L’evoluzione dei contagi del coronavirus ha indotto il Governo, di concerto con le autorità sanitarie, ad adottare provvedimenti drastici che hanno comportato tutta una serie di restrizioni a quelle che sono le libertà di movimento e di libera circolazione. La conseguenza più diretta di questi provvedimenti è stato il totale stravolgimento delle abitudini quotidiane di ogni singola persona. Abitudini che nel tempo hanno strutturato e regolamentato anche i rapporti di coppia. Ogni singola persona reagisce ai cambiamenti in base a quello che è il suo vissuto e, di conseguenza, a quella che è la sua struttura psichica. Purtroppo, spesso accade, che già in condizioni di normalità all’interno di una coppia il rapporto sia vissuto in modo patologico. Le percentuali ci dicono anche che a subire le conseguenze di un rapporto insano, sono il più delle volte le donne.
Per avere un quadro più chiaro su quella che è la cosiddetta violenza di genere, abbiamo intervistato la Dott.ssa Anna Vagli, Giurista, scrittrice e criminologa con vasta competenza nel campo della psicologia, della criminologia investigativa e delle scienze forensi, delle indagini difensive sulla scena del crimine e nel campo dei reati a sfondo sessuale (Sex Crime Investigation su vittima e minore).
L’espressione “di genere” viene utilizzata per designare qualsiasi forma di violenza perpetrata da un uomo nei confronti di una donna. Essa non si estrinseca soltanto nell’aggressione fisica né in quella che è la sua espressione più estrema, il femminicidio. Al contrario, include anche le vessazioni psicologiche, abusi sessuali, ricatti economici, e persecuzioni compiuti da un uomo nei confronti di una donna “in quanto donna”.
La violenza domestica può dirsi strettamente relazionata ad una certa forma di potere. L’obiettivo di chi la esercita non è soltanto di ingenerare angoscia e sofferenza fisica nella vittima, quanto piuttosto quella di sottometterla, piegarla e racchiuderla nell’alveo della paura. Si tratta di un modello relazionale patologico che tende a riprodursi come stereotipo. Nella relazione tossica si celano due parti: la vittima, dipendente affettiva, che non riesce a fare a meno dell’altro, e il maltrattante che rifugge l’intimità perché percepita come pericolosa. Vittima e carnefice si compensano, se l’uno smette di esistere smette di esistere anche l’altro, è destinato a scomparire.
Guardi statisticamente il maggior numero di denunce proviene dal Nord e questo perché è più facile per una donna indipendente economicamente ribellarsi al maltrattante. Non è però una regola matematica. Sicuramente influisce anche il retaggio culturale e la difficoltà incontrata nell’ammettere che un rapporto non funziona più. Si preferisce tacere anche laddove si subisce violenza. È comunque la mentalità in generale che dovrebbe essere cambiata. Si punta tutto sulle donne uccise ma ancora con difficoltà di parla di quelle morte dentro, sopravvissute ma mai riprese. Non si parla dei figli che assistono la violenza, copiandola e riproponendola a loro volta e non si parla neppure della violenza delle donne sugli uomini che però esiste
Le misure contenitive dell’emergenza Covid-19 hanno purtroppo prodotto come conseguenza inevitabile l’aumento degli episodi di violenza domestica. La convivenza forzata con il partner maltrattante aumenta le occasioni di controllo e di limitazione della donna, che è ancora più in difficoltà nel denunciare a causa della chiusura o comunque della limitazione dell’attività dei centri antiviolenza. Le donne però devono sapere che non sono sole. In questa situazione emergenziale resta infatti attivo 24 ore su 24 il numero Anti violenza 1522, e sussiste la possibilità di scaricare l’App YouPol, che permette alle vittime di violenza domestica di essere geolocalizzate e soccorse dal commissario territorialmente più vicino.
Michele Rossi