PD Avezzano : 10 Buone Ragioni per dire NO alla Centrale e al Metanodotto SNAM
La Centrale e il Metanodotto non servono né all’Abruzzo né all’Italia. Il nostro territorio verrebbe utilizzato come “servitù” per il passaggio del gas proveniente dall’Azerbaigian e che arriverebbe in Puglia tramite il “TAP” di Melendugno (Trans Adriatic Pipeline). Snam, Eni ed altre multinazionali farebbero affari rivendendo il gas ad altri Paesi europei (Hub del gas), mentre tutti i costi e i rischi verrebbero scaricati sui cittadini delle 10 Regioni attraversate dalla “Rete Adriatica” e dal “TAP”.
Importando gas dall’Azerbaigian l’Italia favorisce il regime dispotico che governa quel Paese, ove vengono violati sistematicamente i diritti umani, le libertà di espressione e diritti personali.
La Snam insiste nel voler realizzare il mega gasdotto “Rete Adriatica” (di circa 700 km) lungo la dorsale appenninica, cioè in territori che presentano elevatissime criticità sotto l’aspetto sismico e idrogeologico. Mentre dal punto di vista Ambientale il progetto della Snam devasterebbe aree che sono caratterizzate da una diffusa presenza di Parchi naturali, oasi e siti di importanza comunitaria, foreste, fiumi e uso civico. Il tracciato del metanodotto si sovrappone a quello del progetto APE (Appennino Parco d’Europa) recentemente rilanciato dalla Regione Abruzzo. Quindi una cicatrice nell’ Abruzzo polmone d’Italia.
A dispetto degli 11 gasdotti già realizzati in Italia in questo caso le popolazioni dei territori attraversati dal metanodotto sono esposte al rischio di gravi incidenti. Realizzare impianti, già di per sé pericolosi, in aree altamente sismiche quali quelle dell’Abruzzo aquilano, dell’Umbria e delle Marche, significa esporre i cittadini a rischi ancora più elevati, in aperta violazione del principio di precauzione sancito dalla legislazione nazionale ed europea, come dimostra il ripetersi di esplosioni di gasdotti : vedi, ad es., Mutignano di Pineto (Te) il 6 marzo 2015.
Per Sulmona e la Valle Peligna il pericolo è doppio, perché la Snam ha previsto di costruire proprio a Sulmona, in località Case Pente, la centrale di compressione che dovrebbe spingere il gas fino a Minerbio (425 km). L’impatto della centrale è notevole, sia per l’elevata sismicità del territorio (rischio sismico uno, vicinanza alla faglia attiva di Monte Morrone) che per il valore paesaggistico, ambientale e archeologico dell’area individuata per l’impianto. Il sito della centrale, infatti, è in un corridoio faunistico (che vede la presenza anche dell’orso e del lupo) , all’ingresso del Parco nazionale della Majella e nei pressi di Pacentro, uno dei borghi più belli d’Italia. Inoltre le emissioni nocive della centrale, all’interno di una valle chiusa da alte montagne qual è la Valle Peligna, peggiorerebbero la qualità della vita mettendo a rischio la salute dei cittadini. Un nuovo incendio di vaste proporzioni come quello del 2017 che durò 14 giorni non è assolutamente auspicabile.
La centrale e il metanodotto non solo non porteranno posti di lavoro ma danneggeranno sensibilmente la nostra economia. La posa in opera dell’infrastruttura (un tubo di un metro e 20 cm di diametro) e la conseguente servitù di passaggio (40 metri, 20 per lato) comporteranno l’abbattimento di un notevole numero di alberi e la sottrazione all’agricoltura di molte centinaia ettari, nei quali non saranno possibili coltivazioni di pregio quali uliveti, vite, alberi da frutta, tartufaie. Saranno impattate e a rischio, produzioni tipiche come aglio rosso, caseifici e apicoltura. A tutto ciò va aggiunta la perdita di valore degli immobili situati vicino ai due impianti. Oltre a quello agricolo sarà fortemente colpito anche il settore del turismo.
Anche se ritenuto meno inquinante, il gas, insieme al carbone e al petrolio, fa parte dei combustibili fossili, responsabili dei cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il pianeta. Le fonti fossili rappresentano il passato, come dimostra il costante calo del consumo di gas in Italia e in Europa e come testimonia, all’opposto, la continua crescita delle fonti energetiche rinnovabili. Un nuovo modello di economia, che si prenda cura della Terra, ha come indispensabile premessa una profonda modifica del modello energetico. Senza contare che la Snam ha vista confermata la condanna, dalla Corte d’Appello di Milano, per reati di corruzione internazionale.
La vicenda del metanodotto “Rete Adriatica” e della centrale Snam a Sulmona ha fatto emergere diversi vizi e forzature procedurali. Sorprende che un’opera che il Governo considera “strategica” non sia mai stata assoggettata a preventivo e vincolante procedimento di V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica) richiesto sia dalla legislazione italiana che da quella europea. Inoltre, pur trattandosi di un’opera unitaria, su un unico tracciato dal sud al nord Italia, si è provveduto ad effettuare cinque valutazioni di impatto ambientale separate, essendo stato, il progetto, artatamente suddiviso in cinque segmenti. Per di più, dopo i decreti di pubblica utilità e di compatibilità ambientale, emessi su un’opera unica, comprendente metanodotto e centrale, l’iter autorizzativo è stato arbitrariamente separato in due differenti parti.
In un Paese democratico, che applichi la Costituzione, la vicenda Snam si sarebbe chiusa da tempo in un solo modo possibile : respingendo al mittente il progetto. Questo doveva essere l‘esito inevitabile, a seguito dei pronunciamenti negativi espressi da tutti i livelli istituzionali attraverso decine di deliberazioni. Tra queste spicca la risoluzione della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, del 26 ottobre 2011, che con voti unanimi ha impegnato il Governo a disporre la modifica del tracciato, attraverso un apposito tavolo tecnico istituzionale, per la individuazione di una soluzione alternativa, al di fuori della
dorsale appenninica. Ma le decisioni degli Enti Locali e del Parlamento sono state sistematicamente ignorate dai vari Governi che si sono succeduti.
Questa battaglia civile e democratica che i cittadini ed i loro rappresentanti
stanno combattendo da oltre otto anni, dai Comuni alle Amministrazioni separate fino alla Regione che si è dichiarata esplicitamente contraria, non è solo in difesa dell’ambiente e della qualità della vita, essa è anche e soprattutto la rivendicazione di un diritto fondamentale: quello di decidere della gestione e del futuro del nostro territorio. Un diritto che un potere miope ed arrogante, braccio operativo dei fortissimi interessi delle multinazionali, sta invece calpestando con forza.
La battaglia ha anche il valore emblematico di una comunità che non si piega ma difende la propria dignità di fronte ad uno Stato che, anziché favorire la vivibilità delle aree montane interne, ne accentua l’abbandono e lo spopolamento attraverso l’imposizione dall’alto di opere inutili e devastanti.