Uno scenario drammatico quello che emerge dalla raccolta delle quaranta lettere che Antonio Vasquenz, contadino di Cerchio (AQ), scriveva al figlio emigrato negli Stati Uniti d’America.
Era il 1910, ed ogni parola, ogni riga della raccolta intitolata ‘Here in Cerchio‘ e pubblicata da Bordighera Press, racconta la miseria di quegli anni, le difficoltà per sopravvivere, la tribolazione per curarsi, l’impossibilità ad acquistare mezzi agricoli per lavorare, i debiti assillanti contratti con l’amministrazione Torlonia che affittava a caro prezzo le terre ai contadini del Fucino, ma anche le speranze riposte in quelle partenze spesso senza ritorno.
Dalla fine del 1800 fino ai primi decenni del ‘900, milioni di italiani lasciarono le loro case nella disperata speranza di trovare una vita migliore all’estero. Una buona parte di questi emigranti partiva da piccoli paesini del sud Italia, e Antonio era uno dei tanti padri rimasti a casa ad aspettare un figlio che lavorava oltreoceano, nelle miniere di carbone in Pennsylvania.
Le missive, scritte tra il 1910 e il 1913, furono ritrovate grazie al nipote di Vasquenz, Mario Chiudoni, e raccontano in 25mila parole storie di privazione e sofferenza, di lacrime e dolore, di angherie e sopraffazioni, che ci riconducono alla stessa drammaticità di Fontamara, il celebre romanzo dello scrittore pescinese Ignazio Silone che, nel libro italiano più tradotto al mondo, raccontò la condizione dei contadini marsicani nei primi anni del ‘900.
La raccolta, resa pubblica dalla dott.ssa Constance Sancetta, presidente dell‘Italian American Cultural Foundation in Ohio, US, assume un significato fondamentale per la conoscenza antropologica del territorio abruzzese. Tracciano, infatti, un documento eccezionalmente fedele della vita e delle usanze di quegli anni non risparmiandoci nessuna amarezza.
Frammenti di un’epoca passata che ritornano attraverso la storia personale di un contadino che sapeva leggere e scrivere, un uomo di origine quasi certamente borbonica nato il 5 dicembre 1843 a Cerchio, il piccolo paese all’ombra del Sirente, posizionato di fronte al terzo lago più grande d’Italia, allora non ancora prosciugato. Erano gli anni del Regno di Napoli, e Antonio, marito e padre di 5 figli, a causa di gravi problemi di salute si ritrova impossibilitato a pagare l’affitto delle terre e quindi pieno di debiti nei confronti dei Torlonia. E lo racconta con struggente commozione al figlio lontano, nella speranza che in quelle “strade lastricate di oro” potesse esserci una luce anche per la sua famiglia lasciata a Cerchio. Una figlia morta senza adeguate cure, un genero poco affidabile, il tutto in una situazione di precarietà e allo stesso tempo di speranza che univa chi, soprattutto dopo il devastante terremoto del 1915 che rase al suolo la Marsica, scelse di emigrare all’estero in cerca di un futuro migliore.
Nel solo paese di Cerchio, nel primi anni del ‘900, partirono ben 15 persone senza più tornare a casa. Storie spesso tramandate oralmente, raccontate di padre in figlio e che oggi, invece, possiamo leggere su questa emozionante e toccante raccolta per comprendere meglio le nostre origini e, forse, apprezzare di più chi ha tracciato per noi un percorso allora impraticabile.
Angelo morì nel 1974. Le sue lettere sono conservate a Cleveland, nell’Ohio, presso il Western Reserve Historical Society.
di Alina Di Mattia