Brucia il burqa, una donna, un uomo piange mentre gli viene tagliata la barba, un anziano si getta a terra liberando il suo pianto mentre una soldatessa lo bacia. Ci sono voluti 73 giorni di scontri e tanti raid aerei ma, alla fine, Manbij è salva, è libera. Le forze curde e siriane hanno liberato la città martirizzata prima dal terrore dei miliziani di Daesh e poi dai bombardamenti della coalizione anti Isis perché tappa cruciale per i collegamenti tra Aleppo e il confine turco. Piange la città ma finalmente, dopo le 438 vittime civili strappate alle loro vite, sono lacrime di gioia. Chi trasgrediva il codice d’abbigliamento imposto dalla polizia religiosa veniva pestato: tubi di metallo per gli uomini e catene per le donne. Si poteva essere massacrati anche solo per aver indossato un paio di jeans. A rendere testimonianza del clima di terrore subito dai residenti e in particolare dalle donne emblematico è il video in cui una ragazza con il burqa dopo la “liberazione” solleva per un momento la maschera di stoffa che le copriva il viso per dare sfogo alle lacrime, davanti al volto terrorizzato del suo bambino, di sicuro testimone di crudeltà inaudita, che si guarda intorno terrorizzato. I militanti di Daesh avevano cominciato la loro ritirata sequestrando circa 2mila civili per usarli come scudi umani (tutti tempestivamente liberati ndr). La direzione di fuga sarebbe il nord, in un convoglio di circa 500 veicoli, per raggiungere il valico di confine con la Turchia di Jarablus. Il leader curdo siriano Salih Muslim sostiene, però, che “sono state tagliate le vie di fuga” in quella direzione. “La liberazione di Manbij è qualcosa di ben più grande: i membri dell’Isis non saranno più in grado di viaggiare liberamente verso l’Europa”.
Alex Amiconi