L’Aquila rende omaggio a Maria Federici, Madre costituente, a 40 anni dalla scomparsa

di Goffredo Palmerini

L’AQUILA – Giusto e doveroso l’omaggio che l’ANFE Abruzzo e l’Istituto Abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea (IASRIC) hanno tributato a Maria Federici, Madre costituente, a 40 anni dalla sua morte, avvenuta a Roma il 28 luglio 1984. Lo hanno tenuto oggi, primo giorno feriale utile, in una sede istituzionale quale il Consiglio Regionale d’Abruzzo. Tre gli interventi svolti in memoria di Maria Federici: di Carlo Fonzi, presidente IASRIC, di Pasqualina Di Giacomo Patrizio, e di chi scrive, quale presidente di ANFE Abruzzo. Il presidente Fonzi, portando il saluto dell’Istituto, ha voluto richiamare le rilevanti attività di Maria Federici, il suo pensiero politico e sociale, l’avversione al fascismo, il suo impegno assiduo nella Resistenza a Roma, in aiuto a perseguitati politici, profughi ed ebrei. La prof. Pasqualina Di Giacomo ha portato una toccante testimonianza sulle rilevanti attività che l’ANFE provinciale dell’Aquila, presieduto dal prof. Serafino Patrizio – suo marito, scomparso nel 2020 – ha realizzato in quasi mezzo secolo d’impegno nel campo dell’assistenza, della formazione, della cultura e delle relazioni con le comunità italiane nel mondo. Chi scrive, di tale impegno assiduo e significativo, di valori e di risultati, ne è stato testimone almeno per un quarto di secolo. Davvero il prof. Patrizio, con la stretta collaborazione della consorte, ha segnato una stagione luminosa in Abruzzo, secondo i princìpi fondanti di Maria Federici, lei stessa che lo aveva chiamato alla guida dell’ANFE dell’Aquila. Infine, il terzo contributo è stato quello di chi scrive. Se può essere d’interesse, qui di seguito la relazione svolta in tributo a Maria Federici

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MARIA AGAMBEN FEDERICI

Maria Agamben era nata a L’Aquila il 19 settembre 1899 da Alfredo e Nicolina Auriti, il padre di origine armena, come diremo più avanti. Famiglia benestante, Maria si laurea in Lettere, è docente e giornalista. Nel 1926 sposa Mario Federici, anch’egli aquilano, drammaturgo ed affermato critico letterario, tra le personalità più insigni della cultura abruzzese del Novecento. Negli anni della dittatura fascista lascia l’Italia insieme al marito e va all’estero ad insegnare negli Istituti italiani di cultura, dapprima a Sofia, poi al Cairo e infine a Parigi. Cattolica impegnata, profonda fede nei valori di libertà e democrazia, la Federici matura la sua formazione influenzata dal pensiero cristiano sociale – soprattutto di Emmanuel Mounier e Jacques Maritain – che avrebbe connotato profondamente la filosofia e la politica dello scorso secolo. Esperienza significativa quella vissuta all’estero dalla Federici, nella consapevolezza del valore della libertà, della giustizia sociale e del ruolo essenziale della donna, non solo nella famiglia, ma anche in politica e nella società.

Al rientro in Italia, nel 1939, avvia un intenso impegno sociale. A Roma è attiva nella Resistenza, organizzando un centro d’assistenza per perseguitati politici, profughi e reduci. Presto si rivela per il suo forte carisma come esempio d’emancipazione femminile ante litteram, con trent’anni d’anticipo sui movimenti poi nati in Europa. Nel 1944 è tra i fondatori delle Acli, poi del Centro Italiano Femminile (Cif) del quale diventa la prima Presidente, dal 1945 al ‘50. Ma soprattutto è una delle figure più importanti dell’Italia democratica che il 2 giugno 1946 votava il referendum istituzionale, Monarchia o Repubblica. In quel 2 giugno passato alla storia l’Italia scelse la Repubblica, con quasi 2 milioni di voti in più. Si votò anche per eleggere l’Assemblea costituente, a suffragio universale.

Per la prima volta votarono anche le donne, la prima volta nella storia d’Italia, e finalmente poterono essere elette in Parlamento. Su 556 deputati dell’Assemblea furono elette 21 donne: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito socialista e 1 dell’Uomo qualunque. Ricordiamole con i loro nomi, che sono incisi nella storia della nostra Repubblica: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio.

L’Abruzzo, allora regione insieme al Molise, orgogliosamente portò nell’Assemblea due Madri costituenti: l’aquilana Maria Agamben Federici, eletta nel collegio di Perugia-Terni-Rieti, e la pescarese Filomena Delli Castelli eletta in Abruzzo-Molise, che fu poi parlamentare nelle prime due Legislature e sindaca di Montesilvano dal 1951 al 1955, tra le prime donne sindaco d’una città.

Alcune di loro – annota una pubblicazione del Senato sulle 21 Madri costituenti – divennero grandi personaggi, altre rimasero a lungo nelle aule parlamentari, altre ancora, in seguito, tornarono alle loro occupazioni. Tutte, però, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l’ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative. Donne fiere di poter partecipare alle scelte politiche del Paese nel momento della fondazione di una nuova società democratica. Per la maggior parte di loro fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Con gradi diversi di impegno e tenendo presenti le posizioni dei rispettivi partiti, spesso fecero causa comune sui temi dell’emancipazione femminile, ai quali fu dedicata, in prevalenza, la loro attenzione. La loro intensa passione politica le porterà a superare i tanti ostacoli che all’epoca resero difficile la partecipazione delle donne alla vita politica.

Nell’Assemblea Costituente Maria Federici è una delle figure più incisive. Assieme alla collega di partito Angela Gotelli (Dc), a Nilde Iotti e Teresa Noce (Pci), a Lina Merlin (Psi), Maria Federici entra nella Commissione Speciale dei 75 che sotto la presidenza di Meuccio Ruini elabora il progetto di Carta costituzionale, poi discussa in aula dall’Assemblea ed approvata il 22 dicembre ‘47. Promulgata il 27 dicembre dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, la Costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948. Rilevante il contributo reso dalla Federici nella Commissione dei 75, in tema di famiglia, sull’accesso delle donne in Magistratura, sulle garanzie economico-sociali per l’assistenza alla famiglia, del diritto all’affermazione della personalità del cittadino, sul diritto di associazione e ordinamento sindacale, sul diritto di proprietà nell’economia. Pure rilevante il suo ruolo in Assemblea plenaria con incisivi interventi in aula sui rapporti etico-sociali, sui rapporti economici e politici, su diritti e sui doveri dei cittadini, sulla Magistratura.

Un altro argomento affrontato dall’onorevole aquilana Maria Federici – tra l’altro annoterà Rosa Russo Jervolino, per molti anni parlamentare e ministro – è quello della possibilità della donna di entrare in Magistratura e di percorrerne tutta la carriera fino ai livelli più alti. Un principio del tutto conseguente con la scelta compiuta dall’articolo 3 della Costituzione di uguali diritti per tutti i cittadini indipendentemente dal sesso, ma che trovava tante opposizioni compresa quella autorevolissima dell’on. Giovanni Leone. Questa volta per fortuna la parlamentare ha avuto ragione: le donne sono ora la maggioranza dei magistrati togati, siedono al Consiglio superiore della Magistratura ed alla Corte Costituzionale. Questo perché hanno saputo sul campo realizzare una piena ed equilibrata attuazione dell’art. 51 della Costituzione ed hanno così smentito tutti i pregiudizi di presunta emotività, mancanza di equilibrio e di incapacità che le avrebbe rese inidonee a questo ruolo.”

Significativo, in particolare, il suo impegno nel Gruppo ristretto dei 75, dove la Federici si batte fortemente per il riconoscimento alle donne dello status di “capo-famiglia”; perché il sostegno alla famiglia si sostanzi attraverso garanzie economiche e sociali; perché vengano riconosciuti i diritti dei nuclei familiari irregolari e dei figli nati fuori del matrimonio; perché sia garantita l’istruzione ai “ragazzi poveri”; perché sia riconosciuta la stessa retribuzione a parità di lavoro; perché le condizioni di lavoro rispettino la specificità femminile nella sua funzione familiare e materna; perché si rimuova ogni interdizione ad uffici e professioni nei confronti delle donne. Riporto qui di seguito uno stralcio del suo pensiero sulla questione femminile, tratto da un suo intervento in un convegno del 1954 a Pisa, che mi sembra di straordinaria attualità.

“[…] La donna, che ha raggiunto ai nostri giorni, entro termini giuridici, una parità effettiva con l’altra creatura umana, si accinge a consolidare questa parità, ancora per tanta parte dottrinale e teorica, in modo che le sue risultanze siano suscettibili di modificare e influenzare largamente l’evoluzione storica dell’umanità. Se, come tenteremo di fare, potremo dimostrare che la donna procederà in questo senso, senza rifiutarsi di conservare il posto che tuttora detiene, e che non può non conservare, nella famiglia, risulterà ricondotto ad unità il dualismo tra destino individuale e destino familiare della donna. Si tratta, non v’è dubbio, di una formidabile questione che non è solo morale, religiosa ma anche politica, economica e cioè composita quanto altra mai; non riguarda le condizioni particolari di una popolazione in un certo momento storico: si tratta di una questione che interessa più della metà del genere umano, in un mondo in rapida trasformazione.

Non v’è dubbio che la donna, cosciente delle proprie prerogative, ponga la questione e la voglia risolta nella pienezza del rispetto della sua netta individualità, dei suoi diritti di persona umana, ma neppure v’è dubbio che alla chiamata della società essa risponda non come individuo isolato ma come principio vitale dell’unità familiare, in comunione di affetti e di propositi con infinite altre unità familiari. Questo modo di rispondere della donna alla chiamata della società è appunto la chiave del destino temporale della razza umana, nelle ere che stanno per schiudersi. Quanto prima libereremo la risposta della donna dai clamori interessati a falsarne il tono e l’intenzione, tanto più efficace sarà la nostra azione, se un’azione abbiamo interesse a svolgere in questa straordinaria congiuntura storica.”

Candidata per la Democrazia cristiana alle elezioni politiche, il 18 aprile 1948 Maria Federici viene eletta alla Camera dei Deputati nella prima Legislatura repubblicana (1948-1953), sempre nel collegio elettorale di Perugia-Terni-Rieti. Intanto, tra i temi e le grandi questioni che il Parlamento e il governo guidato da Alcide De Gasperi affrontano in un’Italia ridotta in macerie dal ventennio fascista e dalla guerra, per le quali Maria Federici dà il suo contributo illuminato, cresce nella sua spiccata sensibilità sociale l’attenzione alla grave questione dell’emigrazione italiana, che si rivela la più rilevante diaspora nella storia dell’umanità. Le immagini delle navi e dei treni pieni d’emigranti, le famiglie che restano nei paesi affidate alle sole donne, la drammatica congerie di problemi legati al fenomeno migratorio determinano in lei un impegno esemplare nell’affrontare le questioni sociali legate all’emigrazione. La tenacia e la sua visione della complessità del fenomeno migratorio la muovono in una forte attenzione politica, unitamente ad una risposta strategica e strutturale ai bisogni d’assistenza che man mano emergono come conseguenza dell’emigrazione. Pensiero ed azione sono la sua cifra.

Ed è così che l’8 marzo 1947 Maria Federici fonda l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (Anfe). Presidente dell’Anfe sin dalla fondazione, lo rimarrà fino al 1981. Sotto la sua guida sicura, con infaticabile impulso, l’associazione si espande con sedi in ogni provincia e nei comuni a più alta emigrazione, sempre presente laddove esistono i problemi, in Italia o nel nuovo mondo. Anche in quei lontani continenti, come pure nella vecchia Europa, nascono sedi dell’Anfe. Una rete capillare di strutture che diventano punti decisivi d’assistenza per i nostri emigrati, per la soluzione d’ogni problema sociale, burocratico ma anche psicologico nell’integrazione nelle nuove realtà. Le battaglie di Maria Federici restano esempio d’impegno civile e politico, come la lotta per il riconoscimento dei diritti della famiglia degli emigrati; l’affermazione del principio che l’emigrazione non è problema individuale, ma familiare; il riconoscimento reciproco tra Stati europei dei titoli di formazione professionale; il riconoscimento delle malattie professionali; il riconoscimento dei diritti civili e politici dei connazionali nei paesi d’emigrazione; la scolarità dei figli degli emigrati; l’inserimento della lingua italiana nelle scuole all’estero; le facilitazioni per il ricongiungimento delle famiglie di emigrati; il riconoscimento del diritto di voto per gli italiani all’estero.

Sono solo alcune delle battaglie combattute dalla Federici e dall’Anfe a tutela della dignità dei lavoratori italiani all’estero, dei loro diritti e di quelli delle famiglie. Dunque, un’opera notevole nel sostegno alle famiglie e a tutela della loro integrità, nella difesa dei diritti dei bambini, nella formazione professionale, nella crescita culturale, sociale e civile dei nostri emigrati. Insomma, tali meritorie attività hanno fatto dell’Anfe, Ente morale dal 1968, un partner insostituibile nei più alti organismi internazionali per l’emigrazione e l’immigrazione, grazie al suo enorme bagaglio di esperienze.

Maria Federici muore il 28 luglio 1984 a Roma, ma è L’Aquila, la sua città natale, a custodirne le spoglie. E tuttavia l’insegnamento e l’opera di Maria Federici sono ancora determinanti per comprendere a fondo i problemi delle migrazioni. Un cospicuo patrimonio d’esperienze, di pubblicazioni e di scritti, il suo, utile per l’intero Paese, grazie alla lungimiranza d’una delle donne più rilevanti del Novecento di cui L’Aquila può andare orgogliosa. Questo tributo a Maria Federici, reso nella sua città natale e in una sede istituzionale quale il Consiglio Regionale d’Abruzzo, è esteso anche al prof. Serafino Patrizio, insigne matematico, presidente per alcuni decenni dell’Anfe provinciale dell’Aquila, che tante iniziative sociali, culturali e di assistenza agli emigrati ha promosso e realizzato nel capoluogo e nel territorio regionale.

Alcune annotazioni, infine, sulle origini e sulla famiglia di Maria Agamben Federici, che riprendo da un interessante contributo di Fausta Samaritani sul portale Repubblica Letteraria. Augusto e Alfredo Agamben, due fratelli arrivati in Italia dall’Armenia, a fine Ottocento aprono a L’Aquila uno studio fotografico. Agostino Agamben – forse loro padre – nel 1874 risulta litografo a L’Aquila, in via della Genca, 4. Un altro Agamben, Armando, si occupa di politica. Il 2 agosto 1912 Alfredo e Augusto affittano un negozio in Piazza Regina Margherita, 3. Nel contratto di locazione sono compresi i locali d’ingresso sulla piazza, il cortile interno, il portico e il piano rialzato, dove ha sede il laboratorio fotografico. Gli Agamben hanno anche una succursale a Sulmona.

A quel tempo, a L’Aquila, Agamben equivale a dire foto d’arte. I ritratti fotografici in grande formato, secondo il gusto prezioso dell’epoca, sono ritoccati a mano, all’acquerello. Gli Agamben realizzano immagini di gusto romantico, da stampare su cartolina, per l’editore-tipografo-libraio aquilano Vincenzo Forcella. Con la crisi economica originata dalla Grande Guerra, Augusto e Alfredo Agamben non riescono più a pagare l’affitto ai proprietari dei locali. Nel 1917 sono costretti ad abbandonare il laboratorio e lo studio fotografico in Piazza Regina Margherita. Le loro strade si dividono. Alfredo, fiutando il mutare dei tempi, acquista il Teatro Olimpia e lo trasforma in cinema, esistito fino ad una trentina d’anni fa. Dal suo matrimonio con Nicolina Auriti sono nati sei figli. A tutti egli ha dato un nome che inizia per A: Anna Maria, Alessandra, Argia, Anita, Adele, Agostino.

Anna Maria Agamben (1899-1984) – che il padre chiama Mariannina – è la nostra Maria, che sposa Mario Federici, autore teatrale fecondo che, stimolato dall’incontro con i futuristi Marinetti e Balla, diventa noto a metà degli anni ’30, grazie a una trilogia sulla Grande Guerra: La lunga marcia del ritorno, 1936, messa in scena al Teatro Eliseo di Roma, con protagonista Amedeo Nazzari e regia di Anton Giulio Bragaglia, Chilometri bianchi e Nessuno salì a bordo.

Agostino Agamben jr, la cui passione per il cinema e per la fotografia è connaturata in famiglia, è il padre del famoso filosofo Giorgio Agamben (nato a Roma nel 1942), saggista e docente di estetica presso le università di Macerata (1988-92), Verona (1993-2003) e IUAV di Venezia.

Anita Agamben, scomparsa nel 1988, estroversa e capricciosa, fugge giovanissima da casa per unirsi a una compagnia teatrale. Pubblica elzeviri (La Tribuna, il Giornale d’Italia). Suoi copioni (Ma la signora sa spiegarsi bene? 1954, Primavera all’inferno, 1951-1953, Il falso Adamo, 1955, Un concerto di violini e gufi, 1969) sono conservati nella Biblioteca di Riccione Teatro. Con Primavera all’inferno Anita vince nel 1951 il Premio Murano: 500 mila lire e una grande coppa in vetro soffiato.

Adele Agamben (1906-1992) è maestra elementare. Compagna di studi e amica carissima della scrittrice aquilana Laudomia Bonanni, Adele sposa Carmelo Zullino (1901-1990), pugliese, professore di educazione fisica, che nel 1931 è uno dei quaranta cadetti dell’Accademia di Educazione Fisica di Roma, mandati in viaggio di istruzione negli USA. Carmelo Zullino è stato direttore di Scuole Italiane all’estero (a Parigi, Londra, Casablanca, Chiasso, Zagabria). Il loro unico figlio Pietro Zullino (1936-2012), giornalista, ha esordito su La Vela di Maria Federici Agamben, ha collaborato a Epoca e diretto Il Carabiniere e il Roma. È stato saggista e autore di romanzi storici (Il 25 luglio – 1973, Guida ai misteri e ai piaceri di Palermo – 1974, Catilina – 1984, I sette Re di Roma – 1984, Il Comandante. La vita inimitabile di Achille Lauro – 1986, Giuda – 1987, Quel piccolo prete – 1989 su don Luigi Sturzo, con Marco Nese, Cinzia, con i suoi occhi – 2003 su Properzio, Io Ippocrate di Kos – 2008, con Massimo Fioranelli).

Redazione - Il Faro 24

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