Si va avanti su un impegno economico imponente che non risolverà i problemi del fiume
Il WWF torna sulle opere di laminazione del Pescara: «Opera costosa e poco utile»
Le casse di espansione occuperanno aree alluvionali per una superficie di poco maggiore rispetto a quella sottratta al fiume in anni recenti da Megalò e dall’Interporto, sempre con soldi dei cittadini
Resta disattesa la priorità di recuperare la funzionalità ecologica del corso d’acqua
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Il WWF Chieti-Pescara torna a “bocciare” lo spreco di denaro pubblico che si avrà con la realizzazione delle poco utili casse di espansione sul fiume Pescara e “boccia” anche in generale la politica portata avanti dagli enti locali che continuano a programmare e attuare interventi puntiformi del tutto scoordinati gli uni dagli altri senza nessuna visione d’insieme, a dispetto delle belle parole che si usano a profusione nei convegni e negli incontri pubblici.
L’associazione già nel luglio 2016 aveva inviato a tutti i consiglieri regionali abruzzesi, al presidente della Regione e al Comitato VIA una lettera per segnalare quelle che erano e restano le criticità delle “Opere di laminazione delle piene del fiume Pescara”, intervento costosissimo (ben 54 milioni di euro) che prevede la realizzazione di cinque casse di espansione, nei territori di Chieti, Manoppello, Cepagatti e Rosciano. «Occuperanno un territorio – sottolinea la presidente del WW Chieti-Pescara – non molto più esteso della superficie esondabile sottratta al fiume in anni recenti da Megalò e Interporto, che hanno malauguratamente occupato ciascuna circa 40 ettari».
Che si tratti davvero di una “opera strategica” e concretamente utile è tutto da dimostrare visto che è stato calcolato che la riduzione dell’ondata di piena attesa sarebbe dell’ordine del 10%, il che vuol dire che in una situazione di emergenza la gran parte dell’acqua arriverebbe comunque a valle. Le casse di espansione ubicate, come in questo caso, all’interno delle aree golenali interferiscono inoltre con la naturale e ordinaria esondazione del fiume, esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare. Tra le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, ormai sempre più urgenti e richieste dall’accordo sottoscritto alla COP 21 di Parigi nel 2015, vi è infatti tra l’altro proprio il recupero della funzionalità ecologica dei fiumi e la rinaturalizzazione delle aree di esondazione. Con questo intervento si viaggia in direzione opposta, artificializzando e “irrigidendo” ulteriormente le fasce di pertinenza fluviale, riducendo in maniera significativamente negativa le possibilità di divagazione naturale del corso d’acqua.
Nel progetto stesso si sottolinea che “la forte pressione insediativa nelle aree di pertinenza fluviale ha portato alla sottrazione di numerose aree di espansione naturale riducendo la capacità di laminazione naturale del fiume”: la prima soluzione dovrebbe essere dunque quella di recuperare queste aree delocalizzando il mal costruito. E intanto, invece di insistere con una opera costosa e di dubbia utilità pratica, si dovrebbe puntare in via prioritaria su una migliore gestione del territorio, a cominciare da un provvedimento a costo zero per la collettività: il divieto assoluto di costruire, senza alcuna eccezione, entro una ampia fascia di rispetto dall’alveo dei fiumi.
Le casse di espansione, nel progetto che ci si ostina a portare avanti, non rappresentano in alcun modo una soluzione valida. Dovranno tra l’altro essere gestite e manutenute, il che comporterà ulteriore impegno di denaro della collettività. Sperando che non finiscano nell’abbandono, come è già capitato con altre opere pubbliche che, nelle promesse, avrebbero dovuto risolvere grandi problemi ma che allo stato dei fatti sono soltanto un monumento allo spreco, come ad esempio, per restare lungo il corso del fiume Pescara, il famigerato potabilizzatore di San Martino (CH), costato 20 venti milioni di denaro di tutti i cittadini e mai entrato in funzione.