– TRE INVERNI, QUATTRO PRIMAVERE – DI MATHIAS BURATTO

Tre inverni, quattro primavere

  C’è una pagina che ho sempre desiderato scrivere. Un ricordo che vorrei potesse esistere per sempre in quel limbo costruito di byte che, oggi, è divenuto una realtà ben più oggettiva, una vera e propria sfida alla caduca veste che ravvolge il tempo.

Ho avuto la fortuna di conoscere diversi artisti. Se si eccettua la giusta emozione e qualche ricordo più o meno fugace, ciò che mi è rimasto è una foto nel telefono, un aneddoto da raccontare a un amico o, ancora, l’immagine sfocata di un momento che, accordandosi al fluire del tempo, ha perso un po’ di vividezza. Credo sia la normale conseguenza del giorno, infatti segue una comune sembianza di vita. È senza dubbio un fatto e, in quanto tale, è vero che è così, ed è così che è vero, tuttavia c’è una persona che ho avuto la fortuna di conoscere e fin dal primo momento si è subito discostata da tale immagine.

Questa persona si chiamava… anzi, si chiama e si chiamerà per sempre Stefano D’Orazio.

Quanto scrivo non vuole essere l’accorata apologia rivolta a un artista che non c’è più. È importante premettere che Stefano non è diventato un grande uomo nel momento in cui ci ha lasciati. Invero non ne ha mai avuto bisogno perché… è sempre stato grande.

Musicista eccelso, poeta, scrittore e prima di tutto dotato di una voce genuina e carezzevole. Ma non solo: era capace di trascendere quello spazio eccettuativo e privato che separa l’artista dal proprio pubblico.

Io lo vedo ancora e sempre dietro la sua amata batteria bianca, quella con la doppia grancassa che fin da quando ero piccolo sognavo di poter un giorno suonare. Sempre lì, con il sorriso fuggevole e quella luce negli occhi che era più esplicativa di mille parole. Un sorriso che poi mutava nell’emozione ogni volta che cominciava l’attacco di “50 Primavere”. Il momento in cui smetteva di essere artista e diventava figlio.

Questi però sono ricordi comuni, o almeno credo.

Da aspirante scrittore, per me Stefano era ed è tuttora un maestro. Lo so, scrittura e testi musicali sembrano esistere alle antitesi della pagina, però non credo sia così. Per me sono legati da un filo conduttore ben definito. Lo stesso che lega anche le sceneggiature cinematografiche o quelle teatrali. In ogni caso, non posso e non voglio negare che è stata fonte di non poca ispirazione. Per questa e per altre mille e forse più ragioni non appena ho saputo che avrebbe presentato la sua biografia a Treviso, relativamente vicino a dove vivo, ho subito deciso di salire in macchina e andare da lui. Era il 9 maggio del 2013 e io, come un fan qualunque, mi sono messo in viaggio con il desiderio di stringergli la mano.

Vabbè, dai, tralasciamo i dettagli in ragione dei ricordi, anche se saprei raccontare quasi ogni particolare di quel giorno. Con molta titubanza mi sono presentato dietro le quinte. Giuro, non sono passati due minuti che, dopo avermi intravisto tra la porta e il corridoio, mi è venuto incontro con un grande sorriso accogliendomi nel suo regno come si fa con un vecchio amico: abbraccio e pacca sulla spalla. Non credo avesse percepito il mio imbarazzo, in ogni caso era proprio così… unico! Abbiamo parlato, ha chiesto di me e delle mie aspirazioni, poi è stata la volta di qualche aneddoto legato ai concerti e non poche risate. Del resto era impossibile non ridere con lui.

Fin da subito aveva dato a quell’incontro una sfumatura amena. Sapete quell’immagine che avete nel cuore e poi, per qualche strana congiunzione, diviene reale? Ecco… questo è ciò che ho provato quel giorno. Ero molto timido, senza dimenticare la debordante emozione di trovarsi vis-a-vis con un grande artista. È trascendentale, senza dubbio. Posso soltanto dire che ha fatto tutto lui, da solo. Io non ho avuto alcun merito di quella mezz’ora rubata alla cortesia del fato.

Alla fine mi ha ringraziato (lui, tengo precisare) per essere andato a trovarlo e per i complimenti (di certo lapalissiani) che gli avevo fatto. È senza dubbio incredibile, perfino ora che lo sto scrivendo dopo tanti anni mi sembra fin troppo illusivo e prospettico, ma posso giurare che è la verità. Prima di andarmene gli ho lasciato qualche mio scritto, qualcosa come trenta pagine, non poche. Lui ha subito affidato il plico al manager con una precisa raccomandazione: “Domani, in treno, quando torniamo a Roma, devi darmelo che lo voglio leggere.”

Qualche parola ancora, mille ringraziamenti da parte mia, l’immancabile foto, non un selfie perché sono sempre stato restio, un autografo e, infine, ci siamo salutati come due vecchi amici. Lui ha continuato con le prove per la presentazione del libro; io invece ho colto profitto per visitare la città.

Sinceramente non sapevo che cosa aspettarmi da quell’incontro. Per me era stato un sogno e lui una specie di Virgilio in quella realtà onirica in cui mi ero trovato. Ero felice, inutile negarlo, ma non sapevo ancora quanto. Dopo quattro giorni esatti ho ricevuto una telefonata.

“Ciao, sono Stefano… D’Orazio. Ti chiamo perché ho letto quello che mi hai dato e volevo dirti…”

Credetemi che è davvero impossibile descrivere le emozioni che ho vissuto in quel momento. Abbiamo parlato per qualche minuto e lui, generoso come pochi, mi ha donato un grandissimo empito per continuare a scrivere e, non meno, dei preziosi e inattesi consigli. Alfine gli ho chiesto se potessi salvare il suo numero, incredibilmente ha acconsentito, e da lì abbiamo cominciato a sentirci soprattutto tramite SMS durante feste, compleanni e varie occasioni, compreso il matrimonio con Tiziana, che non ho mai avuto il piacere di conoscere. Sempre gentile e affabile, non ha mai fatto passare nemmeno un giorno prima di rispondermi. Ecco, così era Stefano D’Orazio… un uomo dal cuore immenso.

Sono trascorsi tre inverni e quattro primavere e ancora non riusciamo a capacitarci della sua assenza. Soffriamo tutti la mancanza non soltanto di un grande artista, ma di un uomo come pochi. Se poi si considera il successo e il nome che aveva, a mio avviso, lo rende davvero più unico che raro. Una vera e propria eccezione. Un uomo irripetibile.

Stefano era una persona meravigliosa. Vorrei trovare mille altre parole o sinonimi per ripeterlo ancora e ancora, ma la verità è che sarebbero appena semplici attenuazioni. Ho sempre pensato che il merito più grande sia lasciare qualcuno senza parole. Così, privo di argomenti a supportare le emozioni del cuore. Lo so, è un paradosso soprattutto per uno come me, che scrive e descrive finanche il superfluo. Eppure Stefano è l’immagine di questa singolarità. Infatti, non esistono parole per descriverlo. Era capace di trascendere il significato del tutto perché lui e lui soltanto ne statuiva il confronto.

Nessuno come lui, nessuno più di lui.

Quel giorno, per bontà sua, ho potuto conoscere Stefano. Con il suo modo di fare, la gentilezza e la simpatia che gli era ingenita ha trovato “un posto nel mio cuore”, come in quello di tantissime altre persone, e lì esisterà sempre per sempre e ancora, con tutti noi.

Redazione - Il Faro 24

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