I nazisti agirono “con la complicità dei regimi fascisti europei, che consegnarono propri concittadini ai carnefici”. Lo ha detto Sergio Mattarella ad Auschwitz al termine della “Marcia dei vivi”, a cui il Capo dello Stato ha partecipato insieme a diecimila persone e alle sorelle Andra e Tatiana Bucci, che furono internate a Birkenau tra l’aprile 1944 e il gennaio 1945.
Non bisogna aver paura di dire questa verità in questo venticinque aprile del duemilaventitrè. Perchè questo ci aiuta a conservare i diritti,scongiura la possibilità di essere privati della nostra libertà, di affrontare il problema di un paese in cui la diversità diventa un pericolo, dove ogni comportamento non omologato viene emarginato.
Non bisogna aver paura pensando a queste cose perchè l’antidoto a quei regimi del secolo scorso, nazismo , fascismo, stalinismo, condannati dalla storia, sta proprio nella memoria salda e perenne che ci permette di guardare al futuro senza la paura del loro ritorno. Per quello che riguarda il nostro paese il ritorno del fascismo a cui si oppone una costituzione antifascista. La lotta partigiana e la resistenza non fu solo azioni di guerra ma fu l’organizzazione, purtroppo attraverso le armi per combattere il nemico che stava dall’altra parte, di un mondo morale e di regole che i giuristi che dettero vita alla costituzione recepirono interamente ,
Il 1943 fu l’anno in cui la scelta di resistere all’occupazione nazi fascista e anzi di contrastarla attraverso una lotta attiva, si aprì ad una visione d’insieme e assunse un respiro nazionale e internazionale collegando le realtà locali in un unico mosaico che per vie differenti portò uomini e donne a lottare per uno stesso obiettivo. Comunisti e cattolici,socialisti e militari , azionisti e liberali furono le anime che dettero vita ai gruppi combattenti che vollero promuovere giustizia e libertà e affrancamento dalla guerra , dall’occupazione e dal fascismo.
Non bisogna avere paura delle distorsioni, banalizzazioni e mistificazioni che tentano di inquinare la memoria di fatti e avvenimenti che restano fermi nella loro obiettività storica con la quale bisogna fare i conti, con la quale questo paese ha sicuramente fatto i conti da qualche tempo per scongiurare i pericoli di un ritorno al passato. Non ci sarà ritorno al passato perchè le scelte sono state chiare e la risposta migliore è venuta dalla Storia. Quei fatti, quegli avvenimenti hanno gettato le basi della nostra democrazia alla quale non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo rinunciare.
La resistenza fu di una parte ma deve diventare patrimonio di tutti perchè con la resistenza ha inizio la stagione costituente che è quella che ci ha datro una carta costituzionale che va applicata e difesa perchè è una carta costituzionale di tutti.
Nella guerra partigiana si combatterono indubbiamente le “tre celebri guerre” teorizzate da Claudio Pavone nel suo libro “ Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della resistenza” (1991) vale a dire quella per liberarsi dall’occupante, quella civile e quella di “ classe” spesso frammiste le une alle altre. Ce ne fu forse anche una quarta : una guerra ideologica internazionale che vide fronteggiarsi decine di nazionalità , sul fronte italiano come altrove , nelle multietniche forze alleate ,in quelle tedesche altrettanto composite e anche tra le formazioni partigiane : la guerra fu “ mondiale” in ogni alngolo del pianeta .Si parla di quarantamila italiani che combatterono per esempio nella formazioni partigiane in Francia e in Jugoslavia.
E poi c’è anche il tema dell’antifascismo in Italia e nel mondo che vanno collegati in una unica visione di opposizione ad un regime totalitario .
La riflessione per le nuove generazioni. Siamo nati in un paese “ liberato” non “ libero” per cui occorre riflettere sempre sul valore e sul significato militare e politico del termine “ liberazione”. Un termine complesso e forse anche controverso . Oggi liberazione è un termine di festa , di emancipazione ma in realtà come dice Dante Livio Bianco “ ha un ben preciso significato attico ed esprime (…) la combattuta e cruenta conquista di un obiettivo militare e politico”. Resistenza e insurrezione . Con una ripresa dell’organizzazione militare della resistenza proprio dal 1945 .
La storia racconta queste vicende di lotta e di guerra, di contrapposizione , di distruzione e di morte . Ma racconta anche vicende di sopraffazione e di crimini contro l’umanità come quelli contenuti e attuati nel progetto di soppressione di una etnia .
Lo dice, per riprendere il discorso del Capo dello stato italiano con il quale abbiamo iniziato questa riflessione , lo stesso Sergio Mattarella nella sua visita ad Auschwitz .
“In quattro anni, dal 1941 al 1945, in questo complesso furono assassinate centinaia di migliaia di persone, ben oltre un milione, in ragione della propria appartenenza a una fede, a una cultura, in ragione delle loro convinzioni o della loro condizione – ha aggiunto Mattarella -. Nei campi nazisti, oltre a milioni di ebrei, bersaglio di quella disumana macchina di orrore, anche oppositori politici, sinti, rom, disabili, omosessuali trovarono la morte nelle camere a gas, o per il freddo, la fatica, la fame e le malattie o, ancora, perché vittime di esperimenti criminali. Cittadini innocenti di ogni parte d’Europa furono tradotti bestialmente a questo luogo di morte. Un immenso cimitero senza tombe”.
“Possiamo recarci al Muro della Morte ma, se pensiamo alle vittime, dobbiamo alzare lo sguardo ben oltre – ha proseguito ancora il Capo dello Stato -. “Tu passerai per il camino” minacciavano i kapò e le guardie dei lager. La Polonia si trovò a pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane durante l’occupazione nazista. Tra l’autunno del 1943 e gli ultimi mesi del 1944, anche migliaia di italiani furono deportati qui dall’Italia. Per la quasi totalità di loro fu un viaggio senza ritorno. Non a caso, Polonia e Italia sono tra le Nazioni europee più impegnate a conservare la Memoria dell’Olocausto e a promuoverne la conoscenza tra i giovani”.
Secondo Mattarella, “rincuora vedere che migliaia di ragazze e ragazzi danno vita ogni anno a questa marcia. Quest’anno ci accompagnano in questa esperienza indimenticabile due sorelle italiane sopravvissute agli orrori di Birkenau: Tatiana e Andra Bucci. Con loro, giovani studenti del mio Paese. A Tatiana e Andra va il ringraziamento di noi tutti. Oggi più che mai, nel riproporsi di temi e argomenti che avvelenarono la stagione degli anni ‘30 del secolo scorso con l’infuriare dell’aggressione russa all’Ucraina, la Memoria dell’Olocausto rimane un monito perenne che non può essere evaso”.
“L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo, l’antisemitismo, l’indifferenza, il delirio, la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli – ha spiegato il ancora il Capo dello Stato avviandosi alla chiusura -. Non può essere ammesso nessun cedimento alle manifestazioni di intolleranza e di violenza, nessun arretramento nella tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, base del nostro convivere pacifico. Chi aggredisce l’ordine internazionale fondato su questi principi deve sapere che i popoli liberi sono e saranno uniti e determinati nel difenderli”.
E infine, rivolgendosi direttamente a ragazze e ragazzi, alle autorità, nel giorno dello Yom HaShoah, la giornata del Ricordo dell’Olocausto, “ricordare è dimensione di impegno. È dimostrazione che, contro gli araldi dell’oblio, la memoria vince. Per affermare l’orgoglio di voler essere “persone umane”. Per ripetere – e ribadire – “mai più””.
Sono queste le parole che Sergio Mattarella ha voluto pronunciare in Polonia perchè ricordare è un impegno ,perchè la memoria vince sempre.
Appunto la memoria di quel 25 aprile in cui il nostro paese fu liberato dall’occupazione nazi fascista e tornò a vivere una fruttuosa stagione di libertà e di liberazione, dando vita alla carta costituzionale repubblicana che ha rappresentato e rappresenta ancora oggi il punto più alto proprio di quell’impegno essenziale per sconfiggere l’oblio ma anche le distorsioni della memoria.
E’ lo stesso Mattarella che indica la strada da seguire : «L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli», ha spiegato il presidente. «Oggi più che mai, nel riproporsi di temi e argomenti che avvelenarono la stagione degli anni ’30 del secolo scorso con l’infuriare dell’inumana aggressione russa all’Ucraina, la memoria dell’Olocausto rimane un monito perenne che non può essere evaso».
Un monito che Mattarella ha già espresso in occasione della giornata della memoria il 27 gennaio scorso : “«Ci invita anche a prevenire e combattere, oggi e nel futuro, ogni germe di razzismo, antisemitismo, discriminazione e intolleranza. A partire dai banchi di scuola. Perché la conoscenza, l’informazione e l’educazione rivestono un ruolo fondamentale nel promuovere una società giusta e solidale. E, come recenti episodi di cronaca attestano, mai deve essere abbassata la guardia». Il pensiero del capo dello Stato corre ad Auschwitz, «che con i suoi lugubri reticolati, le ciminiere e le camere a gas è diventato il simbolo dell’orrore nazista, del male assoluto», dice Mattarella. «Ma è, e deve essere, la testimonianza costante di quali misfatti sia capace l’uomo quando si abbandona, tradendo la sua stessa umanità, a sentimenti, parole e ideologie di odio e di morte». Mattarella ricorda «quando le truppe russe entrarono nel campo di Auschwitz, la più imponente e sciagurata macchina di morte mai costruita nella storia dell’umanità. Si spalancarono di fronte ai loro occhi le porte dell’Inferno». Nel cuore dell’Europa, spiega il presidente, «si era aperta una voragine che aveva inghiottito secoli di civiltà, di diritti, di conquiste, di cultura. Una delirante ideologia basata su grottesche teorie di superiorità razziale aveva cancellato, in poco tempo, i valori antichi di solidarietà, convivenza, tolleranza e perfino i più basilari sentimenti umani: quelli della pietà e della compassione. La storia aveva subito, in meno di un ventennio, un tragico stravolgimento, tornando a concezioni e pratiche barbare e crudeli, che si pensava fossero retaggio di un passato ormai remoto. Guerra, stermini, eccidi ne furono le tragiche ma inesorabili conseguenze» .
Resistenza, lotta partigiana, olocausto, antifascismo, insurrezione popolare, liberazione . Il prezzo delle parole. La lezione viene da Albert Camus che lo dice chiaramente a proposito degli scrittori che forse non hanno fatto molto per la resistenza ma la resistenza ha fatto molto per loro . E anche per noi insegnandoci appunto il prezzo delle parole. Scrive infatti Camus : “ Rischiare la propria vita per poco che possa valere, per far stampare una poesia, un articolo, un dialogo, ,questo significa apprendere il vero prezzo della parola in un mestiere in cui la regola è lodare senza conseguenza e insultare impunemente, tutto ciò ha rappresentato un’enorme novità. “ E continua Camus che lo scrittore in questo modo è richiamato ad impiegarle con misura . Concludendo: “ Ciò è vero al punto che solo quelli che non hanno rischiato nulla hanno abusato della parola”.
Un tema che tutto intero può connettersi proprio al mondo della politica e dei politici di oggi a cui il richiamo di Camus si attaglia perfettamente. Un mondo in cui fa difetto la parsimonia e l’uso appropriato delle parole . Un mondo in cui è difficile riuscire ad analizzare il racconto che viene fatto del mondo proprio da quelle parole. Un linguaggio che come dice Galimberti : “Forse l’uomo non ha mai avuto a che fare con le cose, ma sempre e solo con le descrizioni che confezionano le
cose. “ aprendo ad una riflessione più ampia:”Gli uomini hanno sempre pensato di abitare il mondo, in realtà non sono mai usciti dalla descrizione che le varie epoche hanno dato del mondo.
Quando nel tempo antico il mondo era descritto dal mito, nel Medioevo dalla religione, nell’età moderna dalla scienza, e oggi dalla televisione, in tutti questi passaggi gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la sua descrizione che di volta in volta la religione, la filosofia, la scienza e oggi la televisione hanno dato del mondo. Forse l’uomo non ha mai avuto a
che fare con le cose, ma sempre e solo con le descrizioni che confezionano le cose. Se così non fosse stato, non potremmo parlare di storia e di successive epoche.(Umberto Galimberti, “La Tv che ruba l’anima”,in D, la Repubblica delle donne, 12 luglio 2008 )
Quando si parla di politica e di linguaggio è impossibile non pensare a George Orwell. Nel suo romanzo 1984 i leader modificavano il proprio vocabolario per modellare i processi di pensiero delle masse. A pensarci bene, le cose non sono poi cambiate tanto al giorno d’oggi.
Un discorso generale che nel nostro paese assume alcune caratteristiche particolari dove “ fino agli anni Ottanta, si parlava di “politichese”, intenso come linguaggio molto tecnico. Mai, o quasi, si trattava di un discorso chiaro e comprensibile, piuttosto era una lingua oscura e quanto mai contorta. Simile alla neolingua di Orwell, che veniva utilizzata più per proteggere “il segreto dei potenti” anziché servire la democrazia. Il declino del politichese è stato determinato dalla perdita di credibilità della classe politica in seguito ai fatti di Tangentopoli.
Negli anni 2000 poi, i discorsi politici vengono svuotati delle grandi ideologie, entrate definitivamente in crisi e si passa da una lingua colta, esclusiva, ad una lingua popolare, debole, comune. La crisi dei partiti tradizionali, e della vecchia politica, è stata innanzitutto una crisi linguistica. “
Scrive ancora Daniela Fabbri : “Come osserva Gustavo Zagrebelsky nel suo libro “Sulla lingua del tempo presente”, all’interno del discorso politico molte parole hanno cambiato il loro significato, in alcuni casi acquisendone uno nuovo, altre invece sono state introdotte. Le parole che oggi vengono utilizzate in politica sono quelle che hanno l’obiettivo di solleticarci a livello emotivo. “Amore”, ad esempio, di cui si abusa, era sconosciuta nel linguaggio politico del passato. “Amo l’Italia e i miei figli, continuerò senza paura” dichiara Salvini, sul caso Diciotti. Anche la parola “giustizia” oggi viene utilizzata meno rispetto al passato. (…)Nel nostro paese ci sono due svolte nella comunicazione politica.
La prima, nel 1994, con l’ascesa al potere di Berlusconi. Con il suo arrivo sulla scena politica si è affermata una nuova tendenza. Non più una legittimazione dettata da una competenza politica, ma una decisione presa sulla base di un merito extra-politico: il successo imprenditoriale. Con lui il linguaggio diventa più diretto e incisivo. Anche il mezzo di comunicazione scelto, la televisione, è centrale in questo cambiamento.
La seconda svolta avviene invece nei primi anni Duemila, con l’avvento dei social network. I discorsi di potere fanno leva su brevità, semplicità e su una ricerca dell’interazione a tutti i costi.
Oggi il linguaggio della politica “imita” la lingua quotidiana medio-bassa. Come ha sintetizzato il linguista Giuseppe Antonelli: “si è passati dal paradigma della superiorità a quello del rispecchiamento”. I politici hanno iniziato ad utilizzare parole semplici per ribadire luoghi comuni in cui “l’uomo della strada” si sarebbe potuto riconoscere. “(1)
Un tema dunque quello del linguaggio politico in cui sicuramente rimane comunque una consapevolezza : “ La parola non è che indicazione e suggerimento, e non può che insegnare quello che trova già formato nell’animo dell’ascoltatore o svegliare e svelare ciò che è addormentato o coperto da un velo leggero. La parola non può far conoscere ai ciechi i colori, ai sordi i tuoni, agli eunuchi l’amore, alle vergini la maternità; essa non può che indicare le espressioni esterne di questi fatti psichici,e suggerire le cose che si possono avvicinare a quelli (Giuseppe Prezzolini, L’Arte di persuadere,Firenze, Lumachi, 1907, p. 68 ) che è poi in definitiva una specie di allerta sull’attenzione che va messa nell’uso delle parole. E specialmente oggi sulle parole che in questo venticinque aprile vengono dette.
(1)https://thesoundcheck.it/2019/12/07/parole-e-potere-come-e-cambiato-il-linguaggio-della-politica/