Erano rosa i manifesti che invitavano gli italiani a partire per le miniere di carbone in Belgio. Rosa come i confetti della terra d’Abruzzo, come il cielo che si tinge di rosa al tramonto e sovrasta le cime della Bella Addormentata, rosa come i fiori di zafferano, rosa come i sogni dei nostri nonni quando partirono alla volta di Marcinelle, immaginando un futuro migliore.
L’accordo del giugno 1946 tra i governi italiano e belga prevedeva l’invio settimanale di 2000 cittadini disoccupati, spesso anche sotto i quattordici anni di età. Il Belgio, in cambio, avrebbe ceduto all’Italia il carbone a basso costo.
2.451 lire il salario minimo per il nuovo assunto, 3.949 quella medio. E promesse di ferie, premi e assegni familiari. Tanti soldi, più delle famose mille lire al mese.
Invece la realtà fu tutt’altra. Un lavoro duro e pericoloso senza alcuna preparazione, senza alcuna precauzione. Non era possibile neppure tornare in Patria poiché l’obbligo di restare sul posto di lavoro era di almeno un anno, e qualora l’accordo non fosse stato rispettato, i minatori sarebbero finiti nel campo di prigionia belga di Petit-Chateau, oggi un luogo di accoglienza per profughi.
72 ore di viaggio in treno da Milano per arrivare non nella stazione passeggeri, ma direttamente sul pozzo nel quale, i musi neri, (così erano chiamati i lavoratori delle miniere), avrebbero dovuto operare. Infine, al calar della sera, la sistemazione negli alloggi in quelli che furono i campi di concentramento in cui erano prigionieri i russi durante l’occupazione nazista.
L’Italia, che nel frattempo era diventata la settima potenza economica al mondo, si contrapponeva ad un’Italia miserabile e bisognosa, coinvolta in un processo migratorio che ha fatto storia.
Era l’8 agosto 1956. Quel giorno, a Bois du Cazier, nei pressi di Marcinelle, si compì una tragedia senza eguali, seconda soltanto a quelle delle miniere di Monongah e di Dawson.
Alle 8,15 del mattino divampò un incendio che riempì di fumo i cunicoli sotterranei e non lasciò scampo ai minatori. I soccorsi non riuscirono ad arrivare fino agli uomini rimasti prigionieri nelle gallerie, che morirono asfissiati e bruciati vivi. Chi sopravvisse si ammalò di silicosi.
Furono 60 le vittime abruzzesi su 262 morti, di cui 136 italiani. Il più giovane aveva quattordici anni soltanto.
Il governo italiano chiese l’apertura di un’inchiesta sul lavoro e nel processo che ne seguì furono assolti tutti i dirigenti della società mineraria. Capro espiatorio fu l’addetto alla manovra del carrello che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, innescò l’incendio: un minatore italiano perito nell’incidente.
Quando il governo italiano bloccò l’emigrazione verso il Belgio, i nostri connazionali furono sostituiti con lavoratori spagnoli e greci. Altri lavoratori invisibili che riempirono le cronache dei tabloid internazionali.
Oggi, Bois du Cazier, ormai dismesso, fa parte dei patrimoni storici dell’Unesco.