La notizia, pubblicata nei giorni scorsi, del “salvataggio” di un pesce siluro, da anni ospitato in un laghetto privato, poi assurdamente immesso (violando la legge) nelle acque del fiume Pescara e infine da qui ricatturato e trasferito in un non meglio precisato sito del nord Italia merita qualche riflessione.
Cominciamo col dire che il siluro (Silurus glanis è la denominazione scientifica) è una sorta di pesce gatto gigante che può eccezionalmente superare i due metri di lunghezza e che normalmente raggiunge comunque taglie impressionanti. Vive in natura nell’est Europa, a cominciare dalle acque del Danubio. In Italia è stato introdotto come preda per la pesca sportiva ed è oggi largamente presente nel Po, nell’Adige e in alcuni fiumi del centro Italia dove ha creato e sta creando danni alla fauna ittica locale, come dimostrano tantissimi studi, perché da noi non ha competitor ed è da solo al vertice della catena alimentare. Come accade sin troppo spesso l’intervento dell’uomo, alterando equilibri naturali consolidati nei secoli, crea inevitabilmente problemi. L’immissione peraltro è illecita visto che la legge proibisce esplicitamente la liberazione nelle acque pubbliche di pesci alloctoni, provenienti cioè da altre regioni del mondo.
Un divieto ribadito anche dalla Corte Costituzionale (sentenza 30/2009) intervenuta in un caso di conflitto di attribuzione tra lo Stato e una Regione che avrebbe voluto usare specie non nostrane per i ripopolamenti ittici, una pratica che prevede il rilascio nei fiumi e nei laghi di pesci d’allevamento destinati alla pesca sportiva. Sarà appena il caso di sottolineare che i ripopolamenti hanno creato e continuano a creare danni immensi alla fauna ittica nostrana in ogni angolo d’Italia.
È lecito invece immettere e allevare specie esotiche nei laghetti privati, nei quali i popolamenti rappresentano spesso un “fritto misto” di pesci di varia provenienza. Ed è questo appunto il caso del siluro di cui si è occupata la stampa nei giorni scorsi. Nell’invaso privato nel quale era stato a suo tempo immesso, a nostro avviso incautamente, era diventato “il mostro del lago” per via dei periodici avvistamenti e delle dimensioni crescenti negli anni. Sin qui tutto nella norma. È stato invece commesso un illecito nel momento nel quale l’esemplare, catturato nel laghetto, è stato – stando alle informazioni diffuse dai media – “liberato” nel fiume Pescara. Operazione vietata e dannosa: il siluro ha un notevole appetito, pienamente giustificato vista la sua mole, e si nutre, oltre che di pesci (soprattutto ciprinidi), anche di anfibi e occasionalmente di piccoli mammiferi e uccelli acquatici. Per fortuna l’animale è stato successivamente ripescato e trasportato verso una ignota destinazione del nord Italia. Sarà opportuno che i carabinieri forestali, il cui intervento è segnalato nelle informazioni diffuse in questi giorni, verifichino la destinazione finale, lecita solo se in acque private.
È comprensibile che la sorte individuale di un animale possa destare commozione e meritare gli onori della cronaca. Resta tuttavia l’esigenza di far comprendere a tutti, a cominciare da chi per passione frequenta più di altri i fiumi, come i pescatori, l’importanza di preservare la fauna autoctona e la biodiversità, messa seriamente a rischio ogni volta che si immette in natura un animale del tutto estraneo al nostro ambiente.
«Al di là dei divieti di legge – osserva il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio – è un comportamento sbagliato che provoca danni alla fauna e alla flora autoctone e anche agli stessi animali liberati, spesso in difficoltà a sopravvivere in un ambiente per loro estraneo».