“ORDINANZA E DELIBERA MIRANO AD ALIMENTARE ABUSIVAMENTE DI ACQUA MINERALE CLINICA INI E CASE DI AMMINISTRATORI”.
Lo rende noto la società Santa Croce, ex concessionaria della sant’Antonio Sponga, poi revocata dalla Regione nell’ambito di un serrato e lungo contenzioso.
Il duro braccio di ferro va ancora avanti mentre la concessione della Sorgente Sant’Antonio Sponga non è stata ancora assegnata con la preziosa acqua che finisce nel fiume Liri nonostante ci sia stato un affidamento provvisorio al gruppo Norda in seguito al bando regionale del 15 dicembre 2016.
Il sodalizio del patron Camillo Colella ritiene “palesemente illegittimi i due atti amministrativi”. Allo studio anche un’azione penale per abuso, nei confronti di chi, sostengono i legali della Santa Croce, sta utilizzando da tempo, senza regolare concessione, né autorizzazioni, un bene, l’acqua minerale, che appartiene alla Regione Abruzzo, e per di più mediante una conduttura dalla stessa Regione considerata “abusiva”.
L’impugnativa, a cura degli avvocati Claudio e Matteo Di Tonno è rivolta contro il Ministero dell’Interno, il Comune di Canistro, la clinica Ini e il sindaco Di Paolo, nella veste di privato cittadino.
Il nuovo contenzioso ruota intorno alla vicenda della vasca di calma, collocata tra le sorgenti Sant’Antonio Sponga e lo stabilimento della Santa Croce, di cui la società di Colella al termine di una lunga controversia giudiziaria aveva ripreso il possesso, a seguito della decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano (L’Aquila), Anna Carla Mastelli, che ha disposto l’immediata restituzione delle chiavi che erano state consegnate in affidamento momentaneo all’allora responsabile dell’Ufficio tecnico del comune di Canistro, Massimo Iafolla.
Al tecnico erano state consegnate al termine di una ispezione della Regione, anche quella ritenuta illegittima dai giudici.
“Il ricorso al Tar – chiariscono i legali – è stato presentato in risposta agli atti notificati dal Comune di Canistro nei confronti della società, con il sindaco Di Paolo intervenuto con la requisizione di un bene della società”.
Il ricorso è stato portato all’attenzione del Prefetto dell’Aquila, al quale dagli atti, non risultano inviate le comunicazioni previste dalla legge.
Del tutto “sorprendentemente”, ricordano però i legali della Santa Croce, il 29 gennaio 2018 il Comune di Canistro ha pubblicato un’ordinanza con cui, per ragioni sanitarie, si diffida all’accesso, da parte di terzi alla vasca, consentendolo solo al personale del Comune autorizzato espressamente dal Sindaco, argomentando che da essa partono le condotte “per il rifornimento idrico di molte abitazioni, ed anche della clinica Ini, trattandosi dunque un servizio di pubblica utilità”.
Poi, il 23 febbraio 2018, la Giunta Comunale ha adottato una deliberazione con cui si autorizza la realizzazione di un tratto di un acquedotto per alimentare la località Cotardo specificando che “le abitazioni e le attività site in località Cotardo sono fornite di acque potabile mediante un acquedotto che alimenta sia l’intera zona, che lo Stabilimento Sorgente santa Croce spa, in quanto all’epoca fu realizzato dallo stesso proprietario delle due strutture, la Clinica Ini e Sorgente Santa Croce spa”, con riferimento alla famiglia Faroni, che era il concessionario delle sorgenti precedente alla Santa Croce di Colella.
Utenze che da anni, ricordano i legali nel ricorso, sono servite da condutture abusive, come è confermato dalla Regione in una comunicazione del 2016, a seguito di riconsegna della concessione da parte della Santa Croce.
“Dalla lettura di siffatta comunicazione – scrivono ancora i legali della Santa Croce – la società, con stupore, ha appreso dell’esistenza di una (non meglio identificata) condotta che fungerebbe da “derivazione per case sparse”; si è, altresì, appreso che il Comune di Canistro avrebbe rimesso all’amministrazione regionale una documentazione tecnica che la stessa Regione Abruzzo ha ritenuto essere ‘uno schema acquedottistico difforme da quanto risulta agli atti Regionali’, e ‘ancorché abusivo [sarebbe] anche destinato ad uso pubblico, un tubo di polietilene da un pollice che alimenta la clinica Ini e alcune case private’ allacciato in un pozzetto ‘in prossimità del cancello della Rsa della clinica Ini’”.
Il paradosso evidenziato nel ricorso è dunque che “ad oggi è mantenuta la chiusura dell’adduzione che si dirige verso lo stabilimento della società, con il risultato che oramai da due anni l’acqua minerale viene letteralmente dispersa nell’ambiente circostante, mentre non risulta apposta alcuna interdizione nella condotta che si dirige verso la Clinica Ini e, ancor più a valle, verso le civili abitazioni nella località Case Sparse”.
“La società ha ritenuto – si scrive nel ricorso – opportuno compiere delle visure catastali circa le unità abitative presenti nella citata località Case Sparse scoprendo che quelle più prossime alla Clinica risulterebbe riconducibili all’attuale Sindaco del Comune di Canistro e ai suoi familiari”.
E per di più la condotta rifornisce queste utenze di acqua minerale che, si ricorda nel ricorso, appartengono ai beni del patrimonio indisponibile della Regione, “le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili”, e “non possono essere sfruttate ed utilizzate se non attraverso un provvedimento concessorio”.
A seguito di un accesso agli atti da parte della società, la Regione Abruzzo ha poi confermato che l’ente “non ha rilasciato concessioni di acque minerali e termali a favore della Clinica Ini di Canistro e dei residente della frazione Case Sparse di Canistro, né sarebbero reperibili autorizzazioni specifiche, sub-concessioni e/o contratti di somministrazione richiesti alla Regione Abruzzo”.
“Per queste ragioni – concludono i legali della Santa Croce – la delibera che intende realizzare un nuovo acquedotto è palesemente illegittima, perché “sarebbe finalizzato all’apprensione, ed impiego, di un bene appartenente al patrimonio indisponibile della Regione Abruzzo in assenza di un doveroso provvedimento concessorio”.
Il provvedimento insomma si pone in aperta violazione delle norme che disciplinano l’appartenenza e l’uso di beni minerari, vista la mancata corresponsione del canone concessorio, la mancata valorizzazione nello sfruttamento della risorsa, e altri oneri.
Illegittima anche l’ordinanza del 29 gennaio che ha precluso l’accesso alla vasca di calma.
In primo luogo perché “il potere di requisizione è attribuito esclusivamente al Prefetto, mentre il Sindaco ha solo una competenza sussidiaria”, e “nell’ordinanza non sono minimamente illustrate le ragioni per le quali il Sindaco abbia ritenuto di dover derogare all’ordinario riparto di competenze”.
Non solo: “in materia di sanità pubblica devono essere motivate sull’effettiva sussistenza di un concreto e imminente pericolo per la pubblica e privata incolumità, e trattare pur sempre di situazioni di emergenza che, come tali, non possono essere rimediate mediante le procedure ordinarie”.
In questo caso “non è dato ravvisare un’urgenza, imprevista e sopravvenuta, ma non appare neppure tutelata la pubblica incolumità: il provvedimento avrebbe, infatti, ad oggetto la disciplina di poche unità abitative, peraltro, come visto, in larga parte riconducibili alla famiglia del Sindaco nonché un attività imprenditoriale che nulla ha proferito al riguardo”.