Facebook in netta discesa. Non soltanto per lo scandalo di Cambridge Analytica che ha messo a nudo alcune verità scomode al sistema globale, e che evidenziano quanto il colosso dietro a Zuckerberg sia ormai interconnesso con le società di Data Scientist, le agenzie che raccolgono informazioni sensibili degli utenti online per classificarci, controllarci e direzionarci nei consumi di massa, ma perché comincia ad annoiarci.
Secondo uno studio di Pew Research Center pare che il 40% dei giovani abbia rimosso l’applicazione dal proprio cellulare e centinaia e centinaia di utenti stiano chiudendo il proprio profilo quotidianamente, tanto che la società ha deciso di prolungare i tempi per ottenere la cancellazione definitiva dell’account – fino a 30 giorni annunciano – con la speranza che ci sia un ripensamento da parte dell’interessato.
Nato come “aggregatore sociale”, Facebook era – ed in parte lo è ancora – il luogo virtuale in cui amici, colleghi, conoscenti, parenti, potessero ritrovarsi ed essere in contatto perenne, condividere un’esperienza, un sentimento di rabbia, di speranza, d’amore, un momento di gioia o di dolore, un posto in cui ritrovare persino se stessi attraverso una sorta di psicoterapia collettiva con il confronto con i propri contatti. Una piattaforma utile allo spirito ed anche alla vita reale. Qualcuno infatti ha trovato lavoro con Facebook, qualcuno l’amore, qualcuno una nuova ispirazione artistica, qualcuno se stesso.
Una finestra sul mondo quindi, per chi, per un motivo o l’altro, non poteva muoversi di casa.
C’era chi lavorava lontano dalla famiglia, chi aveva i figli che studiavano all’estero chi i nipoti in vacanza in Papuasia, chi la nonna dall’altra parte del mondo, chi il coniuge oltreoceano, insomma: il social era “una mano santa” per le relazioni, un grande fratello costante e presente nella vita degli affetti più cari.
Un modo di non sentirsi mai soli ma parte di un Tutto.
Era inoltre la possibilità di stare in contatto con chiunque facendoci scoprire pregi e difetti di questo chiunque. Non è un caso che molti rapporti di parentela o di amicizia si siano rafforzati ed altri purtroppo (o per fortuna) finiti proprio grazie a Facebook. Sui social si può barare inizialmente, ma basta l’occhio di un osservatore attento per demolire i muri imbiancati o meglio, le vite photoshoppate.
In Facebook veritas, ho sempre sostenuto. E così, dei migliori è venuto fuori il meglio, dei peggiori il peggio.
Quando il network è diventato anche aggregatore di coscienze, di ideologie, di pensiero, oltre ad un controverso catalizzatore di invidia sociale, a qualcuno non è piaciuto. Basti pensare ai movimenti politici che sono nati proprio grazie ai social. Uno per tutti, in Italia, il M5S che ha fatto di Facebook il suo più grande mezzo di propaganda, esempio seguito a ruota dai partiti della Politica 2.0.
Sicché i programmatori hanno pensato bene di inserire un logaritmo per dividerci in gruppi, per selezionare e sezionare i nostri contatti, per decidere con chi o meno dovessimo interagire, per manipolare la nostra vita sociale. Per spiarci.
Lì per lì non avevo dato peso alla novità. Notavo l’assenza sulla Home di alcuni contatti interessanti, persone che avevano sempre qualcosa di intelligente da condividere e che leggevo volentieri, ma con i quali, per una sorta di pudore, non interagivo. E così, via via, l’algoritmo me li ha nascosti e li ho persi di vista.
In compenso pullulano gattini, bambini, pensieri filosofici inflazionati, poesie, selfies. Il proseguo di post ai quali ho quasi sempre dato un like, spesso per gentilezza. Oh, certo, qualche volta sono riuscita a desistere davanti a foto brutte o inutili, ma come si fa a non dare un like alla foto del bimbo di un’amica anche se la posta otto volte al giorno? E al contatto che si fa un selfie ogni quarto d’ora e che ha bisogno di una buona dose di autostima per non entrare in catalessi, che fai… non clicchi “mi piace“?
Dunque, elargendo consensi di cortesia di qua e di là, è successo che, da un giorno all’altro, una sequenza matematica ha deciso che non avrei più visto determinati utenti e relativi post, penalizzando proprio coloro che seguivo con curiosità ed interesse, senza appunto interagire. Già, perchè il logaritmo non sapendo cosa voglia dire “discrezione” preferisce farmi vedere il cane della vicina o i piedini del figlio del collega di mio fratello, a cui do sempre il mio consenso per educazione, nonostante che noia, che barba, che noia.
Personalmente non ho intenzione al momento di cancellarmi da Facebook, perché, come è palese, qui ci lavoro anche, e non dimentico che l’interazione virtuale è stata decisiva per la mia vita lavorativa reale, ma una presa di posizione bisognerebbe pur prenderla. Quanto meno cominciare a togliere l’applicazione dai cellulari e tornare al tanto blasonato e sicuro computer di casa. Ci libererebbe anche dall’ansia di sapere se la sorella del fruttivendolo all’angolo si è finalmente operata all’alluce del piede sinistro o se la colonscopia del barista sotto casa è risultata negativa.
di Alina Di Mattia
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