava mantenere una scissione netta fra le due visioni dell’esprimersi, per questioni di ordine etico.
Innegabilmente la scienza è sempre stata presente nelle opere pittoriche. Ad esempio la chimica interviene nelle componenti formanti i colori. Ogni pigmento ha un suo preciso assemblaggio molecolare la cui conoscenza è spesso fondamentale per proteggere il dipinto dalle alterazioni dovute agli agenti esterni, soprattutto a quelli causati dalla luce. Inoltre, attraverso la diagnostica (approccio scientifico basato su una serie di indagini fisiche e chimiche), è possibile anche accertare la vera paternità di un’opera (o, al contrario, svelare un falso). Naturalmente il punto di vista scientifico non è legato solo alla salvaguardia o alla datazione dei dipinti, ma anche, se non soprattutto, al come essi vengono concepiti, cioè progettati, quindi messi in opera.
La chimica è una disciplina importante nella fusione fra Arte e Scienza, ma dobbiamo dare oltremodo considerazione ai tempi, molto remoti, quando “le due culture” nel vero donarono, oserei biologicamente, avendo un’origine comune, vigore al corso evolutivo della specie umana. Una delle prime manifestazioni di tale produttivo connubio, risalente a 40.000 anni fa, sono stati i graffiti, realizzati dall’Homo sapiens, essendo, gli stessi, valide manifestazioni della capacità di elaborare razionalmente, quindi scientificamente, un pensiero astratto, portandolo a livelli di raffinatezza e di genialità artistica.
Nelle pitture pompeiane, a seguire e quale ulteriore esempio, vennero evidenziate conoscenze di botanica molto approfondite; mentre, nei secoli successivi, fino a oggi, la rappresentazione di alberi, di specie di piante, di fiori, nonché disegni di animali o di alcuni particolari anatomici, affrontati con approcci molto scientifici, sono stati e sono, in arte, all’ordine del giorno. Poi studi dei fenomeni atmosferici, rappresentazioni di cieli stellati, nuvole o addirittura costellazioni hanno impreziosito questa o quella tela. Quindi, e quale prova massima, in pittura troviamo prospettive lineari basate su rigide regole geometriche, del resto lo spazio tridimensionale può essere rappresentato usando due dimensioni solo attraverso l’ideazione di una nuova concezione dello stesso che è, al contempo, giusta commistione fra matematica e filosofia. Poi, di passo in passo, abbiamo attraversato lunghi periodi dove “le due culture”, unite, sono state protagoniste nel mondo intero, e tramite esse l’uomo ha ricercato anche un profondo senso estetico, sia nel creare sia nell’essere.
Ci sarebbe ancora tanto da dire su questa intesa tra Arte e Scienza, ma cerchiamo di sintetizzare tramite quanto scritto, un qualche mese fa, nella rivista “Centro studi di città della scienza”:
In questa manifestazione espositiva, coincidente con la “Notte dei Ricercatori” a L’Aquila, possiamo vantare la presenza di tre maestri, quali Enrico Manera, Alberto Parres e Maurizio Gabbana, e ventidue eccellenti artisti partecipanti, che si dividono in tre gruppi. Abbiamo, nel primo, riunitosi in un percorso che va da un costruttivismo più radicale all’esperienza iconica, seppure contaminata già da studi informali, personalità come: Fabrizio Campanella, Alfredo Celli, Antonio Cimino, Giuliano Cotellessa, Marco Fattori, Marilù Giannantonio e Fausto Marganelli; poi un secondo in cui la ricerca di immagini tratte dal reale unita a una cultura millenaria come quella figurativa trovano visione nei lavori di: Lino Alviani, Giancarlo Costanzo, Alfredo Di Bacco, Cesare Giuliani e Alessandro Piccinini; invece nel terzo e ultimo gruppo, in cui dominano installazione, assemblaggio di più componenti e rimandi spaziali alle tre dimensioni, troviamo: Bruna Bontempo, Rossano Di Cicco Morra, Luciano Di Gregorio, Bruno Di Pietro, Volha Fiodarava, Cleonice Gioia, Pierpaolo Mancinelli, Vladimiro Marrama, Shuhei Matsuyama e Giampiero Piccinino Verna.