Papàmbre e papambrone: l’oppio perduto e la ‘papagna’ dei nostri nonni

 

Un papavero, tre foglie di alloro tritate, una manciata di fiori di camomilla, miele: ecco servita la ricetta della nonna pusher per preparare una potente tisana sedativa e antispasmodica con lo stesso principio attivo della morfina e dell’eroina, utile a lenire dolori e sofferenze ed a conciliare il sonno dei bambini irrequieti.

In realtà non ci è dato di appurare gli ingredienti esatti della cosiddetta ‘papagna’ miracolosa usata dai nostri nonni, sappiamo però che il Papaver somniferum è conosciuto dall’uomo sin dalla notte dei tempi, tanto che nella mitologia greca il fiore è un attributo del dio Ipno (Sonno) e di suo figlio Morfeo che dona sogni ai dormienti sfiorando le loro palpebre con un mazzo di papaveri. Il poeta Ovidio ne parla ne Le Metamorfosi, descrivendo la pianta come un dono benefico di Sonno ma anche come strumento di inganno per gli uomini.

Di uso comune nell’antica cultura contadina dell’Italia meridionale, il papavero da oppio o Papaver somniferum era un efficace calmante per le coliche e il pianto dei lattanti tra una poppata e l’altra, soprattutto durante il lavoro nei campi ai quali le donne contribuivano anche durante il periodo del puerperio. Ogni zona rurale che si rispettasse aveva una comare che dispensava consigli sulle proprietà benefiche del fiore miracoloso e che, al bisogno, preparava la medicamentosa papagna’, detta anche papàmbre’ o ‘papambrone’, per inconsapevoli ed innocenti consumatori, ben lungi dal sospettare di commettere un’azione illegale.

Per spezzare una lancia a favore delle nostre nonne, va sottolineato che la specie utilizzata per i decotti somministrati ai bambini era quella del Papavero setoloso, che ha un modesto dosaggio di alcaloidi.  A differenza del più innocuo Papaver roheas o rosolaccio i cui petali venivano raccolti per essere lessati e serviti come contorno di verdura, il papavero da oppio invece, contiene rilevanti dosi di alcaloidi.

L’uso tradizionale del Papaver somniferum è sopravvissuto in alcune culture nord africane e nel sud Italia, ma l’ancestrale conoscenza è stata spazzata via dalla società dei consumi di massa degli ultimi decenni.

Dal 2010 diversi imprenditori agricoli hanno dato vita alla coltivazione legale della pianta nei territori spagnoli, trasformando il Paese nel secondo produttore di Papaver somniferum al mondo. L’importanza crescente delle proprietà fitoterapiche della pianta, contestualmente agli interessi contrastanti e pressanti dell’industria farmaceutica, hanno spinto l’Unione Europea a regolarizzare la produzione destinata alle erboristerie, tanto che negli stati comunitari la fitoterapia non è una branca riconosciuta dalla biomedicina.

Da questo fiore primaverile per eccellenza, simbolo dell’orgoglio sopito e della pigrizia, vengono ricavati olio e semi usati nell’alimentazione, e dal pericarpo non ancora maturo viene estratto il lattice, materia prima di alcuni alcaloidi scoperti ufficialmente a fine ‘800 ed usati in medicina, tra cui morfina per la terapia del dolore, papaverina come sedativo della muscolatura liscia, codeina utile a calmare la tosse ed infine oppio, vero e proprio stupefacente. Paracelso stesso ne ricavò un composto con potenti effetti narcotici, il laudano o tintura di oppio, attualmente illegale in Italia.

Per alcuni studiosi, il papavero potrebbe essere l’ingrediente di base del Nepente, il vino inebriante in grado di alleviare ogni sofferenza, presente in un passo dell’Odissea di Omero e che Elena versa durante il banchetto con Telemaco alla corte di Menelao.

Tra storie e leggende non ci resta che una certezza: la prossima volta che sentiremo pronunciare la parola papagna’, non solo sapremo spiegarne il significato, ma avremo anche una curiosità da raccontare sui nostri integerrimi nonni.

di Alina Di Mattia

Nella foto nonno Giustino Antonucci fotografato dal nipote Federico Cipriani

Alina Di Mattia

Giornalista, addetta stampa, scrittrice, conduttrice, responsabile produzione di grandi eventi istituzionali e culturali, con esperienza trentennale nel settore dei media e dell’entertainment. Appassionata di scienze storiche e sociali, vanta una formazione accademica poliedrica, un percorso di laurea in Culture e tecniche per la comunicazione e una laurea in Lettere moderne presso l'Università dell'Aquila. Ha all’attivo interessanti contributi letterari e numerosi riconoscimenti giornalistici.

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Alina Di Mattia
Tags: cultura