Il farro alvese rosso è una varietà autoctona di Triticum dioccum che cresce in un’area circostritta del Parco Nazionale del Gran Sasso: i Monti della Laga. La pianta è molto alta, a differenza di altre tipologie di farro, possiede una spiga medio- grande e di colore rosso; il farro alvese rosso ha una buona resistenza al freddo invernale e si coltiva soprattutto oltre gli 800 metri sul livello del mare.
Il termine alvese potrebbe derivare dalla voce “alura” con cui gli antichi Greci individuavano una varietà di farro; oppure, dal termine latino “alica” con cui si indicava la farina ottenuta dal farro. Già Plinio il Vecchio nella sua “Storia naturale” descrive il pane di “alica” prodotto nella vecchia provincial picena, che includeve l’attuale zona teramese di produzione: “dopo averlo fatto macerare per nove giorni (la farina di alica), il decimo lo impastano con succo d’uva passa, e ne fanno una sfoglia; poi lo cuociono in forno dentro vasi che si rompono al fuoco. Lo si può mangiare solo inzuppato, generalmente in latte e miele”.
La lévese roscia, così chiamata in dialetto, viene utilizzata per preparare minestre e con le cariossidi del cereale frantumate con il macinello (un’antica macina domestica) si ottiene la polenta. In passato la polenta veniva preparata battendo con un pestello di legno i chicchi di farro all’interno di mortai molto grandi ricavati dalla pietra arenaria.