Lo smart working rappresenta senza dubbio il termine che abbiamo sentito con maggiore frequenza in questo ultimo biennio caratterizzato dalla pandemia da Covid19. Il cosiddetto “lavoro agile”, infatti, è entrato in pianta stabile all’interno delle aziende che hanno adottato questa modalità al fine di ridurre i contatti fisici in loco e potenzialmente la diffusione del virus, ma allo stesso tempo mantenere inalterata l’operatività così da non inficiare il raggiungimento degli obiettivi societari. Quello che però viene comunemente definito smart working, nella maggior parte dei casi si configura invece come home working, ovvero il lavoro da casa, che pur avendo molti punti in comune con il primo, contempla delle differenze sostanziali che rendono queste due sistemi molto diversi tra loro.
Smart Working vs Home Working
Per trovare la giusta definizione di smart working possiamo farci aiutare da quanto stabilito dalla legge che nel 2017 lo ha descritto come una modalità di lavoro subordinato “con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”. Nei fatti si è introdotto quindi il concetto qualitativo che attiene al “come” lavora un dipendente, piuttosto che al “quanto” è impegnato. In questo senso, lo smart working non dovrebbe prevedere un luogo fisso esplicitato nel quale svolgere le proprie mansioni e neanche un orario di lavoro definito, che può essere gestito in autonomia dal lavoratore stesso. In sostanza, quindi, la forza lavoro che ha adottato questa tipologia, in accordo con l’azienda, è libera di sfruttare come meglio crede il proprio tempo, dovendo però raggiungere i risultati indicati dalla società di appartenenza nei tempi stabiliti. In questo senso, il dipendente, per facilitare la comunicazione e il lavoro stesso, evidenzierà un range di reperibilità.
Il lavoro svolto da casa
L’home working, invece, come indica la parola stessa, è il lavoro svolto da casa, quello che possiamo definire anche come lavoro da remoto o telelavoro, con la differenza che quest’ultimo non necessita esclusivamente lo svolgimento delle attività presso il proprio domicilio ma anche in altro luogo preventivamente comunicato all’azienda, prevedendo una fascia oraria prestabilita. Il lavoro da casa deve contemplare un’equiparazione quantitativa del lavoro normalmente svolto in azienda e, per l’appunto, anche una definizione chiara degli orari di entrata e uscita dal lavoro che solitamente ricalcano quelli normalmente adottati in ufficio. Come per lo smart working, è necessario un accordo tra le parti, e gli strumenti tecnologici per lavorare devono essere forniti dal datore di lavoro.
Le criticità
Che sia smart working o home working, in entrambi i casi esistono delle criticità collegate a queste due modalità lavorative. In primis, la totale mancanza di contatti ravvicinati tra datore di lavoro e dipendenti, ma anche tra membri del team o della divisione, rende la comunicazione meno istantanea così come il coordinamento giornaliero sulle attività da svolgere. Per ovviare a questo problema, è sempre bene che vengano organizzate con cadenza regolare delle conference call nelle quali confrontarsi e organizzarsi al meglio, così come l’introduzione di un calendario condiviso in modo che possa essere visionato da tutti.
Altro tema complesso riguarda il senso di abbandono e il monitoraggio delle performance e dell’impegno del capitale umano. Da una parte, infatti, il lavoratore lontano dall’azienda potrebbe non avvertire il suo ruolo per il successo della società per cui lavora, dall’altra la mancata presenza fisica di un “controllore”, di solito il dipartimento delle risorse umane, può far diminuire il suo impegno giornaliero e portarlo a distrarsi con maggiore frequenza. Anche in questi casi, per ridurre al minimo l’impatto di queste circostanze, è necessario coinvolgere costantemente i propri dipendenti, facendoli sentire importanti, condividendo con loro tutte le informazioni e le novità più rilevanti.
L’orario di lavoro nello smart working
Collegato a questo punto, e strettamente riferito al lavoratore, il rischio di burnout o un mancato equilibrio del work life balance, vale a dire un eccesso di mansioni e l’impossibilità di slegare la vita lavorativa da quella privata, con effetti negativi sulla tenuta mentale del proprio capitale umano e conseguente perdita di produttività per l’azienda.
Un altro aspetto da gestire per il manager HR attiene altresì al controllo delle presenze dei lavoratori (per saperne di più leggi smart working controllo orario di lavoro), qualora fossero previsti degli orari di lavoro (entrata e uscita) prestabiliti. Un problema fondamentale che deve essere risolto in quanto un mancato monitoraggio in questo senso potrebbe creare problemi di vario genere all’organizzazione, primo fra tutti l’impossibilità di poter verificare i turni e assegnare le mansioni a coloro che in quel dato momento sono effettivamente a disposizione, creando un disallineamento continuo sul quale dover intervenire con frequenza, rilevando di volta in volta la presenza o meno di quella risorsa, perdendo del tempo che potrebbe essere impiegato in attività più importanti.