Quanti nati in terra D’Abruzzo, tanti quanti son stati i morti che la terra della nostra regione ha placato. Partigiani, uomini, donne, caduti sul suolo e mai rialzati.
RENATO BERARDINUCCI
Figlio di italiani emigrati nel Nord America, Berardinucci era tornato in Italia nel 1939 ed aveva frequentato il liceo a Pescara. Dopo l’8 settembre del 1943, il giovane era entrato, tra i primi, nelle file della resistenza abruzzese. Si era impegnato soprattutto, grazie alla conoscenza della lingua, nel dare aiuto ai prigionieri anglo-americani fuggiti dai campi di concentramento. Berardinucci divenne presto comandante di una banda partigiana e fu catturato dai nazisti proprio mentre, ancora una volta, stava portando in salvo, sulle montagne dell’Aquilano, alcuni paracadutisti alleati. Tradotto al comando tedesco di Arischia, il giovane partigiano fu condannato alla fucilazione insieme con altri prigionieri. Quando i tedeschi ebbero allineati i condannati contro il muro del cimitero di Arischia, Berardinucci, come ricorda la motivazione della decorazione al valore, “non si dava per vinto, ma con un gesto di sublime follia, si scagliava armato soltanto della volontà e della fede contro il plotone di esecuzione. Col gesto disperato che gettava lo scompiglio nelle file dei carnefici, egli dava a se stesso la morte degli eroi, ai compagni la salvezza e la libertà”.
GIUSEPPE BIFOLCHI
Nato a Balsorano (l’Aquila) il 20 febbraio 1895, deceduto ad Avezzano (AQ) il 16 marzo 1978, esponente anarchico, primo Sindaco di Balsorano dopo la Liberazione.
Figlio di un piccolo coltivatore, durante la Guerra di Libia era stato nominato sottufficiale. Mobilitato durante la Prima guerra mondiale e promosso ufficiale, nel dopoguerra si schierò decisamente contro il fascismo tanto che, per sottrarsi alle persecuzioni degli squadristi dovette emigrare a Parigi. Espulso nel 1929 dalla Francia per la sua attività politica, il giovane anarchico (che si era molto impegnato nel movimento a favore di Sacco e Vanzetti), si trasferì in Belgio dove, con altri fuorusciti abruzzesi, fondò una pubblicazione intitolata “Guerra di classe”, che sosteneva posizioni comuniste, ma antistaliniste.
Allo scoppio della sedizione franchista, Bifolchi fu tra i primi antifascisti ad accorrere in Spagna. Combattente nella stessa colonna di Carlo Rosselli, quando questi fu ferito a Monte Pelato, assunse il comando del reparto volgendo in fuga i franchisti. Sotto la sua guida la formazione diventò battaglione, poi reggimento e infine XXXII Brigata dell’Esercito popolare spagnolo.
Dopo la caduta della Repubblica popolare, Bifolchi fu internato dai francesi nel campo di Vernet, dal quale riuscì a fuggire e a passare in Belgio. Arrestato e rispedito in un campo di internamento francese, fuggì di nuovo durante un bombardamento nei giorni dell’invasione nazista della Francia. Catturato dai tedeschi che lo incarcerarono in Baviera, l’anarchico abruzzese fu consegnato alle autorità fasciste italiane. Sarà il Tribunale dell’Aquila che il 28 gennaio 1941 lo condannerà a tre anni di confino perché “combattente antifranchista in Spagna”. Tradotto a Ponza, l’8 febbraio 1941 Giuseppe Bifolchi è trasferito a Ventotene di dove, il 25 luglio 1943, con gli altri anarchici lì confinati, il Governo Badoglio lo spedirà nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (AR).
Alla fine di agosto gli anarchici riescono ad evadere e Bifolchi, tornato a Balsorano, entra nella Resistenza. Passa più volte la linea del fronte, rende preziosi servizi informativi agli Alleati, ma non riesce ad evitare il bombardamento del suo paese, anche se li ha avvisati che il 4 giugno del 1944 di tedeschi a Balsorano non è rimasta nemmeno l’ombra.
Nominato sindaco alla Liberazione, Bifolchi organizza a Balsorano una cooperativa anarchica e collabora con i fogli libertari “Umanità Nova”, “L’Adunata dei Refrattari”, “L’Internazionale”. Negli anni Settanta del XX secolo si prodiga per far stampare libri di orientamento anarchico, tra cui il suo romanzo storico “Spartaco, la rivolta che dura”.
Emigrato negli Stati Uniti, Giuseppe Bifolchi tornerà in Italia per morirvi nell’Ospedale di Avezzano. Di lui si dice nel “Dizionario degli anarchici abruzzesi” di E. Puglielli, pubblicato a Chieti nel 2010. A suo nome è intitolata una Scuola elementare primaria di Balsorano.
GIUSEPPE BIFOLCHI
Nato a Balsorano (l’Aquila) il 20 febbraio 1895, deceduto ad Avezzano (AQ) il 16 marzo 1978, esponente anarchico, primo Sindaco di Balsorano dopo la Liberazione.
Figlio di un piccolo coltivatore, durante la Guerra di Libia era stato nominato sottufficiale. Mobilitato durante la Prima guerra mondiale e promosso ufficiale, nel dopoguerra si schierò decisamente contro il fascismo tanto che, per sottrarsi alle persecuzioni degli squadristi dovette emigrare a Parigi. Espulso nel 1929 dalla Francia per la sua attività politica, il giovane anarchico (che si era molto impegnato nel movimento a favore di Sacco e Vanzetti), si trasferì in Belgio dove, con altri fuorusciti abruzzesi, fondò una pubblicazione intitolata “Guerra di classe”, che sosteneva posizioni comuniste, ma antistaliniste.
Allo scoppio della sedizione franchista, Bifolchi fu tra i primi antifascisti ad accorrere in Spagna. Combattente nella stessa colonna di Carlo Rosselli, quando questi fu ferito a Monte Pelato, assunse il comando del reparto volgendo in fuga i franchisti. Sotto la sua guida la formazione diventò battaglione, poi reggimento e infine XXXII Brigata dell’Esercito popolare spagnolo.
Dopo la caduta della Repubblica popolare, Bifolchi fu internato dai francesi nel campo di Vernet, dal quale riuscì a fuggire e a passare in Belgio. Arrestato e rispedito in un campo di internamento francese, fuggì di nuovo durante un bombardamento nei giorni dell’invasione nazista della Francia. Catturato dai tedeschi che lo incarcerarono in Baviera, l’anarchico abruzzese fu consegnato alle autorità fasciste italiane. Sarà il Tribunale dell’Aquila che il 28 gennaio 1941 lo condannerà a tre anni di confino perché “combattente antifranchista in Spagna”. Tradotto a Ponza, l’8 febbraio 1941 Giuseppe Bifolchi è trasferito a Ventotene di dove, il 25 luglio 1943, con gli altri anarchici lì confinati, il Governo Badoglio lo spedirà nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (AR).
Alla fine di agosto gli anarchici riescono ad evadere e Bifolchi, tornato a Balsorano, entra nella Resistenza. Passa più volte la linea del fronte, rende preziosi servizi informativi agli Alleati, ma non riesce ad evitare il bombardamento del suo paese, anche se li ha avvisati che il 4 giugno del 1944 di tedeschi a Balsorano non è rimasta nemmeno l’ombra.
Nominato sindaco alla Liberazione, Bifolchi organizza a Balsorano una cooperativa anarchica e collabora con i fogli libertari “Umanità Nova”, “L’Adunata dei Refrattari”, “L’Internazionale”. Negli anni Settanta del XX secolo si prodiga per far stampare libri di orientamento anarchico, tra cui il suo romanzo storico “Spartaco, la rivolta che dura”.
Emigrato negli Stati Uniti, Giuseppe Bifolchi tornerà in Italia per morirvi nell’Ospedale di Avezzano. Di lui si dice nel “Dizionario degli anarchici abruzzesi” di E. Puglielli, pubblicato a Chieti nel 2010. A suo nome è intitolata una Scuola elementare primaria di Balsorano.
BRUNO BUSSOLIN
Conseguita la licenza magistrale a Rovigo nel 1939, Bussolin si era dedicato subito all’insegnamento, interrotto quando, nel febbraio del 1941, era stato chiamato alle armi. Uscito con il grado di sottotenente di complemento dalla Scuola allievi ufficiali di Ravenna, nel 1942 era stato assegnato al 36° Reggimento fanteria motorizzata ed aveva quindi frequentato la Scuola paracadutisti di Viterbo, operando nel 185° Reparto paracadutisti dell’XI Battaglione “Nembo” che, dopo l’armistizio entrò a far parte del Corpo Italiano di Liberazione. Nel maggio del 1944, durante le operazioni contro i tedeschi nell’Italia centrale, Bussolin si offrì volontario per guidare un’azione particolarmente rischiosa. Alla testa di una pattuglia di paracadutisti assaltò per primo tre munitissime postazioni tedesche, eliminandole. Ferito una prima volta alla gamba destra, rifiutò ogni soccorso e riprese l’azione, dicendo ai suoi che l’unica preoccupazione del momento doveva essere quella di andare avanti. “Colpito mortalmente da una raffica di mitragliatrice in pieno petto – dice la motivazione del riconoscimento al valore – chiudeva la sua giovane esistenza incitando i suoi uomini al grido di ‘Nembo'”.
EGIDIO CAPPELLINI
Appena quindicenne militò con passione nella Gioventù socialista e allo scoppio della Prima guerra mondiale vi partecipò coraggiosamente venendo decorato al valore. Delegato dall’organizzazione socialista di Pesaro partecipò, nel gennaio del 1921, al Congresso di Livorno e fu, qui, tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia. Segretario, negli anni 1924-25, del PCdI a Pesaro, Cappellini fu fatto segno di ripetute aggressioni da parte delle squadracce fasciste. Dopo la promulgazione delle leggi eccezionali fasciste Cappellini, nel giugno del 1927, fu arrestato a Rimini e deferito al Tribunale speciale. Un anno di carcere preventivo e poi l’assoluzione per mancanza di prove. Durante gli anni del regime, Cappellini, coprendo i suoi spostamenti con l’attività di agente delle assicurazioni, svolse un’ininterrotta opera di collegamento e di organizzazione dei nuclei antifascisti. Nel 1942 era a Torino a promuovere la costituzione del “Fronte nazionale di azione”. Nel 1943, sempre a Torino, fu tra gli organizzatori degli scioperi del marzo. Arrestato come conseguenza di un’indagine condotta dalla polizia di Zara, fu tradotto in quella città, torturato durante la detenzione e denunciato al Tribunale speciale. Con la caduta di Mussolini e tornato in libertà, Cappellini assunse la direzione del Partito comunista nelle Marche e, dopo l’armistizio, fu tra i principali organizzatori del movimento partigiano nella regione, con Alessandro Vaia e Celso Ghini. Per le missioni di guerra portate audacemente a termine fu decorato al valor militare e, finito il conflitto, dedicò tutto il suo impegno all’attività politica come membro del Comitato centrale del PCI, senatore nella I e nella II Legislatura (eletto nel Collegio di Urbino), e soprattutto, per un decennio, occupandosi dell’amministrazione centrale del Partito comunista. Svolgendo egregiamente questo incarico, Cappellini fu anche ideatore di attività collaterali come, ad esempio, la fondazione a Roma di “Cinelatina”, che svolse un importante ruolo in campo cinematografico. Al suo illustre cittadino, Urbino ha intitolato una via
( a cura di Cicchetti Ivan)