Paese che vai, usanza che ri-trovi. Pochi sanno infatti che in Abruzzo, in un tempo neanche troppo lontano, era usanza scavare e ripulire le zucche o le arance, decorarle, inserire al loro interno una candela ed usare gli originali manufatti nella sera di Ognissanti.
Nelle credenze popolari i morti venivano considerati divinità sotterranee al pari dei santi, e commemorati come se lo fossero davvero.
Ogni famiglia di credo cristiano si preparava alla cosiddetta “sera del ritorno”. Finito di cenare, la tavola restava perfettamente apparecchiata come se dovessero giungere ospiti da un momento all’altro: le pietanze pronte, l’acqua versata nei bicchieri, il vino nella caraffa, il pane fresco, della frutta e persino una candela accesa! Secondo la tradizione, allo scoccare della mezzanotte, le anime dei morti avrebbero lasciato le loro tombe per andare in processione e, dopo aver girato lungo le vie del paese, sarebbero passate a cenare dai parenti e avrebbero portato doni ai bambini.
Sul davanzale delle finestre venivano accesi dei lumini, uno per ogni caro defunto che, in quel modo, avrebbe ritrovato la strada di casa.
La sera di Ognissanti, i bambini appendevano le calze al camino ed aspettavano felici il nuovo giorno. Durante la notte quelle calze sarebbero state riempite di dolci e leccornie, proprio dai familiari defunti che, al contrario della Befana, non faceva distinzione tra “buoni” e “cattivi”.
Sono tradizioni ormai perdute nella notte dei tempi e purtroppo soffocate dallo sfrenato consumismo di oggi ma che, con un pizzico di creatività e fantasia, si potrebbero realizzare ancora oggi. A quale bimbo non piacerebbe che un nonno, una zia, un caro ormai defunto gli lasciasse dei dolci accanto al camino?
di Alina Di Mattia