C’era una volta, tanti anni fa, una straordinaria birra, la “Birra d’Abruzzo”. Era il 1921 quando in un minuscolo paesino del Sangro, nacque un birrificio che in pochi anni passò da una produzione di poco piu’ di 2.000 ettolitri di birra a circa 6.000. Una volta, perché quelle cifre diedero molta preoccupazione a qualcuno e, così misteriosamente come era esplosa, la Birra d’Abruzzo scomparve: passarono circa 9 anni, era il 1930 quando la Società Birra Peroni ne divenne azionista di maggioranza e nel 1936 lo stabile venne venduto, dismesso, la storia seppellita negli archivi napoletani dell’altra birra, la bionda che non voleva avversarie. Era il 1920/21″. In quegli anni l’Italia ricominciò a produrre birra. I birrifici nacquero nel nord, nel 1890 c’erano 140 fabrichette in tutto lo stivale. Nel ’900 scesero a 99, e quando la Birra d’Abruzzo cominciò il suo viaggio erano 58 in tutto.Le notizie dell’epoca ci arrivano, dalla ricercatrice Maria Santucci, dal sig. Nicola Buzzelli, uno di quei lavoratori che costruirono questa storia, classe 1900, all’epoca aveva 20 anni.La sigra Santucci porta alla luce questa storia e tutte le informazioni per non far dimenticare la piu’ antica birra mai nata in abruzzo. “ è un pezzo della storia di questo territorio, così straordinario che non poteva andare perduto”. Per riaverlo ha chiesto le carte degli inventari Peroni conservati all’Archivio di Stato di Napoli e quando li scorre si stupisce della modernità di quell’impianto, concepito per dare benefici a tutta la Piana e anche oltre: “Per la stazione di Montenero significò vita – spulcia i documenti per dimostrarlo – perché arrivava materiale e dovettero fare scambi, persino un ponte a bilico di 30 tonnellate inserito nel raccordo che c’era dentro lo stabilimento. Qui ci sono le richieste degli amministratori di allora, accordate dalle Ferrovie dello Stato, lungo quei binari correva il traffico di luppoli dalla Germania, casse di orzo caramellato, di bottiglie, di lieviti e a mano a mano che queste merci arrivavano la produzione della birra saliva, lo stabilimento andava a gonfie vele”.Dai report dei distributori si leggono gli elenchi di decine e decine di paesi e paesini della provincia di Chieti, Teramo, L’Aquila, Pescara. La Birra d’Abruzzo fu madrina persino della Fiera Campionaria di Castellammare Adriatico nell’agosto del 1923 per quanto era diventata popolare. “Era buona perché sostenibile – “sostiene” la nostra bibliotecaria, rimarcando l’attenzione su un ingrediente non trascurabile – per via dell’acqua. Un’ottima acqua di cui il territorio era naturalmente ricco, che con l’aumentare della produzione richiese lo scavo di un pozzo ad hoc per la fabbrica. Queste componenti e un ottimo ambiente di lavoro furono il segreto che rese la Birra d’Abruzzo competitiva e fece spaventare le altre etichette: si bevve di più della nota Birra Meridionale e poi, con il suo prezzo di 2,30 lire, attaccò di petto la birra delle birre di quegli anni, la Peroni”. E’ storia, ad esempio, che l’allora rappresentante Peroni, tal Filippo Murolo, vide calare il numero dei carri di birra Peroni in loco da 70/80 l’anno a 2 o 3 in tutto, perché la gente preferiva la birra “locale” e non solo in Abruzzo, perché quella birra arrivò anche a Milano e allo stesso prezzo. Non servì a nulla portare il prezzo della prima a 2 lire, nella Piana si continuava a bere abruzzese, perché lo stabilimento nel frattempo era diventato luogo di incontro e socializzazione. “Dava benessere al territorio, era un prodotto amato e chi lo faceva ne era primo promotore perché sapeva con che cosa era fatto. Anche i resti degli ingredienti tornavano al territorio: l’orzo caramellato, ad esempio, non veniva buttato via, ma rivenduto a poco agli allevatori del posto per alimentare mandrie e bestie varie. E’ stupefacente scoprire dal fatturato i miracoli di questo birrificio, sempre in attivo, toccando punte milionarie e una produzione in continua crescita, tanto che anche quando vennero messe delle imbottigliatrici automatiche la richiesta era sempre maggiore del prodotto, finché la Peroni non cominciò a farsi avanti per acquistarla. Dalle carte si può solo desumere cosa accadde, perché la fabbrica fu venduta, cosa, forse, convinse gli azionisti a cedere le quote nel momento di maggiore splendore economico dell’impresa. Nero su bianco ci fu una convenzione, in virtù di cui la Peroni si impegnava a tenere aperto lo stabilimento, ma per la sua etichetta. Ma così accadde per pochi anni, quelli prima dell’epilogo”. Siamo al ’36, il 21 marzo, quando venne convocato un consiglio di amministrazione in cui si decise la fine di quell’avventura. Uno dei sindaci, il liquidatore, si dimise e dopo l’avvocato Luigi Lepore gli altri sindaci cedettero le loro quote ricevendo le liquidazioni. Nel verbale di quell’assemblea venne aggiunto lo stato patrimoniale della società, le proprietà, la produzione, così gli anni di lavoro e conquista di un mercato prima inesistente furono trasformati in semplici cifre. L’atto notarile seguito a quell’assemblea porta la data del 19 settembre 1936 e sancì chiusura e vendita all’asta di edificio e i macchinari, le attrezzature vennero smontate e disseminate nei magazzini del miglior offerente.La Birra d’Abruzzo divenne un ricordo senza lieto fine, per quelli che la bevvero e per quanti la produssero. Nessuno seppe mai il perché di quella scelta, è che di fronte alle vicende umane complesse la realtà si arrende a spiegazioni semplici. Così la logica del pesce grande che vinse sul pesce piccolo rese “accettabile” quella perdita, plausibile.
“Eppure quella birra ha dimostrato quanto il territorio poteva diventare forte con gli ingredienti giusti. Se l’entusiasmo degli inizi fosse rimasto, non si fosse corrotto, forse ora avremmo una birra nota in tutto il mondo, come l’altra. Le premesse c’erano tutte, le basi erano buone, quell’esperienza fu antesignana, anche di una produzione rispettosa dell’ambiente, che prendeva dal territorio e al territorio restituiva sia i materiali sfruttati, come fertilizzanti e cibo, sia il prodotto a prezzi accessibili a tutti. Una storia unica, per quei tempi e anche per quelli contemporanei”.