SAN FRANCO DA ASSERGI – EREMITI D’ABRUZZO

Nacque a Roio (L’Aquila), sotto il pontificato di Adriano IV (1154-1159) da famiglia di contadini benestanti. Sotto la guida di un sacerdote del paese, Palmerio, fece i primi studi. Entrò poi nel monastero benedettino di San Giovanni Battista di Lucoli, dove rimase venti anni, dopo i quali si allontanò per vivere da eremita. Il primo periodo lo passò nei boschi di Lucoli, cibandosi “herbulis, glandulis et agrestibus pomulis”. Nel secondo, il più incerto, errò qua e là sulla catena centrale dell’Appennino abruzzese, che culmina nella vetta del Velino; poi passò alla catena del Gran Sasso. Il terzo periodo lo passò sui monti di Assergi: cinque anni al Vasto, quindici sui monti Sabini. Al Vasto si scelse un luogo erto e pittoresco, ma arido e privo di rifugi, si costruì una capanna secondo il sistema tradizionale dei pastori e alle sue preghiere zampillò l’acqua dalla rupe; ancora oggi la sorgente, a circa milleottocento metri sul mare, è detta “l’acqua di s. Franco”; i pellegrini la bevono devoti e vi si lavano per ottenere la guarigione dalle malattie, specie della pelle. Passò ai monti Sabini per sfuggire ai visitatori, e si fermò in località più vicina ad Assergi, ma più impervia, dove, secondo la leggenda, un’orsa con tre orsacchiotti lo guidò ad una grotta e gli fece a lungo compagnia. Nelle feste principali dell’anno si recava ad Assergi per ricevere la Comunione, forse nella chiesa di S. Maria in Silice.
Qui avvenne l’episodio del bambino in fasce salvato dalla bocca di un lupo; l’agiografo riferisce il fatto in termini assai moderati e realistici; pure la fantasia degli artisti, pittori e scultori, vi si è ispirata fin dai tempi più antichi ed il santo viene sempre rappresentato con accanto un lupo che tiene un bambino in bocca.
Quando l’eremita per la malferma salute presentì prossima la sua fine, volle ricevere gli ultimi sacramenti, poi fu lasciato solo con le braccia incrociate. La notte, le campane di S. Maria in Silice suonarono da sole prima dell’ora consueta ed i galli del paese cantarono insolitamente. La popolazione si svegliò, immaginò, guardò in direzione della grotta e vide una luce: accorse e trovò l’eremita morto. Con grande venerazione la sua spoglia fu portata al paese e sepolta nella cripta della chiesa del monastero.
Per la sua intercessione avvennero numerosi miracoli. In tutti i secoli folle di pellegrini, specialmente dall’aquilano e dal teramano, si sono recate a pregare sul suo sepolcro ed i pellegrinaggi continuano ancora, benché in forma più ridotta. I resti mortali del santo, furono raccolti in un tumulo di pietra, da cui passarono nel 1480-81 all’artistica urna d’argento, pregevole lavoro del maestro Giacomo di Paolo da Sulmona. Anche la festa liturgica venne presto; un calendario manoscritto dei monaci di S. Maria in Silice, dei primi anni del Trecento, già portava la festa di Franco. Verso quell’epoca il monastero di Assergi scomparve e subentrò ad esso un capitolo secolare, ma la devozione continuò, tanto che la chiesa di S. Maria in Silice nei primi del sec. XV si arricchì di una facciata in pietra, che è un gioiello di arte romanica. Nella sua vita c’è più di un elemento per concludere che Franco fu sì monaco ed eremita, ma non sacerdote: tuttavia la figura medievale di un monaco non sacerdote presto non fu più compresa e la tradizione pofigura medievale di un monaco non sacerdote. Nel 1757 il vescovo dell’Aquila, Sabatini, otteneva dalla S.Congregazione dei Riti l’estensione della festa liturgica a tutta la diocesi.

 

 

( Cicchetti Ivan )

 

 

Redazione - Il Faro 24

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