di Alina Di Mattia
“Tutti gli adulti sono stati bambini ma pochi di loro se lo ricordano”, recita un passo de “Il piccolo principe” dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry. Con la complicità dell’atmosfera natalizia, proviamo a recuperare qualche ricordo perduto dei bambini di ieri, attraverso un breve estratto dal libro “Erano gli anni della TV dei ragazzi”.
“Con gli occhi di chi è nato negli anni ‘70, mi resta difficile osservare il mondo in cui viviamo senza cadere in quella odiosa propensione alla critica che, nella migliore delle ipotesi, mi trasforma in zetetica. La mia generazione ha attraversato una trasformazione storico-culturale senza precedenti; costumi, valori, tradizioni, persino la famiglia, sono cambiati ad una velocità insostenibile. In meno di quarant’anni siamo passati dalla TV analogica in bianco e nero a quella digitale, on demand, a colori e con il telecomando; sono sparite le Brigate Rosse ma è arrivato il terrorismo di stampo islamista; abbiamo assistito alla caduta del muro di Berlino ma anche alla distruzione delle Torri gemelle e al tonfo delle Borse internazionali. Come uno spettatore nostalgico davanti a un film che si avvia al suo finale e nella speranza di un sequel da mostrare con baldanza alla generazione 2.0, vi regalo un ricordo di un’epoca tanto straordinaria quanto complessa, caratterizzata da un incessante susseguirsi di innovazioni tecnologiche e progresso culturale, segnata da una profonda e rinnovata consapevolezza sociale e da una politica oltremodo scomoda per l’allora società retrograda e conformista e, anno dopo anno, mi perdo nel ricordo del profumo di mandorla della colla Coccoina, nella tonalità celestiale della Triumph Herald 1200 di papà che faceva pendant con il soprabito americano scolorito della nonna, nel suono inconfondibile della voce roca del radiocronista Sandro Ciotti che si alternava al rumore monotono e tedioso delle pericolose palline clic clac. E a nome di tutti i reduci degli anni ’70 diventati ormai un modello di riferimento arcaico e superato, travolti dai ritmi frenetici di una società sempre più competitiva ed individualista che sembra non avere più tempo per sognare, in un mondo preconfezionato in cui l’apparire è più importante dell’essere, vi presento un frammento di una storia, vissuta con gli occhi di un’adolescente nata e cresciuta nel cuore di un’Italia che cresceva pigra e distante dai grandi eventi mediatici metropolitani, filtrata da una cultura provinciale che stimolava l’immaginazione, dipingeva ogni evento ed illuminava di speranza un futuro che ci appariva radioso.
Reduce degli anni ’70 Vorrei raccontarvi delle abbuffate di polvere della Circonfucense lavate via dai sorsi d’acqua fredda e non potabile delle cannelle del fontanile di ‘Sant’ Vit’’; dei bagni in mutande nelle vasche in cui si dissetavano anche le pecore e le mucche di passaggio; degli scivoloni sulla ciancia maleodorante che colava dai carri diretti a Fucino; delle automobili sprovviste di cinture di sicurezza; delle suole delle scarpe sfondate dalle corse sfrenate in bicicletta e delle pericolose risalite aggrappati con un braccio ai rimorchi dei trattori; della frutta mangiata appena raccolta e lucidata sulle magliette sudicie; delle lunghe scarpinate senza Nike ai piedi, senza cardiofrequenzimetro on line e senza wellness app. E parlarvi di un periodo in cui il navigatore non esisteva, men che meno il cellulare, nonostante tutto non ci siamo mai persi e le nostre mamme hanno sempre saputo come e dove rintracciarci. Il Telefono azzurro non c’era e quando prendevo una bacchettata dal maestro mi guardavo bene dal raccontarlo a casa altrimenti mio padre mi avrebbe dato il famoso “resto”. Nessuno è stato denunciato quando mi sono sbucciata un ginocchio e nessun insegnante ha consigliato ai miei genitori di portarmi da uno psicologo per iperattività. Il giorno non ci bastava mai e non perché perdessimo tempo a chattare sui social o a fare zapping tra le centinaia di canali televisivi tematici che abbiamo oggi, e neppure a giocare con la Playstation o a fare shopping su Amazon, ma perché fuori c’era un mondo da scoprire che non finiva mai, fatto di tesori nascosti, castelli incantati, mostri, alieni, fate, folletti dei boschi, favole da inventare e avventure da vivere tutto l’anno. Sono cresciuta accarezzando una moltitudine di cani chiamati Rintintin e Lassie, ho avuto gatti di nome Gigio e Silvestro, mi sono arrampicata sugli alberi come Pippi Calzelunghe, ho sperato di fuggire come Poli in Portogallo e di naufragare sull’Isola misteriosa. La sera, a letto, mi nascondevo sotto le coperte temendo che arrivasse Fantomas e mi addormentavo con la certezza che D’Artagnan mi avrebbe salvata. A Carnevale i miei fratellini si mascheravano da Zorro e Arlecchino, salivano sulla Graziella blu e correvano come scalmanati anche se i freni erano rotti. E non è mai arrivato l’Osservatorio sui diritti dei minori o il Moige a salvarli! Era d’abitudine fare la spesa quotidianamente presso le piccole botteghe del paese che profumavano di formaggio grattugiato e acciughe sotto sale, non mangiavamo piatti precotti e non avevamo il congelatore per fare scorte di cibo. Nel frigorifero c’erano le fettine di carne avvolte nella carta paglia del macellaio, il tubetto della conserva, un pacchetto di margarina, un pezzetto di formaggio del pastore sotto casa e, di tanto in tanto, un etto di prosciuttella. Il pane si comprava al sabato e durava tutta la settimana. La nostra colazione era a base di latte e Ovo Maltina, i mitici Oro Saiwa e un uovo fresco sbattuto con lo zucchero prodotto dallo stabilimento proprio a due passi da casa. Bevevamo litri di spuma nera, cugina timida della CocaCola, e ci ingozzavamo di intere confezioni di marmellata in cubetti e chili di cioccolato a fette; facevamo indigestione di crema di nocciola rosa e di ciliegie raccolte e mangiate direttamente sull’albero ma non avevamo problemi di peso perché correvamo tutto il giorno!
Sulla credenza in cucina, in bella vista, spiccava un’elegante scatola delle caramelle Sperlari in cui giaceva un pezzo della pista da corsa Polystil o un mattoncino delle costruzioni Lego. In alto s’intravedeva la scatola del Rischiatutto di Mike Bongiorno e la mucca parlante ricevuta in omaggio con qualche fustino di detersivo per la lavatrice. Sotto il televisore, a lato dello stabilizzatore che accendeva l’apparecchio, si trovava il mitico catalogo Postalmarket e il settimanale Radiocorriere TV aperto sulle pagine dei programmi del giorno. Una sgangherata Skipper, che costava molto meno della sorella maggiore Barbie, giaceva inerme sui libri di scuola foderati di carta fiorata o plastica colorata. Dal cruscotto del 1100 Fiat sbucavano i famosi occhiali a Raggi X, acquistati tramite una pubblicità ingannevole sul settimanale Intrepido, insieme ad un miracoloso prodotto per l’allungamento dei capelli che non ha mai funzionato.
Le automobili erano di ferro resistente e quando si ammaccavano si portavano a riparare, come qualsiasi altro oggetto dell’epoca non ancora costruito seguendo la scellerata logica dell’obsolescenza programmata. Una sveglia Casio ricevuta in regalo per la Cresima, mi ha fatto compagnia per trent’anni e tutt’oggi un vecchio spremiagrumi Siemens si occupa brillantemente del succo delle mie arance.
Nelle gite domenicali i bambini indossavano le t-shirt ispirate a sceneggiati e canzoni – le più famose furono quelle di Yuppi-Du – e facevano le sfide con il Going. Non conoscevamo i non luoghi dei centri commerciali: noi avevamo i prati, i boschi, gli alberi, le piazze e le strade per giocare. Eravamo bambini liberi e, soprattutto, eravamo una generazione numerosa. I nostri genitori si sposavano giovanissimi regalandoci la più straordinaria delle opportunità, quella di crescere con nonni e bisnonni che trattavamo con assoluto rispetto. Ricordo che da ragazzini ci rivolgevamo agli anziani con deferenza ed era impensabile alzare la voce in loro presenza!
All’ora della merenda iniziava la TV dei Ragazzi e, non avendo il video registratore, l’appuntamento era inderogabile. All’epoca i bambini non possedevano tanti giocattoli. I maschietti più fortunati giocavano con l’Allegro Chirurgo, il Meccano, Big Jim, i Micronauti, piste e ferrovie; le femminucce con pentoline, mini elettrodomestici e il Cicciobello classico. Tanto per chiarire sin da subito i rispettivi ruoli! Abbiamo ballato la prima musica dance della storia e forse anche l’ultima. Conoscevamo a memoria il ritornello di Wordy Rappinghood e tuttora ripetiamo quello di YMCA senza peraltro conoscerne il vero significato, imitavamo i movimenti robotici dei Rockets e il celeberrimo make-up dei Kiss. Le ragazzine si vestivano con i pizzi e i maxi crocefissi di Madonna – divenuto il Pop Brand più famoso della Storia, i ragazzini con i calzoni alla pescatora di Michael Jackson. Mi sono innamorata per la prima volta sulle note di Reality di Richard Sanderson e con me tutta la generazione del Tempo delle mele. Nel leitmotiv del fortunato film francese è racchiusa tutta la purezza dei sentimenti di quell’epoca.
C’è stato un periodo in cui i ragazzi impazzivano per Patsy Kensit e Dalila Di Lazzaro, e le ragazze per Simon Le Bon e Antonio Cabrini, ed era chiaro che Johnny & Mary non fossero soltanto due innamorati dal nome anglosassone. Nel momento in cui i Pink Floyd riempivano i botteghini con The Wall e Avrai di Claudio Baglioni (1982) diventava l’inno ad una nuova vita, abbiamo assistito alla proiezione de Lo Squalo 3D (1983) indossando gli occhiali tridimensionali trent’anni prima di Avatar o Heart of the Sea. Siamo morti di paura con L’esorcista, cercato risposte con Apocalypse Now, avuto l’ansia con il Cacciatore, e gli incubi notturni con La Notte dei Morti viventi di George Andrew Romero ma anche con i film di Dario Argento. Sappiamo fare il verso a Bruce Lee, ripetiamo a memoria le battute dei Blue’s Brothers ed imitiamo perfettamente la voce del Padrino. Abbiamo applaudito i Pooh quando erano compressi in certi jeans da togliere il respiro, Madonna con i denti originali, visto Richard Gere nel pieno della sua virilità e cantato insieme ai Police, David Bowie e Freddie Mercury! Oggi conserviamo montagne di 45 giri di cui andiamo fieri, guardiamo gli Abba e la Kool & the Gang su YouTube ed acquistiamo le raccolte di figurine Panini su Ebay.
Ed io, io ho viaggiato nelle epoche storiche con George Wells e ho creduto che quando avrei compiuto quarant’anni avremmo avuto anche noi la macchina del tempo. Quarant’anni e più sono trascorsi, abbiamo inventato il web, l’Ipod e l’Ipad, l’Iphone, Skype e Facebook, abbiamo scoperto il Bosone di Higgs, creato bambini in provetta, siamo stati perfino sulla Luna, ma la macchina del tempo no, quella non è stata inventata, e il tempo… il tempo si è fermato con gli eroi che ci hanno fatto crescere con quell’incanto e quell’ingenuità che i bambini di oggi hanno perso e i loro genitori sembrano aver dimenticato.”
Buon Natale ai bambini di ieri…