Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, per “aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni che ha definito la nomina “una decisione preziosa a 80 anni dalle leggi razziali”.
Nata a Milano in una famiglia ebraica, visse insieme a suo padre, Alberto, e ai nonni paterni, Giuseppe Segre e Olga Loevvy. La madre, Lucia Foligno, morí quando Liliana non aveva ancora compiuto un anno. Di famiglia laica, la consapevolezza di essere ebrea giunge a Liliana attraverso il dramma delle leggi razziali del 1938, in seguito alle quali viene espulsa dalla scuola.
Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 cercò, assieme al padre e due cugini, di fuggire in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiu’, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e alla fine a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni.
Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni, arrestati a Inverigo, in provincia di Como, e deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz, furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno.
Alla selezione, ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu impiegata nel lavoro forzato nella fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, lavoro che svolse per circa un anno. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.
Venne liberata il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbruck. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati al campo di concentramento di Auschwitz. Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti. Dopo lo sterminio nazista, visse con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1948 conobbe Alfredo Belli Paci, cattolico, anch’egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale. I due si sposarono nel 1951 ed ebbero tre figli.
Per molto tempo, non ha mai voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di concentramento. Solo nei primi anni novanta ha deciso di interrompere questo silenzio; da allora si è resa disponibile a partecipare ad assemblee scolastiche e convegni di ogni tipo per raccontare ai giovani la propria storia, anche a nome dei milioni di altri che l’hanno con lei condivisa e che non sono mai stati in grado di comunicarla.
Nel 1997 è fra i testimoni del film-documentario Memoria, presentato al Festival di Berlino. Nel 2004 è, con Goti Herskovits Bauer e Giuliana Fiorentino Tedeschi, una delle tre donne ex-deportate intervistate da Daniela Padoan nel volume Come una rana d’inverno. Conversazioni con tre donne sopravvissute ad Auschwitz (Bompiani, Milano). Nel 2005 la sua vicenda è ripercorsa con maggiori dettagli in un libro-intervista di Emanuela Zuccalà: Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah (Milano: Paoline Editoriale Libri).
Nel 2009 la sua voce è inclusa nel progetto di raccolta dei “racconti di chi è sopravvissuto”, una ricerca condotta tra il 1995 e il 2008 da Marcello Pezzetti per conto del centro di documentazione ebraica contemporanea, che ha portato alla raccolta delle testimonianze di quasi tutti i sopravvissuti italiani dai campi di concentramento in quegli anni ancora in vita. Nello stesso anno, partecipa al film/documentario di Moni Ovadia, diretto da Felice Cappa, che si ispira al poema del poeta di origine russa Itzhak Katzenelson Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 27 novembre 2008 l’ Università di Trieste le ha assegnato la Laurea Honoris causa in Giurisprudenza. Il 15 dicembre 2010 L’Università degli studi di Vienna le ha assegnato la Laurea Honoris causain scienze pedagogiche.
( Cicchetti Ivan )