Lettera aperta di Don Aldo Antonelli al PD. "Partito Democratico e Corruzione: dalla Lotta alla Resa"

(Intervento al Convegno presso Sviluppo Italia Avezzano del 10 Giugno 2016)

 

Sono uno dei molti delusi che in questi ultimi tempi hanno lasciato il partito (PD). Tesserato PCI sin dagli anni settanta, ho seguito, sostenuto e  votato sin dalla nascita anche il Partito Democratico.

Oggi mi ritrovo politicamente orfano, seppur tuttavia impegnato a sinistra contro la deriva affarona e affaristica che le sta divorando l’anima. Faccio notare che il termine “deluso” tradotto in spagnolo, “defraudado”,  dice molto più di quanto non dica in italiano. Ecco: io sono stato derubato! Questo basterà a giustificare anche l’amarezza e l’acrimonia che potranno trasparire da questo intervento.

Fatta questa premessa, dovrei complimentarmi con colui o coloro che hanno pensato, programmato e realizzato questo incontro sulla corruzione e alla presenza del sottosegretario alla giustizia Cosimo Maria Ferri. Anzi mi complimento con loro, non prima però di porre l’attenzione su di un fenomeno particolarmente insidioso che oggi sta corrodendo la comunicazione mediatica di questo Paese nonché il suo tessuto sociale: l’uso ambiguo e criminale di termini nobili. Come coordinatore di Libera devo prendere atto che da qualche tempo le mafie si sono introdotte nel circuito dell’antimafia. Come prete devo confessare che lestofanti e profittatori si sono introdotti nella Caritas. E così ci sono inquinatori che fanno profitti con la green economy, lobbisti e monopolisti che predicano la libera concorrenza, corrotti che si riempiono la bocca di onestà. Insomma viviamo tempi in cui la prosa volgare del potere non solo ha prostituito le parole che ormai non significano nulla e non commuovono più, non gridano dentro, non innamorano, ma sono diventate così “multiuso”, che non puoi giurare a occhi bendati sull’idea che esse sottendono.

Stando così le cose si pone, per la politica in genere e per i partiti in particolare una domanda urgente, scomoda e scottante: cosa fare perché la politica esca dal labirinto parolaio e i partiti, in particolare il partito che si rifà alla sua origine popolare e di lotta, di coerenza e trasparenza, ritrovino la loro autentica identità sì da riscuotere fiducia e riscaldare gli indifferenti e i delusi?

Nella famosa intervista concessa ad Eugenio Scalfari nel 1981, già allora Berlinguer ebbe a denunciare che «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”».

E, impietosamente aggiungeva: «I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali. (…) Insomma, tutto è già lottizzato e spartito».

Da allora ad oggi le cose sono peggiorate e i politici non se ne avvedono, bendati dal loro cieco narcisismo.

Sono tutti bardati, come palafrenieri, nelle loro corazze di funzionari e  non si rendono conto che la violenza, quella che impoverisce il paese non è quella dei ladri di appartamento, dei ladri di biciclette, ma il sistema finanziario che nessuno vuole cambiare e al quale tutti si inginocchiano. Un sistema fatto, questo sì di corruzione, di vessazioni e di ricatti. Siamo ormai schiavi esuberati di un’economia assassina, un’economia (direbbe papa Francesco) che uccide.

Basti pensare soltanto ai dati dell’Italia, settima potenza mondiale.

L’evasione fiscale ci costa 120 miliardi di euro l’anno (siamo il terzo Paese al mondo). La corruzione è una rapina annuale di 60 miliardi (stima della Corte dei conti). L’economia mafiosa registra ogni anno un business di 150 miliardi. Sommando le tre «voci», si ha un fatturato totale spaventoso: 330 miliardi di euro. A rimetterci siamo noi cittadini, perché l’illegalità economica, in tutte le sue declinazioni, non è soltanto violazione di norme di legge e precetti morali (non rubare!), ma anche se non soprattutto devastante impoverimento della collettività.

Il premier Renzi ha sostenuto che «non possiamo dire sempre che il problema sono le regole; il problema sono le tangenti ai ladri». Battuta ad effetto, ma è impossibile negare che le regole siano un problema quando la corruzione si riproduce all’infinito. Per impedirlo, occorre che la legge renda la corruzione non più conveniente.

Occorre prendere atto che la corruzione in Italia è un vero e proprio sistema, per cui le norme anticorruzione (quando ci sono) devono essere inserite a loro volta in un sistema di misure ed interventi che le supportino. Va riscritta la regolamentazione degli appalti. La confisca dei beni e il loro reimpiego per fini sociali vanno estesi dalla mafia alla corruzione.

E’ chiaro: l’inevitabile corollario di inerzie, ricatti e veti incrociati contribuiscono a spiegare perché nel nostro Paese la corruzione abbia tanta estensione e così forte «resistenza». C’è voluta infatti un’infinità di tempo perché la Convenzione penale europea contro la corruzione, firmata dall’Italia a Strasburgo il 27.1.1999, fosse ratificata nel 2013, addirittura quasi 15 anni dopo! E ancora oggi, nell’anno di grazia 2016, siamo in attesa di una efficace legge anticorruzione   E’ difficile, nel trafficume affaristico del riformismo renziano. trovare provvedimenti di qualche rilievo contro le piaghe della corruzione e dell’evasione  fiscale.

Scusatemi se chiudo il mio intervento con la citazione di un grande sacerdote di questo paese, don Primo Mazzolari, il quale negli anni ’50 scriveva: «L’aspirazione di un partito onesto non dovrebbe essere quella di diventare maggioranza a qualunque costo e al più presto (l’ossessione di Renzi…). Mantener fede ai propri principi, riuscire a farli penetrare negli avversari, vale molto di più del governare con compromessi ignobili onde suddividere gli utili del condominio».

Don Aldo Antonelli

Redazione - Il Faro 24

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