La scorsa settimana il Parco Nazionale della Majella ha ospitato un interessante laboratorio di governance agro-alimentare corredato dalla discussione e analisi congiunte delle problematiche che investono il settore. Oltre a ciò, l’iniziativa è stata occasione per fare pensiero comune rispetto al futuro dell’agricoltura e della zootecnia del Parco stesso, ed è stata caratterizzata dalla partecipazione del CREA (Consiglio Nazionale per la Ricerca in Agricoltura e Economia Agraria) e Rete Rurale Nazionale 2014, con la collaborazione di Legambiente, della Regione Abruzzo, Assessorato Agricoltura, Caccia e pesca, Parchi e riserve naturali, delle DMC e i GAL del territorio della Majella, CIA Abruzzo, Coldiretti Abruzzo e, in via sperimentale e preliminare, insieme ad alcuni rappresentanti degli agricoltori custodi aderenti al Progetto Coltiviamo la Biodiversità e degli allevatori aderenti al Progetto Qualità per la zootecnia.
“Tra i parchi nazionali italiani – spiega il Direttore del Parco Luciano Di Martino – è certamente uno di quelli che si sono maggiormente dedicati, soprattutto negli ultimi anni, alla valorizzazione delle attività agricole e zootecniche tradizionali e sostenibili. Dal progetto “Coltiviamo la Diversità” al “Progetto Qualità per la zootecnia”, dalle misure di prevenzione dei danni da predatori al programma di restituzione della pecora predata dal lupo, queste iniziative hanno consolidato una rete di collaborazione fattiva tra ente e imprenditori agricoli del Parco. Per questo è stato scelto quale sede di un laboratorio di questo tipo che ha visto interlocutori territoriali e istituzionali, tutti ben consapevoli delle grandi difficoltà che incontra il settore, soprattutto nelle cosiddette “aree marginali”.
“In realtà, nel futuro della programmazione agricola, queste aree marginali non lo saranno affatto – continua Di Martino – Anzi, le aziende agro-zootecniche nelle aree protette saranno le uniche ad essere candidate a sviluppare nuovi modelli di qualità delle produzioni e di sostenibilità ambientale e, se possibile, ad essere anche sostenute economicamente per fare questo. Certo sono poche le aziende agricole rimaste, i costi di produzione, l’enorme peso della burocrazia (anche quella degli stessi parchi), la scarsa competitività con le grandi aziende intensive, il mancato riconoscimento della diversità e del valore del prodotto di qualità, i danni da fauna selvatica, troppo spesso hanno determinato l’indebolimento di molte aziende, ormai chiuse o in procinto di chiudere. Ma quelle rimaste, e soprattutto quelle dei giovani che stanno di nuovo credendo ad una possibilità di lavoro dignitoso, per quanto faticoso, ma ricco di soddisfazioni ed opportunità, hanno piena consapevolezza del significato e del valore aggiunto che comporta il fare agricoltura e allevamento nel Parco. Gli agricoltori si sentono custodi di un territorio, rappresentanti di un modo di coltivare ed allevare con requisiti di qualità altrove introvabili e, soprattutto, sono ora ben consapevoli che la prossima programmazione comunitaria (2021-2027) potrebbe essere dalla loro parte, se le istituzioni sono disposte ad ascoltare, comprendere, analizzare e riscrivere in modo partecipato quello che serve”.
“Il Parco Nazionale della Majella – conclude il Direttore – in questo potrà essere interlocutore privilegiato e facilitatore istituzionale, nella piena consapevolezza che, in questo caso, la valorizzazione delle capacità produttive delle aziende del parco possa coincidere pienamente con quelle modalità di gestione delle coltivazioni e degli allevamenti che garantiscono la tutela della biodiversità e, dunque, anche il pieno raggiungimento delle finalità istitutive dell’Ente Parco”.